l dialetto del manduriano: jattanìcula – jona
Il dialetto del manduriano: jònnula – laccu
Il dialetto del manduriano: laciertu – lanata
Laciertu s. m., lacerto, carne di primo taglio della coscia del manzo.
Lacrima – i s. f., lacrima: no nc’è na lacrima ti ueju, non c’è una goccia d’olio; no tteni lacrimi cu chjanci, è povero in canna. Indica anche il succo d’uva ricavato prima della pigiatura.
Làfia s. f., rafia
Lagnusu – lagnosa agg., pl. lagnusi – lagnosi, che si lagna in continuazione: cce si’ lagnusu! Quanto sei lagnoso!.
Làjana – i s. f., dal gr. làganos, pasta sfoglia resa sottile dalla pressione ti lu lajanaturu. Al pl. indica una sorta di fettuccine molto larghe ricavate dalla làjana per incisione della stessa. V. pašta.
Lajanaturu – i s. m., matterello usato per stendere la pašta fatt’ a casa e preparare la làjana, su cui poi si incidevano li làjini. V. làjana, pašta.
Lajinisciari – lajinisciou – lajinisciatu v. intr. dif., si dice del fuoco che arde vivacemente.
Làmia s. f., tipo di calce spenta molto dura, utilizzata per tenere insieme i tufi nelle strutture portanti curve ( volte ).
Lamientu – i s. m., lamento.
Lamintari – mi lamintai – lamintatu v. intr. medio, lamentarsi: ti šta lamienti tuni! Ti lamenti tu! ( ed io cosa dovrei dire? ).
Làmmia – lammi s. f., terrazzo: sobbr’a lla lammia, sul terrazzo.
Lampanti agg., usato nell’espressione uèju lampanti, olio d’oliva di scarto usato per accendere le lampade ad olio. V. uèju.
Lampatina – i s. f., lampadina. Indovinello: Cu nu pugnu n’ènchj na casa. Con un pugno riempie una casa.
Lampiggiari – lampiggiou – lampiggiatu v. intr. imp., lampeggiare. Detto: Quannu lampeggia lu punenti no ssi ni ai senza nienti.Quando lampeggia a ponente, il maltempo qualcosa farà.
Lampinu – i s. m., cero: aciu ppicciatu nu lampinu a lli muerti, ho acceso un cero in suffragio dei morti. V. lucegna.
Lampiunaru – i s. m., persona addetta ad accudire le luci pubbliche quando queste funzionavano a petrolio. Nel 1884 a Manduria esistevano 91 fanali o lampioni, di cui 5 in Uggiano M. Soprannome della famiglia Dimitri.
Lampu – i s. m., lampo. V. ampa. Soprannome della famiglia Musiello.
Lanata s. f., lana tosata: lanata mmucata quannu, la lana è sporca quest’anno ( diG ).
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Il dialetto del manduriano: lancedda – latuernu
Lancedda – i s. f., brocca; già annotato dal Greco come termine raro.
Lanzetta – i s. f., lancetta dell’orologio. Anche arnese molto tagliente usato dai maniscalchi per salassare gli animali.
Lanzittata – i s. f., colpo, fitta.
Lanzulu – i s. m., dal volg. lenteolu, lenzuolo. V. jascioni.
Lapeštri s. f., inv. al pl., ramolaccio selvatico, tipo di verdura selvatica commestibile.
Làpisi s. m., inv. al pl., dal lat. lapis-lapidis, matita.
Làpiti s. f., inv. al pl., lapide; al pl., pietre: cce so’ … làpiti?! Cosa sono, pietre! ( si dice della grandine che cade a grossi chicchi ).
Lapna – i s. f., labride, pesce coloratissimo diffuso nei nostri mari.
Lappa – i s. f., schizzo di saliva che sfugge nel parlare, oppure saliva che bagna l’orlo del bicchiere.
Lippi-lappi, soprannome della famiglia Dimitri.
Lappisciari – ( mi ) lappisciai – lappisciatu v. tr. e rifl., bagnare, bagnarsi di saliva.
Lardaru – i agg. m., tipo di fungo consistente come lardo: fùnciu lardaru.
Lardu s. m., lardo, sporcizia: uarda cce lardu ca tieni sobbra, vedi come sei sporco.
