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Channel: Il manduriano – La Voce di Manduria
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Il dialetto del manduriano: fištiggiari – flòttula

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Fištiggiari – fištiggiài – fištiggiatu v. tr., festeggiare. V. maniggiari.

Fištinu – i s. m., festino: sta fannu fistini sia ca è tiempu ti carniali, fanno festa come se fosse carnevale ( diG ).

Fištodda – i s. f., dim. di fešta. Detto: Ogni fištodda na paštodda. Ogni occasione è buona per banchettare.

Fitari – mi fitai – fitatu v. intr. medio, avere la forza, il coraggio di … no ssi ni fita cchjui cu ccamina, non ha più la forza di camminare. Ha anche il significato di fare affidamento. Detto: Donca ti fiti t’acchj ngannatu. Dove ti senti più sicuro, lì avrai la delusione. No tti fitari a ll’arvulu ca ppenni,/ e mancu a donni belli ca t’inganni. Non fare affidamento sul ramo pendente, né sulle donne belle: in entrambi i casi rischi di rimanere deluso.

Fitenti agg. m. e f., pl inv. fitienti, fastidioso e impertinente: i’ cce fitenti ti agnoni, vedi un po’ che ragazzaccio.

Fitienti, denominazione della masseria, oggi in pieno centro abitato e ristrutturata, sita in via Scaglione.

Fittuccia – fittucci s. f., fettuccia, nastro; li fittucci ti santu Còsumu; tiempu prima nc’èrunu puru li fittucci di san Gregoriu, i nastri di san Cosimo, prima c’erano anche quelli di san Gregorio ( diG ): allude all’usanza ormai scomparsa di comprare, in occasione di certe feste, fasci di nastri colorati, che poi venivano usati a scopo ornamentale; oggi sono stati soppiantati da ninnoli ed oggetti i più svariati.

Fitu s. m., insieme delle uova destinate a moltiplicare la specie. Anche fido, possibilità di indebitamento presso una banca: tegnu lu fitu nzinn’a trenta miliuni, posso indebitarmi fino atrenta milioni.

Fituru – i s. m., dal volg. fultoriu, tappo.

Fiumi s. m., inv. al pl.: a llu fiumi, vicino al fiume Bevagna.

Fiuriri – fiurìu – fiuritu v. intr. imp., fiorire.

Fiuru – i s. m., fiore. Al pl., nome di un gioco che si pratica con un gruppo piuttosto numeroso di partecipanti seduti in cerchio, con un posto vacante sulla destra di chi inizia a giocare. Ogni componente assume il nome di un fiore ed è tenuto a spostarsi prontamente, se chiamato, ad occupare il posto vacante alla destra del richiedente, il quale annuncia: “ alla mia destra manca il garofano, oppure la rosa, ….”. Se il giocatore corrispondente al fiore richiesto indugia, è tenuto alla fine a pagare un pegno.

Fizzaru – i s. m., era il mestiere di chi comprava la feccia del vino per le strade del paese. Soprannome della famiglia Dinoi.

Flòttula s.f., piccolo complesso musicale che operava durante le pubbliche feste. Scrive M. Annoscia in La festa di S. Gregorio Magno, pag. 31: “ Sul carro, oltre alla statua di S. Gregorio, prendeva posto la flòttula, una piccola banda musicale che accompagnava il canto di tenori e soprani in numero di due o tre. Il dialetto del manduriano: fištiggiari – flòttula.

Fištiggiari – fištiggiài – fištiggiatu v. tr., festeggiare. V. maniggiari.

Fištinu – i s. m., festino: sta fannu fistini sia ca è tiempu ti carniali, fanno festa come se fosse carnevale ( diG ).

Fištodda – i s. f., dim. di fešta. Detto: Ogni fištodda na paštodda. Ogni occasione è buona per banchettare.

Fitari – mi fitai – fitatu v. intr. medio, avere la forza, il coraggio di … no ssi ni fita cchjui cu ccamina, non ha più la forza di camminare. Ha anche il significato di fare affidamento. Detto: Donca ti fiti t’acchj ngannatu. Dove ti senti più sicuro, lì avrai la delusione. No tti fitari a ll’arvulu ca ppenni,/ e mancu a donni belli ca t’inganni. Non fare affidamento sul ramo pendente, né sulle donne belle: in entrambi i casi rischi di rimanere deluso.

Fitenti agg. m. e f., pl inv. fitienti, fastidioso e impertinente: i’ cce fitenti ti agnoni, vedi un po’ che ragazzaccio.

Fitienti, denominazione della masseria, oggi in pieno centro abitato e ristrutturata, sita in via Scaglione.

Fittuccia – fittucci s. f., fettuccia, nastro; li fittucci ti santu Còsumu; tiempu prima nc’èrunu puru li fittucci di san Gregoriu, i nastri di san Cosimo, prima c’erano anche quelli di san Gregorio ( diG ): allude all’usanza ormai scomparsa di comprare, in occasione di certe feste, fasci di nastri colorati, che poi venivano usati a scopo ornamentale; oggi sono stati soppiantati da ninnoli ed oggetti i più svariati.

Fitu s. m., insieme delle uova destinate a moltiplicare la specie. Anche fido, possibilità di indebitamento presso una banca: tegnu lu fitu nzinn’a trenta miliuni, posso indebitarmi fino atrenta milioni.

Fituru – i s. m., dal volg. fultoriu, tappo.

Fiumi s. m., inv. al pl.: a llu fiumi, vicino al fiume Bevagna.

Fiuriri – fiurìu – fiuritu v. intr. imp., fiorire.

Fiuru – i s. m., fiore. Al pl., nome di un gioco che si pratica con un gruppo piuttosto numeroso di partecipanti seduti in cerchio, con un posto vacante sulla destra di chi inizia a giocare. Ogni componente assume il nome di un fiore ed è tenuto a spostarsi prontamente, se chiamato, ad occupare il posto vacante alla destra del richiedente, il quale annuncia: “ alla mia destra manca il garofano, oppure la rosa, ….”. Se il giocatore corrispondente al fiore richiesto indugia, è tenuto alla fine a pagare un pegno.

Fizzaru – i s. m., era il mestiere di chi comprava la feccia del vino per le strade del paese. Soprannome della famiglia Dinoi.

Flòttula s.f., piccolo complesso musicale che operava durante le pubbliche feste. Scrive M. Annoscia in La festa di S. Gregorio Magno, pag. 31: “ Sul carro, oltre alla statua di S. Gregorio, prendeva posto la flòttula, una piccola banda musicale che accompagnava il canto di tenori e soprani in numero di due o tre. Il dialetto del manduriano: fištiggiari – flòttula.

Fištiggiari – fištiggiài – fištiggiatu v. tr., festeggiare. V. maniggiari.

Fištinu – i s. m., festino: sta fannu fistini sia ca è tiempu ti carniali, fanno festa come se fosse carnevale ( diG ).

Fištodda – i s. f., dim. di fešta. Detto: Ogni fištodda na paštodda. Ogni occasione è buona per banchettare.

Fitari – mi fitai – fitatu v. intr. medio, avere la forza, il coraggio di … no ssi ni fita cchjui cu ccamina, non ha più la forza di camminare. Ha anche il significato di fare affidamento. Detto: Donca ti fiti t’acchj ngannatu. Dove ti senti più sicuro, lì avrai la delusione. No tti fitari a ll’arvulu ca ppenni,/ e mancu a donni belli ca t’inganni. Non fare affidamento sul ramo pendente, né sulle donne belle: in entrambi i casi rischi di rimanere deluso.

Fitenti agg. m. e f., pl inv. fitienti, fastidioso e impertinente: i’ cce fitenti ti agnoni, vedi un po’ che ragazzaccio.

Fitienti, denominazione della masseria, oggi in pieno centro abitato e ristrutturata, sita in via Scaglione.

Fittuccia – fittucci s. f., fettuccia, nastro; li fittucci ti santu Còsumu; tiempu prima nc’èrunu puru li fittucci di san Gregoriu, i nastri di san Cosimo, prima c’erano anche quelli di san Gregorio ( diG ): allude all’usanza ormai scomparsa di comprare, in occasione di certe feste, fasci di nastri colorati, che poi venivano usati a scopo ornamentale; oggi sono stati soppiantati da ninnoli ed oggetti i più svariati.

Fitu s. m., insieme delle uova destinate a moltiplicare la specie. Anche fido, possibilità di indebitamento presso una banca: tegnu lu fitu nzinn’a trenta miliuni, posso indebitarmi fino atrenta milioni.

Fituru – i s. m., dal volg. fultoriu, tappo.

Fiumi s. m., inv. al pl.: a llu fiumi, vicino al fiume Bevagna.

Fiuriri – fiurìu – fiuritu v. intr. imp., fiorire.

Fiuru – i s. m., fiore. Al pl., nome di un gioco che si pratica con un gruppo piuttosto numeroso di partecipanti seduti in cerchio, con un posto vacante sulla destra di chi inizia a giocare. Ogni componente assume il nome di un fiore ed è tenuto a spostarsi prontamente, se chiamato, ad occupare il posto vacante alla destra del richiedente, il quale annuncia: “ alla mia destra manca il garofano, oppure la rosa, ….”. Se il giocatore corrispondente al fiore richiesto indugia, è tenuto alla fine a pagare un pegno.

Fizzaru – i s. m., era il mestiere di chi comprava la feccia del vino per le strade del paese. Soprannome della famiglia Dinoi.

Flòttula s.f., piccolo complesso musicale che operava durante le pubbliche feste. Scrive M. Annoscia in La festa di S. Gregorio Magno, pag. 31: “ Sul carro, oltre alla statua di S. Gregorio, prendeva posto la flòttula, una piccola banda musicale che accompagnava il canto di tenori e soprani in numero di due o tre.

 


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Il dialetto del manduriano: foca – fori.

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Foca s.f., eruzione cutanea costituita da papule pruriginose, provocate dalla puntura di microscopici parassiti presenti nei cereali e nei legumi secchi, in particolare nelle fave: è šciuta cu ppija li fai e s’è chjena ti foca, è andata a prendere le fave ed ha avuto una eruzione cutanea.

Fòciri – fucii – fotu v. tr., otturare: fuci cuddu bucu, ottura quel buco.

Fòcula – i s.f., tizzone con fiamma.

Fodda s. f., folla.

Fòffula – i s. f., mazzo di spighe di grano che si spigolavano dopo la mietitura.

Fòggia – foggi s. f., dal lat. fovea, fossa dove venivano raccolti tutti i rifiuti, compresi gli escrementi umani; generalmente era sistemata nell’orto. V. cessu, rumatu. Indica anche la buca scavata nella terra per mettervi a dimora una pianta, oppure per seminare pomodori, cocomeri, ecc.: aciu fatti na trintina ti foggi ti pummitori, ho approntato il semenzaio per una trentina di piante di pomodori.

Foggi, denominazione della contrada situata sul versante sinistro della prov. per Avetrana.

Foja – i s. f., verdura commestibile, coltivata oppure selvatica ( foji ti campagna ). Di quest’ultima sono note le seguenti varietà: cicori, sprùscini, marioli, zanguni, crištoli, paparini, carduni, frìzzuli,ecc. La verdura mista di campagna è molto indicata da consumare con le fave nel tipico piatto fave e verdura. V. faa. Detto: Fai e maccarruni òlunu a nnatuni. Verdura e maccheroni hanno bisogno di molta acqua per cuocere.

Fontichiara s. f., fonte della verità, sin. di funtanachiara.

Fora avv., fuori: l’annata è nfora, l’annata è alla conclusione.

Fòrbici – fuèrbici s. f., forbice: pija la fòrbici, prendi le forbici. V. campubassu.

Forca – forchi s. f., aratro in legno, dei più rudimentali, ancora in uso fino a qualche decennio fa, specie per l’aratura di terreni pietrosi: ali ti la forca, le stanghe che servivano a tirare la forca. V. furcina.

Fòrchja – forchj s. f., dal volg. foruculu, tana del coniglio, della volpe.

Forfei dal fr. forfait, usato nell’espressione a forfèi, per es., di un orologio che va per conto suo.

Fòrfica – fòrfichi s. f., scolopendra, insetto comune nelle nostre campagne. V. furficari.

Fori avv., lett. fuori, in campagna: šciutu fori, è andato in campagna; fori terra, in un altro paese, fuori dal territorio comunale; ti fori a nfora, da un estremo all’altro; ti fori fori, alla larga. V. intra. Detto: Ci uè’ bbiti lu riccu mpuiriri, manna li uèmmini fori e tu no nci sciri. Se vuoi un esempio di ricco che diventa povero, prova a mandare gli operai in campagna da soli senza sorvegliarli. 


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Il dialetto del manduriano: forma – franciddu

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Forma – i forma di piede in ferro o in legno usata dal calzolaio: la prima per inchiodare le scarpe, la seconda per costruirle. E’ usata anche come loc. nella espressione nforma eti, così com’è: proa stu mieru, nforma eti, assaggia questo vino così come l’ho prodotto ( potrebbe non essere eccezionale ).

Forti agg. m. e f., pl. inv. fuerti, forte. Usato nella loc. avv. a nforti: mi sta ppari a nforti, lo faccio con grande sforzo di volontà.

Forza – i s. f., forza / possibilità: quiddi so’ li forzi sua, quelle sono le sue possibilità ( anche economiche ). Usato nella loc. avv. a nforza, per forza: li cosi fatti a nforza no bbennu mai bueni, le cose fatte controvoglia non vengono mai fatte bene.

Fòttiri – futtii – futtutu ( dal volg. futuere ), v. tr., fare l’amore con una donna / imbrogliare / mollare, di schiaffo / anticipare qualcuno con una soluzione improvvisa: ci m’a futtutu na fiata no mmi futti cchjùi, se mi hai imbrogliato una volta non mi imbrogli una seconda; mo ti ni fottu nu paru, mo ti mollo un paio di ceffoni; m’è futtutu ti manu, è stato così scaltro da anticiparmi. Usato come v. intr., funzionare / infischiarsene / rimanere fregato: no nci futta, non va, non funziona; cce mi ni fottu! Me ne infischio! E futta, e insiste; ni ma futtuti, è finita, siamo fregati; fùttisi, ne vale la pena; futtatinni ca quant’è crai eni arretu, stai certo che domani ritorna. V. cumpagnu, pinzieri, strafòttiri.