Largu s. m., largo, piazza. V. mienzu.
Lassari – ( mi ) lassai – lassatu v. tr., lasciare. Come v. intr. medio, perdere la propria tenuta e consistenza: quedda rrobba s’è lassata totta, quel panno ha perso la sua consistenza.
Laštra – i s. f., vetro della finestra: s’è rotta la laštra, si è rotto il vetro.
Latru – a s., pl. inv. latri, ladro – a.
Lattalora – i s. f.; al sing., mughetto, malattia che tende ad incrostare la lingua dei neonati: veniva curata trattandola con pennellate di miele.
Indica anche un tipo di verdura selvatica: cresce ai margini della macchia e nei campi; viene consumata lessa, mista ad altre cicerbite.
Latti s. m., latte: l’aciu crišciutu cu llu latti ti l’acieddi, l’ho tirato su con ogni attenzione.
Lattimatu – a agg., pl. inv. lattimati, pieno, sostanzioso, si dice soprattutto dei mitili: cozzi lattimati.
Lattimi s. f., sin. di latti, latte, in senso fig.
Latuernu – i s. m., lamento, mugugno insistente: spìcciala cu štu latuernu! Smettila di mugugnare.
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Il dialetto del manduriano: lau – lezza
Lau – i s. m., lago. V. laccu.
Laùru s. m., dal volg. auguriu, folletto che, secondo la superstizione, si compiace di creare difficoltà durante la notte. Un’interessante descrizione di questo folletto si trova in G. Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto, pagg. 48-49. Làutu s. m., lode, usato nell’espressione a llautu a llautu, gioiosamente: li campani šta ssonunu a llautu, le campane suonano a festa: accadeva quando la chiesa annunciava la morte di un bambino o di una donna morta di parto; manciàmu na cosa a llautu a llautu, mangiamo qualcosa subito subito. Indica anche un infuso a base di bacche di alloro per calmare i dolori addominali.
Laùzzu – i s. m., asfodelo, pianta selvatica, annuale, dai fiori bianche e dal fusto slanciato.
Lazzaroni – lazzaruni s. m., birbone; rei lazzaroni, appellativo di Ferdinando IV, re di Napoli, così chiamato per la sua inclinazione a familiarizzare con i popolani.
Lazzu – làzzuri s. m., laccio delle scarpe e simile. E lu lazzu, lu lizzu, lu lazzu, / senza lu lazzu no pozzu šta’, / mamma tammi lu lazzu / ca m’acia mmarità’. Il laccio, il liccio, il laccio, / senza il laccio non posso vivere; / mamma dammi il laccio / perché mi voglio sposare ( dal canto pop. A rrutulì ).
Leandru – i s. m., oleandro.
Lèggiri – liggii – lettu v. tr., leggere: l’era letta ca era šci spiccià’ cussini, l’avevo previsto che sarebbe finita così.
Lèmiti s. m., inv. al pl., lett. limite, accesso al fondo rustico.
Lemma – i s. f., dal gr. limne-limnes = stagno, palude, recipiente in terracotta a forma di tronco di cono capovolto. Serviva per lavare la biancheria con l’ausilio ti lu štricaturu. La lemma aveva alla base un foro normalmente chiuso da un turacciolo, togliendo il quale era possibile svuotare il recipiente dell’acqua sporca.
Lèngua s. f., lingua: la lengua t’aciu ttajari, ti taglierei la lingua ( per evitare di usarla a sproposito); arriou cu lla lengua ti fori, giunse affannando ( per aver corso ); no tti cati mai la lengua! Non perdi mai la parola! ( per evitare di dire spropositi ). Detto: La lengua, senz’ossi, spezza l’ossi. La lingua, pur essendo senza ossa, può spezzare le ossa ( nel senso che può ferire mortalmente).
Lenta usato nella loc. tari la lenta, dare corda libera, dare piena libertà. V. lientu.
Lenza – i s. f., fascia, benda: falli lenzi lenzi, riducili a brandelli. Indica anche la corda usata dai muratori come guida nella posa dei tufi.
Lepri – liepri s. m. e f., lepre: è pijatu lu lepri, è caduto lungo disteso.