Frabbicari – frabbicai – frabbicatu v. tr., costruire, fabbricare. V. sfrabbicari.

Frabbicatori – frabbicaturi s. m., muratore.

Fracaja s. f., merce minuta e di scarsa qualità.

Fracanza s. f., aria irrespirabile e mortale, dovuta alla presenza di anidride carbonica prodotta dalla fermentazione delle uve.

Fracassu – i s. m., fracasso, rumore assordante/ sparviere, attrezzo di legno impiegato dai muratori per intonacare  i muri.

Fracazzana – i agg. f., tipo di fico. V. fica. 

Fracitana agg. f., pl. fracitani, geco, della famiglia dei Geconidi. V. lucerta.

Fràcitu – a agg., pl. inv. fràciti, corroso. Nella forma sost. indica la condizione del legno le cui fibre sono state corrose dal tarlo, oppure indica la pietra non compatta.

Francaidda n. pr. di città, Francavilla Fontana.

Francata – i s. f., la quantità contenuta nelle due mani unite, manciata.

Francatedda – i s. f., dim. di francata, piccola manciata.

Franchiddesi agg. m. e f., pl. inv. Franchiddisi, francavillese, di Francavilla Fontana; nella forma sost., francavillese, abitante di Francavilla Fontana: no ffà’ lu franchiddesi, non fare lo spavaldo.

Franciddu – i s. m., dal volg. fringillu, fringuello, uccello diffuso nelle nostre zone.


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Il dialetto del manduriano: francu – frati

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Francu – a agg., pl. inv. franchi, gratuito, esente da spesa: casa franca, diritto di abitare gratuitamente la casa; veniva concesso agli sposi come contratto di matrimonio dai genitori titolari dell’abitazione, generalmente per la durata di uno, due o tre anni, per consentire che la coppia assestasse le proprie finanze e intanto progettasse la dimora definitiva.

Frangiscu n. pr. di pers., Francesco. Preghiera pop.: S. Frangiscu amatu ti Crištu, / ti tou l’anima mia prima cu durmescu. /Jù la tou a ttei, / tu la tai a Crištu, / e lu nimicu cu ssi ni ascia trištu. S. Francesco prediletto del Signore, a te affido la mia anima prima di addormentarmi. Io l’affido a te, tu l’affidi a Cristo, affinché il diavolo se ne vada sconfitto.

Frantieddu – i s. m., rovina, scompiglio: s’è ccotu a casa mbriacu e iè fattu nu frantieddu: cenca acchiaa nanzi šcuppaa, è rincasato ubriaco ed è stato lo scompiglio: ha rotto tutto ciò che gli si parava innanzi ( diG ).

Frappoja – i s. f., mucchio di sterpi secchi e, per estensione, insieme di cose inutili e insignificanti. V. frappuju.

Frapponi – frappuni s. m., mucchio, massa: stìnnulu buenu cuddu jascioni ci no faci frapponi, stendilo bene quel lenzuolo altrimenti si accavalla ( diG ).

Frappuju – i s. m., sin. di frappoja ( v. ).

Frasca – fraschi s. f., lentisco, pianta tipica della macchia mediterranea. V. rištincu. Soprannome della famiglia Calò.

Frascalora – i s. f., capinera, uccello stazionario che nidifica soprattutto nelle frasche della macchia mediterranea.

Frascera – i s. f., braciere, mezzo di riscaldamento a carbonella. V. carbunella.

Fràscia s.f., brace. V. cinisa.

Frasciari – mi frasciai – frasciatu dal volg. fragiare, v. intr. medio, arrendersi, tirarsi indietro dopo aver espresso la volontà di fare qualcosa.

Frasconi – frascuni s. m., cespuglio.

Frašturnari – mi frašturnai – frašturnatu v. tr. e rifl., frastornare, confondere, intontire: štou frašturnatu, sono intontito.

Frati s. m., dal lat. frater – fratris, inv. al pl., fratello: fràuma, fràuta, fràusa, mio fratello, tuo fratello, suo fratello; e fràtima, fràtita, fràtisa, i miei fratelli, i tuoi fratelli, i suoi fratelli; fili ti frati, cugini; ohi frati! Povero te! Soprannome della famiglia Ruggieri. Ohi frati! Titolo del giornale umoristico edito dal 1919 al 1925.


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Il dialetto del manduriano: frattisciari – friscu.

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Frattisciari – frattisciai – frattisciatu v. intr., frugare: cuddu cani šta frattescia sempri intr’a cuddu frasconi, quel cane va frugando sempre in quel cespuglio ( diG ).

Frau – i s.m., pagro, pesce degli sparidi.

Fràulu – i s. m., flauto.

Frazzata – i s. f., la quantità di foglie, carta e simili che si può contenere tra le braccia. Soprannome della famiglia De Fazio.

Frei – friei s. f., febbre: sulu cu penzu mi eni la frei, solo a pensarci mi vengono i brividi.

Fricai – ( mi ni ) fricai – fricatu v. tr., fregare / ossessionare: mi šta friechi sempri cu šti lamienti! Mi ossessioni in continuazione con i tuoi guai! Come v. intr. medio, fregarsene: cce mi ni frecu! Cosa vuoi che me ne importi! Si fricòu la capu e si ni sciu, perse la pazienza e se ne andò.

Frìcciu s.m., pietrisco; debitamente frantumato e schiacciato dal rullo compressore, veniva utilizzato per la pavimentazione delle strade.

Friculari ( mi ) friculai – friculatu v. tr., strofinare, stropicciare / darle, di botte: no tti friculà’ li uècchj, non ti stropicciare gli occhi. Come v. intr, prenderle, di botte: friculara ti mazzati, furono caricati di botte.

Friculata – i s. f., tante botte: na friculata ti mazzati, tante botte.

Friddu – i s.m., freddo: cce friddu ca faci osci! Fa freddo oggi!

Friddu – fredda agg., pl. inv., freddi, freddo.

Friddulazzu s. m., freddo pungente.

Friddulusu – friddulosa agg., pl. friddulusi -friddulosi, freddoloso, che soffre il freddo.

Friicedda – i s. f., dim. di frei, febbricola: la sera li pija sempri na friicedda, a sera gli viene sempre una frebbricola.

Frisa – i s. f., dal volg. fresellu = triturato, tipo di pane croccante, a forma di ciambella che si consuma soprattutto in estate; si usa ancora per la colazione o per lo spuntino pomeridiano. Dopo averla inzuppata in acqua, si condisce con olio, origano, sale e pomodoro.

Frìsciri – friscii – frittu v. tr., friggere: friscennu, manciannu, mangiare la frittura ben calda, appena fritta.

Friscu s. m., fresco: minti lu mieru a nfriscu, metti il vino in fresco; aciu pijatu friscu a lla rècchja, mi sono raffreddato l’orecchio.

 


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Il dialetto del manduriano: friscu – fruškulìcchju.

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Friscu – fresca agg., pl. inv. freschi, fresco: štai friscu! Štai friscu e cunzulatu! Stai fresco, illuditi pure! Freschi! Intendo essere pagato subito; freschi freschi, appena riscosso ho dovuto spendere / appena colti.

Friscu friscu, soprannome della famiglia Greco.

Frisedda – is. f., dim. di frisa, frisella: fari a frisedda, spappolare.

Friškisciari – friškisciòu – friškisciatu v. intr. imp., fare fresco: friškea, fa fresco.

Frisoni – frisuni s. m., strillozzo, uccello che frequenta le nostre campagne.

Friuliti s. f., allergia al caldo che si manifesta con arrossamento cutaneo.

Frìzzulu – i s. m., spiegazzatura. Indica anche un tipo di verdura selvatica. V. foja.

Frizzulu – i s. m., asticina sottile, metallica, di circa trenta cm di lunghezza, usata per cavare li pizzarieddi. V. caari.

Fronna – i s. f., foglia, per antonomasia foglia secca di tabacco: ce tieni nu picca di fronna ca mi càricu la pippa? Hai qualche foglia di tabacco per caricare la pipa? (di G).

Fronti s. f., fronte: ti fronti, facci’a ffronti, di fronte.

Frummèddula – i s. f., comune piccolo bottone bianco; per estensione, cosa di piccola entità: jè quantu na frummèddula, grande quanto un bottone.

Frummìcula – i s.f., formica.

Frummiculècchja – frummiculecchj s. f., dim. di frummìcula, formichina: lu cuntu ti la frummiculècchja, il racconto della formichina ( è un racconto classico della letteratura popolare manduriana ).

Frùmulu s.m., iperico; pare che abbia effetti venefici, perché ne mangiavano le bianche pecore che pascolavano vicino al Galeso e che poi morivano. Pianta perenne simile a lu tumu; viene utilizzato per costruire scope rudimentali. Detto: Lu frùmulu lu ccòcchja lu jentu. Il caso mette insieme i tipi più strani.

Frùnchju – frònchjuri s.m., foruncolo.

Fruntera – i s.f., fronte dell’antu ( v. ).

Frùšciu s.m., rumore, fruscio: frùšciu ti scopa noa, si dice di chi all’inizio di una attività fa parlare di sé per essere esigente e puntuale.

Frùšciulu – i s.m., dal volg. rusteolu, pianta e frutto del corbezzolo.

Fruškulìcchju – fruškulìcchj s.m., dim. di frùškulu ( v. ).


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Il dialetto del manduriano: Frùškulu – fùciri

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Frùškulu- a s., pl. inv. frùškuli, dal lat. ferusculus, dim. di fera – ae, animale in genere, con una connotazione di compassione: pòuru frùškulu, povero animale; bellu frùškulu! Bel furbacchione!

Frušta – i s. f., vergogna: cce frušta! Che vergogna!

Fruštari – fruštai – fruštatu v. tr., dal volg. forestare=bandire; svergognare.

Fruttu – fròtturi s.m., frutto; al sing., midollo osseo.

Fua s.f., fuga, abbrivo: è pijata la fua … e ci lu arria chiui, ha preso l’abbrivo … chi lo raggiunge è bravo ( diG ).

Fucagna s. f., piccolo focolare allo scoperto.

Fucaliri s. m., inv. al pl., luogo dove arde il fuoco.

Fucatizza – i agg. f., da nfucari, usato nell’espressione terri fucatizzi, terre ti patuli, in cui le piante affogano a motivo della impermeabilità del terreno.

Fucazza – i s. f., focaccia; particolarmente apprezzata quella farcita con olive nere e cipolla.

Fucècchja s. f., dim. di fauci, falcetto: Chiccu, Checca e mànicu ti fucècchja, si dice di tre persone che vanno sempre insieme. Soprannome della famiglia Di Lorenzo.

Fuchetta – i agg., inv. al f., focoso: jè fuchetta, è un tipo focoso.

Fuchisciari – fuchisciai – fuchisciatu v. intr., fare cilecca.

Fuchišta – i s. m., fuochista, addetto all’esplosione dei fuochi d’artificio. Soprannome della famiglia Roberto.

Fuci fuci s. m., inv. al pl., lett. fuggi fuggi, litobio, sorta di millepidi molto veloce, da cui il nome.

Fuciconi – fucicuni s. m., grossa buca.

Fucieddi s. m., usato solo al pl., gioco delle bocce; la palla di ferro usata per colpire si chiamava còcula ( v. ).

Fucili s. m., inv. al pl., fucile / apparecchio con pietra focaia usato per accendere il fuoco.

Fùciri – fucìi – fuciutu v. intr., dal lat. fugere, correre: … e fuci ch’è notti, lett. … e corri perché annotta; a menzatia, na calata ti pani e fuci ch’è notti, a mezzogiorno, un boccone e via; fuci fuci, su corri. Detto: Fuci quantu uei, a lla macchja ti spettu. Corri quanto vuoi, te la farò pagare quando non te l’aspetti.


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Il dialetto del manduriano: Fuciuta – fumori

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Fuciuta – i s. f., corsa: m’aciu fatta na fuciuta, ho fatto una corsa.

Fuecu – fuechi s. m., fuoco. V. ampa. Secondo la superstizione, sognare il fuoco era segno di sventura. Al pl., fuochi d’artificio. V. jentu. Detto: Lu fuecu ddo cati brùscia. Il dolore è di chi soffre.

Fuessu – i s. m., fosso: retu a llu Fuessu, via del Fossato, strada in cui si conserva ancora un tratto delle mura messapiche. Versi: E a bbètiri lu Fuessu pulizzatu/ cchjù meju ti la štrata ti Tuletu/ e toppu ci ti l’imu lluminatu e nanzi e rretu,/ puè caminari puru a uècchj chiusi, / senza cu tti lu mmuchi lu quazoni/ e senza cu bba ttuzzi cu lli musi a nu cantoni. Vedrai via del Fossato ben pulita, meglio di via Toledo, e dopo che l’avranno illuminata su e giù, potrai camminare anche ad occhi chiusi, senza sporcarti i pantaloni e senza che vada a battere il muso contro un angolo ( da Ton Filandru di Filippo Tripaldi ).

Fuètulu – i s. m., ostacolo, intoppo / guscio: cu ll’anitu ti l’acieddi s’era fattu nu fuètulu, il nido degli uccelli aveva formato un intoppo.

Fuffa s. f., nel linguaggio inf., fuoco. Soprannome della famiglia Di Lauro.

Fuggiana agg. f.sing., dal lat. fovea= buca; acqua fuggiana, acqua di foggia, di cisterna, quindi acqua piovana e dolce.

Fui-fui nomignolo dato al giovane e futuro senatore Giacomo Lacaita per la sua andatura svelta. V. nzurcari.

Fuina – i s. f., faina.

Fuinu – a agg., pl. inv. fuini, pronto e furbo: è fuinu lu agnoni, è un bambino pronto e scaltro.

Fujazza – i s. f., dal volg. foliacea, foglia. V. cincufujazzi.

Fujettu – i s. m., foglietto.

Fulu agg. m. sing., vorticoso; usato nell’espressione jentu fulu, vento con vortici che si forma soprattutto d’estate. V. jentu.