Lezza – i s. f., albero e frutto del leccio. Nel 1866 nel rione Porticella era censita una strada denominata vico Lezza. Detto: Lu puercu mazzu si sonna sempri lezzi. Il maiale affamato sogna le ghiande ( nel senso di desiderare ciò che non si può avere ).
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Il dialetto del manduriano: lianti – limasurda
Lianti s. m., inv. al pl., era l’operaio addetto alla raccolta ti li scièrmiti durante la mietitura del grano; mettendo insieme più scièrmiti si formava il covone. V. mannedda, mannùcchju, scèrmiti.
Liatizza dal volg. levaticiu, agg. f., pl. liatizzi, non fisso, che si può rimuovere: scala liatizza, tipo di scala che si poggia al muro o all’albero.
Liatru – i s. m., misura per la lana equivalente a quattro ròtuli. V. càntaru, ròtulu.
Liccesi agg. m. e f., pl. inv. liccisi, leccese, di Lecce; nella forma sost., Leccese, abitante di Lecce.
Licchettu – i s. m., lucchetto: li ai a licchettu, gli va a pennello.
Lìcinu – lècini s. m., ricino, frutto scuro, di forma ovale: uèju ti lècini, olio di ricino. In passato si vendeva ad once, per cui si diceva: tammi nn’onza e menza ti uèju ti lècini, dammi un’oncia e mezza di olio di ricino.
Liddaru – i s. m., sorta di raschiatoio montato su asta per pulire l’aratro.
Lièggiu – lèggia agg., pl. inv. lieggi, leggero; più antico di liggieru.
Lientu – lenta agg., pl. inv. lienti, lento, non svelto / che non ha la sua caratteristica robustezza: štu liquori è cchjutoštu lientu, questo liquore non è molto forte; sapi, si senti ti lu lientu, si sente un tanfo, cattivo odore ( caratteristico, per es., di un piatto non lavato bene ).
Lientu – lientu, soprannome della famiglia Melle.
Liettu – i s. m., letto: liettu ti lu sitazzu, telaio rettangolare che veniva sistemato sobbr’a llu taulieri per setacciare la farina; liettu ti la zita, casa già pronta di tutto per la coppia prossima alle nozze. Pochi giorni prima del matrimonio, parenti ed amici degli sposi usavano visitare lu liettu ti la zita per constatare la futura sistemazione. Per l’occasione si effettuava una dimostrazione scrupolosa del patrimonio casalingo, al punto che i genitori degli sposi sciorinavano ai presenti tutto l’abbigliamento, anche intimo, dei promessi sposi ed ogni dotazione che facesse parte della casa. V. minari, tota. Detto: Lu liettu si chiama rosa, ci no ddurmi, riposa. Il letto è un grande conforto, sia per dormire che per riposare. Stornello: A cce mi servi a mmei ca n’amamu ci ti lu liettu puei luntani štamu. A che pro ci vogliamo bene se poi non facciamo l’amore.
Liggieru – liggera agg., pl. liggieri – liggeri, leggero. V. lieggiu. Soprannome della famiglia Ruggieri.
Liggištrari – liggištrai – liggištratu v. tr., registrare: ancora l’onnu a liggištrari, non lo hanno ancora registrato.
Lignami s. m., legname, legno di noce, ulivo, ecc. V. tàula.
Ligurda ( = brodo ? ), solo nell’espressione mamma ligurda: si ddintou tuttu comu na mamma ligurda, si combinò come una mamma ligurda ( diG ).
Lima – i s. f., lima: lima a ccota ti sorgi, lima tonda; altr tipi sono: lima chjatta, quatra, a triàngulu, a curtieddu.
Limasurda – i s.m., sornione: jè nu limasurda, eti …! è un tipo sornione.
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Il dialetto del manduriano: limmitari – littera.
Limmitari s. m., inv. al pl., soglia di casa: trasi, no tti štà’ sobbr’a llu limmitari, entra, non stare sulla porta; sucu ti limmitari, sbaciucchiamenti tra fidanzati quando si amoreggiava sull’uscio di casa della ragazza, come si soleva fare in passato.