Fumaru – i s. m., fumaiolo: Lu fumaru, titolo di una commedia in dialetto manduriano di G. Valente e Brescia.

Fumìi s. f. pl., stato di agitazione improvviso che prende alla testa: li ènnira li fumìi, gli venne il nervoso.

Fumori s. m., foschia.


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Il dialetto del manduriano: fumu – furcinata

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Fumu s. m., fumo. Detto: E’ meju fumu ti cucina ca jentu ti marina. Meglio affumicarsi in casa, anziché lasciare la porta aperta alle intemperie per consentire che non faccia fumo.

Funaru – i s. m., costruttore di funi. V. zucaru. Soprannome della famiglia Trombacca.

Fùnciu – funci s. m., fungo. Dei funghi locali mangerecci si ricordano: lu fùnciu cardillu, piccolo e bianco, si trova nella macchia; lu carduncieddu, lu lardaru, lu mucchjaluru, la munètula, lu palumminu,di colore bianco, tendente al giallo e dalle lamelle violacee; la pittinècchja, lu fùnciu ti crapa, piccolo e scuro, somiglia a llu carduncieddu; lu paparazzu. E’ muertu cu lli funci, sarà morto improvvisamente ( si dice delle persone assenti senza fondato motivo). Funci e fai, nomignolo con cui si designano i Savesi.

Funnata – i s. f., avvallamento.

Funnieddu – i s. m., fondello, dei pantaloni e delle mutande fatte in casa: s’acchju cànciu li funnieddi a quiddi quazuni, occorre che sostiutisca i fondelli ai pantaloni.

Funnu s. m., fondo: cce piji funnu? Riesci a toccare il fondo?( in posizione verticale, in mare). Come loc. avv., a funnu: è šciutu a funnu, è affondato.

Fùnnucu – fùnnichi s. m., fondaco: lu fùnnucu di lu Rizzettu, il fondaco d Rizzetto ( diG )

Funtana – i s. f., fontana.

Funtanachiara s. f., fonte della verità: qua nci oli la funtanachiara cu ppuramu ncuna cosa, bisogna ricorrere alla fonte della verità per appurare con certezza ( diG. ). Anche fontichiara.

Funtanarosa denominazione del corso di Manduria nel 1756, nel tratto che va dalla chiesa di S. Leonardo ai giardini pubblici.

Furata – i s. f., torchio a mano per spremere le uve dopo la pigiatura o la fermentazione.

Furcata – i s. f., forca in legno o in ferro; la prima era generalmente usata sull’aia per ammassare la paglia o spostare i covoni di grano, biada, piante di ceci, ecc.; la seconda veniva usata nel palmento per lavorar le vinacce. Detto: Cu tti egna bbona la nfurcata, Natali assuttu e Pasca a lla mmuddata. Se vuoi che l’annata sia buona, occorre che Natale sia asciutto e che piova a Pasqua.

Furcedda – i s. f., bastone con un terminale a V ed appuntito dall’altro; ricavato da un ramo, viene utilizzato per sostenere le piante giovani. V. nfurciddari. Indica anche un sostegno dello stesso tipo di quello descritto, che veniva sistemato nella parte latero-anteriore del traino e serviva per appendervi le bisacce, la frusta ed altri oggetti del genere.

Furcina – i s. f., forchetta. Indica anche il carrello della forca. V. scannedda.

Furcinata – i s. f., forchettata.


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Il dialetto del manduriano: furficari – furtuna

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Furficari -furficai – furficatu v. intr., fare con le mani un lavoro impreciso: ca ce sapi filu còsiri: quantu sta fòrfica tuttu lu giurnu, mica sa cucire: tutto il giorno tenta solo di farlo (diG ). V. fòrfica.

Fùrgulu – i s. m., fulmine / razzo di fuoco artificiale che esplodeva in senso orizzontale: cce jè fùrgulu?! Manco fosse un razzo.

Furia loc., a ffuria ti càutu, in piena canicola.

Furmicaluru – i s. m., torcicollo, uccello di passo molto ghiotto di formiche.

Furnacetta – i s. f., sorta di fornello avente il piano di cottura a livello ti lu fucaliri; funzionava con la brace sistemata su una griglia leggermente sottoposta, mentre la cenere cadeva in un cunicolo sottostante; si usava, per es., per preparare il sugo.

Furnaru – a s. m. e f., pl. inv. furnari, foraio – fornaia. Al f., insetto corrispondente alla blattella germanica, una specie di scarafaggio che si annida nella corteccia degli alberi di ulivo provocandone la morte. Soprannome della famiglia Moscogiuri.

Furnèšciri – furnii – furnutu v. tr. e intr., finire, esaurire: ama furnutu, abbiamo finito.

Furnisòriu s. m., forno elettrico dove si preparano grandi quantità di pane da destinare alla vendita; si distingue da lu furnu, perché questo era di tipo artigianale, a legna e il pane veniva cotto su commssione ti li pariani. V. parianu.

Furnufòrnuri s. m., forno: furnu ti campagna, forno portatile costituito da un coperchio che si metteva sulla teglia, opportunamente coperto di brace. Se la teglia veniva messa a sua volta sulla brace, si aveva la cottura fuecu sotta e fuecu sobbra; occa ti furnu, si dice di bambino che piange in maniera ostentata. I forni, in passato, erano molto importanti per la cottura del pane che ogni famiglia preparava in casa. Si ricordano: il forno delli Vizzarri, in via Bizzarri; il forno Sbavaglia, in via De Ferraris; il forno di Sala, in vico Sala; il forno delli Firelli attestato nel 1756; il forno di Cafariello attestato nel 1693; il forno dell’arciprete in vico III M. Gatti; il forno del notare Giovan Battista attestato nel 1693.

Furoni – furuni s. m., salvadanaio. Soprannome della famiglia Gioia.

Furticiddu – i s. m., volano sistemato nella parte inferiore del fuso con la funzione di equilibrare il fuso stesso e delimitare la parte su cui si avvolgeva il filo.

Furticieddu – i s. m., dim. di furtu, piccolo furto.

Furtuna – i s. f., fortuna: m’acia fatta nduinari la furtuna, mi son fatto predire il destino ( da appositi girovaghi di origine zingaresca che solevano venire in città specie nei giorni di festa ; questo si verificava sino agli anni ’60 del sec. XX ); furtuna ozzi, fortuna volle; la furtuna ti lu Micacu, la fortuna dei poveri; a Ddiu e furtuna, o la va o la spacca. V. ašciu.


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Il dialetto del manduriano: furtuna – giacanti

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Detto: Aggi furtuna e mmèniti a mmari, ca mancu ti nfuechi, se la fortuna ti assiste, ce la farai anche nelle situazioni più difficili.

Furzioni – furziuni s. f., dal lat. fluxio- onis, flusso nasale causato da raffreddore.

Fusu – i s.m., fuso, attrezzo usato per la filatura del cotone e della lana. Si compone di un bastoncino affusolato, la mòscula e lu furticiddu. Indica anche la vite del torchio.

Fusufai s. m., inv. al pl., dal gr. siukofàgos, rigogolo, uccello caratteristico delle nostre zone.

Futtatinni v. fòttiri.

Fùttisi v. fòttiri.

Futtištèriu – futtištèrî s. m., raggiro: l’onnu pijata a futtištèriu, l’hanno presa con leggerezza, per gioco ( senza valutarne il danno ).

Gelatu – i s. m., gelato: li gelati ti la Parma, erano venduti da una tale di nome Palma, che d’estate era solita girare per le strade del paese per tentare la gola dei ragazzini: questo accadeva alla fine degli anni ’40 del Novecento.

Genitori s. m., inv. al pl., genitore. Detto: Nu genitori manteni teci fili, ma teci fili no mantennu nu genitori. Un genitore mantiene dieci figli, ma dieci figli non sono in grado di mantenere un genitore.

Genzimentu s. m., lett. cenismento: onnu tati li terri a gensimentu, hanno assegnato le terre ( agli agricoltori ) dandole in enfiteusi.

Gentilizia – gentilizi s. f., tomba di tipo meno aristocratico della cappella, come questa costituita da più loculi.

Gersuminu – i s. m., gelsomino. Stornello: Quannu našcišti tu našciu na rosa, našciu nu gersuminu e na cirasa. Quando nascesti tu nacque una rosa, nacque un gelsomino ed una ciliegia.

Ggiubba – i s. f., giubbotto.

Ghenga s. f., dall’ingl. gang, banda di malviventi: onnu fatta na ghenga tutt’e quattru! Tutti e quattro hanno formato un bel gruppo di malviventi.

Ghiuštari – ghiuštai – ghiuštatu v. tr., aggiustare: si ghjùstunu li cosi, cummari, si ghjùstunu, siaggiustano le cose, comare, si aggiustano ( da Lu massaru Cricòriu rusci rusci, di M. Greco, atto II, sc. XIII ). V. giuštari.

Ghjuštu – a agg., pl. inv. ghjušti, giusto: jè ghjuštu, è giusto. V. giuštu.

Giacanti s. inv., gigante: s’è fattu quantu nu giacanti, è cresciuto quanto un gigante.


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Il dialetto del manduriano: giammuerru – giuminèa.

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Giammuerru s. m., dal gr. kamòrrhoia, flusso nasale causato da raffreddore. V. cuštipu.

Giammurratu – a agg., pl. inv. giammurrati, che ha il flusso nasale da raffreddore: štou tuttu giammurratu, sono molto raffreddato.

Giatedda – i s. f., dal volg. cibatella, cibo per poveri, piatto casereccio che non ha corrispondente in it. Consiste in un misto di acqua, olio crudo di oliva, sale, aglio crudo e pomodori freschi tagliati a pezzi. L’acqua è piuttosto abbondante per consentire di inzupparvi il pane raffermo che, specie se fatto in casa, acquistava particolare sapore. La giatedda era molto usata come colazione per tutti coloro che erano impegnati a lavorare le uve nel palmento ed era d’obbligo che venisse offerta dal proprietario delle uve. L’uso della giatedda derivò dalle condizioni di estremo sfruttamento degli operai nei secoli passati, giacché l’unico pasto che veniva fornito loro nelle aziende agricole, dove lavoravano per mesi lontano dalla famiglia, era un pezzo di pane duro da intingere in una brodaglia salata. V. palumintaru.

Giju – i s. m., giglio: giju marinu, giglio marino, così chiamato perché cresce sui litorali sabbiosi.

Gilei s. m., dal fr. gilet, panciotto: mìntiti lu gilei, indossa il panciotto.

Ginuflissu – i s. m.,specie di zanzara minutissima e molto fastidiosa per le sue punture. V. zampillu.

Gioia s. f., qualità eccezionale: i’ cce gioia ti pummitori, vedi che qualità straordinaria di pomodori; usata nell’espressione a gioia: cce ni tieni ùnguli? – A gioia. Ce n’hai fave fresche? Ne ho in abbondanza.

Giòini agg. m. e f., pl. inv. giùini, giovane: giòini giòini, da bravo giovane. La forma sost. del m. sing., lu giòini individuava il protagonista, per es. di un film, colui che risolve tutte le situazioni: šta rria lu giòini, ecco che arriva il protagonista. V. iddu, giuinottu.

Gira la cònfia nome di un gioco inf. in cui, mentre il gruppo fa il girotondo, un ragazzo dall’esterno cerca di afferrare uno dei compagni; la presa è resa difficile dal fatto che ognuno cerca di difendersi scalciando. Il ragazzo preso va a sostituire il ragazzo esterno.

Giramientu – i s. m., giramento, atto del girare: tegnu giramienti ti capu, mi gira la testa.

Girella s. f., ruota dentata usata dal fabbro per misurare il diametro e la circonferenza delle ruote dei carri.

Giròggini s. m., inv. al pl., candela infissa in un sostegno.

Giuari -giuou – giuatu v. intr. dif., giovare: lu friscu mi giòa, il fresco mi giova.

Giùgnu s. m., giugno.

Giuinottu – i s. m., giovanotto. V. giòini.

Giuminèa s. f., dal fr. cheminée, cornice del caminetto ovvero della cucina a legna, sulla quale si posano diversi oggetti di uso corrente: mìntulu sobbr’a lla giuminea, mettilo sulla cornice del camino.


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Il dialetto del manduriano: Giuncari – gnuttu

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Giuncari – giuncai – giuncatu v. intr., anchilosarsi: aciu giuncatu cu štou tre ori ssittatu, mi sono anchilosato a stare tre ore seduto.

Giunchiju – i s. m., giunchiglia.

Giurnali s. m., inv. al pl., giornale.

Giurnu – i s. m., dal volg. diurnu, giorno: na cosa ti giurnu, una cosa da farsi subito; comu la notti cu llu giurnu, si dice di situazione completamente opposta ad altra. V. dia.

Giuštacòfini s. m., inv. al pl., sin. di consalimmi.

Giuštari – giuštai – giuštatu v. tr., aggiustare; termine più corrente di ghiuštari.

Giuštiniani denominazione della masseria situata sul versante destro della prov. per Maruggio: prende il nome dal sacerdote Giambattista Giustiniani che ne era proprietario.

Giuštu – a agg., pl. inv. giušti, giusto, termine più corrente di ghiuštu. Avv. nell’espressione giuštu giuštu ( trovarsi ) a proposito; a giuštu ( lu giuštu ) šta dici? Dici sul serio? Lu giuštu ti l’ànima, veramente.

Giutiziu s. m., giudizio.

Gnagnari – gnagnai – gnagnatu v. tr. e intr., dal lat. adglaciare, masticare: no bidi ca no gnagna chiui, ca è pirduti li dienti? Non vedi che non riesce più a masticare perché ha perduto i denti? ( diG ).

Gnazzari – gnazzai – gnazzatu v. intr., congelarsi.

Gneta – i s. f., bietola.

Gnetta – i s. f., sin. di jetta.

Gnigna s. f., cervello, in senso fig.: no ni tieni gnigna, sei senza giudizio.

Gnincòsia pr. ind., ogni cosa: lassa gnincòsia dda ssobbra, lascia tutto là sopra.

Gnittatura s. f., pettinatura. Lo stesso termine lo troviamo usato in un atto notarile del 1455.

Gnora v. gnuru.

Gnornò loc, da signor, nossignore. V. gnuranò.