Limmoni – limmuni s. m., grosso recipiente in terracotta, a forma di cilindro nella pare superiore e di tronco di cono capovolto in quella inferiore. Decorato con semplici e rudimentali motivi, alla base aveva un foro per lo svuotamento dell’acqua. Serviva per fare il bucato. V. còfunu.
Limmu v. lemma.
Limmuncieddu – i s. m., dim. di limmoni ( v. ).
Limoni – limuni s. m., albero e frutto del limone.
Lìninu – i s. m., lendine, uovo del pidocchio.
Lintìcchja s. f., lenticchia.
Linu s. m., lino. I semi, cotti, venivano usati per preparare mpiaštri ti semi ti linu da applicare generalmente sulla spalla per la cura di dolori reumatici. Detto: Cuddu ca no nni futtimu a linu ni lu futtimu a lana. Quel che si cerca di risparmiare si finisce per spenderlo diversamente.
Lippisciari – lippisciai – lippisciatu v. tr. e rifl., rendere viscido / sbavarsi.
Lippu s. m., dal gr. lipos, limo, patina viscida: quiddi chjanchi onnu fattu lu lippu, su quelle chianche si è formata una patina viscida.
Lippusu – lipposa agg., pl.lippusi – lipposi, viscido a causa della presenza di limo.
Lišcebbussu s. m., manrovescio. Anche termine usato nel gioco del tressette per dire che si gioca un asso accompagnato da altre due carte non di pìzzicu, che possono essere scartine o figure.
Lìšcia avv., impunemente: šta fiata no tti la passi lìšcia, questa volta non la fai franca. Denominazione della contrada situata immeditamente a Sud di Uggiano Montefusco.
Lissia s. f., liscivia, l’ultima acqua ancora calda che vien giù da lu limmoni durante il bucato. Essendo ormai pulita e ricca di sali detergenti, veniva utilizzata per fare lo shampoo, oppure per pulire i pettini o altri oggetti ingrassati. V. còfunu.
Liticari – ( mi ) liticai – liticatu v. intr., parlare: no lliticà’ sempri, non parlare sempre. Come v. intr. medio, bisticciare.
Liticatuertu – i s. m. e f., linguacciuto, che parla a sproposito.
Litirnaru – i s. m., pianta dell’alaterno; veniva utilizzata per costruire li scupari per l’aia.
Litrattu – i s. m., ritratto, fotografia.
Littera – i s. f., giaciglio / letto del traino.
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Il dialetto del manduriano: littòlica – lliari
Littòlica – littòlichi s. f., da retorica, discorso prolisso: mo zzicca na littòlica, mo comincia una predica che non finisce mai.
Livellu s. m., livello / livella.
Lizzetta – i s. f., ricetta medica / capriccio; no tti sunnà’ lizzetti, non farti venire capricci.
Lizziunisciari – lizziunisciai – lizziunisciatu v. tr., dare lezione, istruire.
Lizzu s. m., liccio, parte del telaio che serve a distanziare i fili dell’ordito per consentire il passaggio della navetta. V. sciušcèttula.
Llallà avv., là, usato nel linguaggio inf.: sciamu llallà, andiamo a spasso. Soprannome della famiglia Piccinni.
Llampari – llampai – llampatu v. tr., fare sparire in breve tempo qualcosa dalla tavola, dal mercato, a motivo della sua bontà: a lla chjazza li cirasi si l’onnu llampati, al mercato le ciliegie sono state acquistate in un baleno.
Llanari – llanai – llanatu v. tr., sbranare: si lu llanou, lo sbranò.
Llarciari – mi llarciai – llarciatu v. tr. e rifl., insudiciare: l’è llarciatu, lo ha insudiciato.
Llarcioni – llarciuni s. m. e f., che tende a sporcarsi. Soprannome della famiglia Palummieri.
Llargari – mi llargai – llargatu v. tr., allargare; come v. intr. medio, allargarsi: no tti llargà’ motu, modera le pretese.
Llari – mi llai – llatu v. tr. e rifl., lavare, lavarsi: llàiti cu llu saponi, lavati col sapone.
Llattari – llattai – llattatu v. tr., allattare: llatta lu agnoni, allatta il piccolo. Come v. intr., trarre beneficio: osci llàttunu tutti, oggi tutti traggono benefici personali.
Llattata – i s. f., poppata.