Gnorsì loc., da signor, sissignore. V. gnurasì.

Gnòttiri – gnuttii – gnuttutu v. tr., dal volg. gluttio, inghiottire: gnòttiri a bbacanti, ingoiare a vuoto ( atto di disagio ).

Gnulanza- i s. f., svenimento: mamma, mo mi eni na gnulanza, mamma mia, mo svengo ( da La capasa di M. Greco, atto V ).

Gnuranò loc., da signura, nossignora. V. gnornò.

Gnurasì loc., da signura, sissignora, v. gnorsì.

Gnuricari – gnuricai – gnuricatu v. tr. e intr., dal volg. niguricare, diventare nero: lti gnòricu li uècchj, ti faccio gli occhi neri; l’ua šta zzicca a gnuricari, l’uva comincia a farsi nera, a maturare.

Gnuricori s. m., nerume.

Gnuru – gnora agg., pl. gnuri – gnori, di colore nero.

Gnuttu – i s. m., dal volg. gluttu, sorso, piccola bevuta.


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Il dialetto del manduriano: i’– illanegna

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I’ avv., lett. vedi, ecco: i’ ddo štai, ecco dove sta; ilu, ila, ili, eccolo, eccola, eccoli. V. ilunì.

Icchjàia s. f., vecchiaia: a lla icchjàia, a vecchiaia. V. icchjezza.

Icchjaredda -i s.f., dim. di ècchja, vecchietta.

Icchjarieddu – i s.m., dim. di ècchju, vecchietto.

Icchjezza s. f., vecchiaia: a bbicchjezza, alla vecchiaia. V. icchjàia.

Icchjridduzzu – a s., pl. inv. icchjridduzzi, vezz. di ècchju, vecchierello.

Icinu- a agg., pl. inv. icini, vicino; nella forma sost., vicino di casa. V. riggina. Come avv., icinu, quasi: era icinu cu ccàsciu, non sono caduto per miracolo. Detto: Ci uè friechi lu icinu, còrchiti preštu e òziti a matutinu. Se vuoi far meglio del vicino, vai a letto presto e lèvati di buon mattino.

Iddanza – i s. f., bilancia.

Iddu – edda, dal lat. ille – illa, egli, lei. Al m. individua il protagonista in un racconto, un film, ecc.: cuštu è iddu! Arriva lui, il potagonista! V. cuddu, edda, giòini.

Igna – i s. f., vigna.

Ijari – ijòu – ijatu v. intr. dif. , imbizzarrirsi del bue.

Iji s.m. pl., inguine: li dessi na càuci intr’a l’iji, gli diede un calcio nell’inguine ( diG ). V. ìnciuli.

Ila v. i’.

Ilagna – i s. f., pecora di due anni.

Ilanzinu – i s.m., bilancino di tirante simile a llu mangulu; da una estremità si collegava a llu cuddaru e dall’altra tirava l’aratro. Indica anche l’animale da tiro meno forte, solitamente un puledro, che affiancava il cavallo o il mulo nel tirare il traino: no ssi buenu mancu pi ilanzinu, non sei capace neppure di svolgere una funzione secondaria.

Ilenu s. m., veleno: m’aciu pijatu tantu ilenu, mi sono tanto tormentato.

Ili v. i’.

Illanedda – i s. f., dim. di illana, contadinotta.

Illanegna s. f., gente dei campi: mo sobbr’a lu Cumuniè nchianata totta la illanegna, adesso a governare c’è tutta la gente incolta ( diG ).


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l dialetto del manduriano: illanieddu – innimari

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Illanieddu – i s. m., dim. di illanu, contadinotto.

Illanu – a s. m. e f., pl inv. illani, contadino- a. Soprannome della famiglia Calò. Detto: To fiati lu illanu si mmena a llu muriri: quannu fatìa ddo iddu e quannu mància a casa ti l’otri. In due occasioni il contadino si impegna senza misura: quando lavora nei suoi campi e quando è invitato a pranzo.

Ilu v. i’.

Ilunì loc., guarda un po’ come insiste. V. ì’.

Inazza s. f., vinaccia.

Inazzu, soprannome della famiglia Dinoi.

Inchjmientu – i s. m., riempimento.

Inchjsciari – inchjsciòu – inchjsciatu v. intr. imp., piegarsi al vento, di rami. V. ìnchju.

Inchjturu s. m., riempitivo: pi cce štai, pi inchjturu ti munnu? Che ci stai a fare, giusto per essere presente?

I’nchju – ènchjuri s. m., fusto flessibile del lentisco usato nella costruzione di panieri, oppure come frustino. Detto: Turci inchjtieddu quannu è tinirieddu. Intervieni nell’educazione dei figli finché sono piccoli.

I’nciuli s.m.pl., inguine: tegnu n ‘èrnia ntra l’ìnciuli, ho un’ernia inguinale.

Indetta s. f., vendetta: ni ulìa indetta, voleva vendetta.

Infiernu s. m., inferno: quantu mueri ai a ll’infiernu, quando morrai andrai all’inferno ( modo di dire con i bambini o scherzosamente con gli adulti, per mettere sotto accusa una bugia o un cattivo comportamento.

Ingarzu s. m., strumento del falegname con guida regolabile atto a costruire scanalature nei teleai di porte e finestre. Indica anche la scanalatura per la sistemazione di vetri e pannelli nei telai di porte e finestre.

I’nghisi espressione pronunciata in segno di sodisfazione per significare che qualcosa ha funzionato molto bene.

Iniri – inni – inutu v. intr., venire: cce jè bbinutu? È venuto?; ci m’àcchju inennu, se per caso vengo; mo si ni eni, ecco il caso, l’esempio pratico.

Innegna – i s. f., vendemmia: šta šciamu a lla innegna, in questi giorni siamo impegnati a vendemmiare.

Innimari – innimai – innimatu v. tr., vendemmiare: ‘ma innimatu a lla Cicora, abbiamo vendemmiato la vigna che abbiamo in contrada Cicora.


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Il dialetto del manduriano: intaju – irgugnari

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Intaju – i s. m., ventaglio; il Rohlfs riporta erroneamente vintaju.

Intalora – i s. f., nube che annuncia il levar del vento.

Intari – intai – intatu v. tr., subdorare, intuire la presenza di qualcosa: la mušcia jè bbintata la carni, la gatta ha sentito l’odore della carne. Come v. intr., riposare: ca cce bbenta mai quannu šta fatìa! Lavora senza darsi un attimo di posa. V. sbintari.

Intina – i s. f., ventina: srai ca jè bbinutu na intina ti fiati, sarà venuto una ventina di volte.

Intinella s.f., tipo di tela leggera.

Intirrina – i s. f., pioggia accompagnata da forte vento.

Intisciari- mi intisciai – intisciatu v. intr. medio, irritarsi della pelle a causa del vento: mi intisciai totta la facci, mi si irritò la pelle del viso.

Intizzulu – i s. m., vezz. di jentu, venticello: ti dda eni nu bellu intizzulu, da lì viene un bel venticello.

Intra avv., dal lat. intra, dentro; sono correnti anche le forme contratte ntra e nta: štonnu intra intra, sono fin troppo in intimità; o intra o fori, o la va o la spacca. V. carni, culu.

Intulari – intulai – intulatu v. tr., separare i legumi secchi dalla pula, facendo cadere il tutto dall’altezza del capo. Il vento provvede ad allontanare la pula, mentre i legumi per il loro peso cadono ai piedi dell’operatore. Significa anche scaraventare: l’è bbintulata na scarpa a ncapu, gli ha scaraventato una scarpa in testa. Come v. intr., nella espressione ama intulatu, osci, abbiamo avuto un bel vento sostenuto, oggi.

Intulazioni s. f., ventilazione.

Inuta – i s. f., atto del venire, venuta. V. sciuta.

I’para – ìpiri s. f., vipera.

Irchjulanu – a, agg., pl. inv. irchjulani, erchiolano, di Erchie; nella forma sost., Erchiolano, abitante di Erchie.

Irdatera V. irdatieru.

Irdati s. f., verità: cummari mia, pi dìciri la irdati, comare mia, a dire la verità… ( da Lu massaru Cricòriu rusci rusci, di M. Greco, atto II, sc. XI ).

Irdatièru – irdatera agg., pl. irdatieri – irdateri, veritiero.

Irgogna s.f., vergogna.

Irgugnari – mi ni irgugnai – irgugnatu v. intr. medio, vergognarsi: e noni ca si ni irgogna: teni la facci tošta, teni! Non si vergogna mica, anzi è sfrontato.


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Il dialetto del manduriano: irïari – itetta

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Irïari – irïai – irïatu v. tr., arare la seconda volta: la terra sta’ irïata ( diG ), la terra è pronta per la piantagione.

Iritati s. f., eredità. Denominazione della masseria e della contrada situate sul versante destro della S.S. per Lecce.

Irmicari – irmicou – irmicatu v. intr. dif., formicolare della pelle: mi sentu tutti li carni irmicari, avverto un formicolio su tutto il corpo.

I’rmici v. èrmici.

Irmicieddi s. m. pl., dim. di ermi, pasta fatta in casa lavorata col pollice e l’indice per essere ridotta a grani della dimensione del riso.

Irmitignu – irmitegna agg., pl. irmitigni – irmitegni, di colore verde vivo.

Irnata – i s. f., invernata.

Irnitìa s. m., venerdì: si ni inìa lu irnitìa, stava per giungere il venerdì.

Irtulina – i s. f., dal volg. avertula=bisaccia, una gran quantità, scarica: t’aggi’ a ffa’ na irtulina ti mazzati a propria, ti devo dare tante di quelle botte ( da La capasa, di M. Greco, atto I ). V. paliata.

Isa avv., usato nell’espressione isa isa, appena: ama sciuti isa isa, l’operazione si è conclusa appena sulla sufficienza.

Iscìlia s.f., vigilia: la iscìlia ti Natali, la vigilia di Natale.

Išci loc., dal gr.isti, sta per ‘fermati’, termine usato nel condurre animali da tiro: iiiii, forma abbreviata di išci; mannaggia išci e cuddu caminava, imprecazione innocente usata con i bambini per dire “ accidenti a quando si vuol fermare un mulo e questo non intende.

Issica – issichi s. f., vescica: l’è ssuta na issica a lu disciutu, gli è uscita una vescicola al dito ( diG ).

Išt onom., espressione usata per scacciare un gatto.

Išta s. f., vista. V. sordu.

Išticedda – i s. f., dim. di ešta, vestina.

Itarella – i s. f., chiodo corto a testa tonda e grossa, usato per suolare le scarpe del contadino.

Itetta s. f., vedetta, guardia: s’è misu a lla itetta, si è messo in guardia, in attesa.


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Il dialetto del manduriano: itranesi – jacchisciari

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Itranesi agg. m. e f., pl. inv. itranisi, avetranese, di Avetrana; nella forma sost., Avetranese, abitante di Avetrana.

Itriulu s. m., vetriolo, minerale usato insieme alla calce per comporre un preparato col quale si irrora la vigna contro la peronospora. V. conza.

Itru – i s. m., dal lat.vitrus – i, vetro.

Ituru s. m., ioduro: mìntiti nu picca di ituru sobbra cuddu mercu, metti un po’ di ioduro su quella ferita ( diG ).

Ituta – i s. f., veduta, panorama.

Iu – a agg., pl. inv. ii, vivo: jè ssanu e bbiu, è vivo e vegeto: espressione usata per chiamare a testimone qualcuno: na, lu Nicola, jè ssanu e bbiu, toh! può testimoniarlo Nicola che è vivo e vegeto.

Iziosa v. iziusu.

I’ziu – izї s. m., vizio: cuddu teni lu ìzi c’a parlà’ sempri, quella persona ha il difetto di intervenire sempre, anche a sproposito. Detto: ìziu e natura nzin’a lla morti dura. Vizio e temperamento durano sino alla morte.

Iziusu – iziosa agg., pl.iziusi – iziosi, vizioso, pieno di vizi: ca si’ iziusu! Sei vizioso! Soprannome della famiglia Stranieri.

Izzicari – izzicou – izzicatu v. intr. imp., sin. di nziddicari (v.), piovigginare. V. izzichisciari.

Izzu soprannome dato al sac. Gregorio Sergi. V. papa.

Jabba loc., non dar retta: jabba, fani come è dittu la mamma, non dar retta, fai come ha detto la mamma.

Jabbari – jabbai – jabbatu v. tr., prendere in giro: ma jù no ti sta jabbu filu, ma io non ti sto prendendo in giro ( da La capasa, di M. Greco, atto II ).

Jabbitari – jabbitai – jabbitatu v. intr., abitare: a ddo jàbbiti? Dove abiti?

Jabbu s. m., presa in giro, compiacimento ( per le altrui sventure ): no tti fari jabbu, non compiacerti ( potrebbe succedere anche a te ).

Jacca s. f., caccia notturna praticata per catturare uccelli o pesci. Dopo averli abbagliati con una sorta di fanale chiamato bacuccu, gli uccelli venivano accoppati con una pala mentre erano appollaiati sugli alberi, e i pesci, infilzati con la fiocina.

Jaccaluru – i s. m., cacciatore che pratica la jacca.

Jacchisciari – jacchisciai – jacchisciatu v. intr., cacciare col sistema della jacca.


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Il dialetto del manduriano: jacciari – jammili.

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Jacciari – jacciai – jacciatu v. intr., ghiacciare, intirizzire: m’onnu jacciati li mani, mi si sono congelate le mani. Jacciu s. m., ghiaccio. In un passato non lontano, quando non vi erano ancora i frigoriferi, in via Uggiano, segue num., non lontano dai giardini pubblici, vi era la fabbrica del ghiaccio di Quero, processo industriale delle [...]

Il dialetto del manduriano: jammitedda – jattaluru

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Jammitedda – i s. f., dim. di jamma, piccola gamba. Jancu – a agg., dal volg. blancu, pl. inv. janchi, bianco. V. biancu. Janòa – i s. f., lett. ‘ via nuova ‘, strada intercomunale rimessa a nuova e quindi tutta bianca di tufo, quando non si usava ancora l’asfalto: ba rrobba sobbr’a na janòa, vai a [...]
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