Llazzaratu – a agg., pl inv. llazzarati, pieno di piaghe, graffi e simili.
Lletu – a agg., pl. inv. lleti, cattivo, riferito sia ad umore che a condizione di salute: cce ssi’ lletu! come sei cattivo!
Lliari – lliai -lliatu v. tr., togliere: llèutlu ti la capu ca …, toglitelo dalla testa che … ; ti llèunu li mazzati ti nta lli mani, ti inducono ad usare le maniere forti; allè’ ti nanzi, togliti di torno; no nni lliei e no nni minti, né più, né meno; si llèunu quasi to janni, hanno una differenza di età di quasi due anni.
Si porta a conoscenza che è di prossima pubblicazione la terza edizione del vocabolario del dialetto manduriano, corretto e arricchito con oltre cento nuovi vocaboli, nonché corredato di un DVD che contiene cinque scene sulla cultura locale che va scomparendo, più la pronuncia parlata, oltre che scritta, di ogni vocabolo.
Chi fosse interessato a questa terza edizione prima della pubblicazione, può prenotarlo al costo di 20 euro rispetto al prezzo di copertina di 30 euro, telefonando al n. 339 1191514.
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Il dialetto del manduriano: lliccari – lorita.
Lliccari – lliccai – lliccatu v. tr., leccare: s’è lliccatu lu piattu, ha mangiato tutto fino a pulire il piatto col dito; in senso fig., : mo ti ni lleccu unu, ti mollo uno schiaffo. Ha anche il significato di llimpiari ( v. ). Detto: Ci gira llecca, ci si štai secca, chi si dà da fare ottiene, chi aspetta la manna dal cielo muore d’attesa.
Llimmiccari – llimmiccou – llimmiccatu v. intr. dif., gocciolare: la cannedda di lu capasoni sta llimmicca, il cannello della giara gocciola ( diG ).
Llimpiari – mi llimpiai – llimpiatu v. tr. e rifl., dallo sp. limpio = pulito, rendere, rendersi elegante: comu t’a llimpiatu! Come sei elegante!
Llintari – llintai – llintatu v. tr., allentare / alleggerire, ma anche mollare, di ceffone: mo ti ni llentu unu, ti ni llentu! Mo te ne mollo uno!
Llišciari – llišciai – llišciatu v. tr., adulare / accarezzare ( di animali ) / battere: ci mi ccappi ti llišciu lu pilu, se mi vieni a tiro te le suono.
Llittichiri – llittichii – llitticutu v. intr., perdere di vivacità a causa di un dispiacere o di eccessivo impegno mentale: comu zziccou a šci a lla scola, lu agnoni llittichiu tuttu, come iniziò a frequentare la scuola, il bambino perse la sua naturale vivacità.
Llummari – llummai – llummatu v. tr., saltare, scavalcare: jè llummatu lu pareti, ha saltato il muro; sciucamu a llummari, giochiamo alla cavallina.
Llummu – i s. m., salto: jè ddatu nu llummu … ha fatto un salto…
Lluntanari – ( mi ) lluntanai – lluntanatu v. tr. e rifl., allontanare, allontanarsi.
Llupatu – a agg., pl. inv. llupati, che cresce rachitico, non ben sviluppato: si dice di frutta, verdura, ecc. V. lopa.
Lluppiari – lluppiai – lluppiatu v. tr., anestetizzare. V. lòppiu.
Lluzzari – lluzzai – lluzzatu v. tr., individuare con la vista: no nci lluzzi? Non riesci a vedere?
Lochemmonnu – i , s. m., lett. luogo immondo, cesso.
Loffa – i s. f., flato anale silenzioso individuato per il cattivo odore; sin. di puzza ( v. ).
Loffi-loffi, soprannome della famiglia Destratis.
Lopa – i s. f., fame da lupo: tieni na lopa, frati mia! Hai una fame, caro mio!
Capu ti lopa, soprannome delle famiglie Erario e Carrozzo.
Lòppiu s. m., oppio: l’onnu tatu lu lòppiu, lo hanno anestetizzato.
Lorita agg. f. sing., trattata con alloro, si dice dell’acqua in cui si conservano l’aulii a lla conza: acqua lorita, infuso di alloro.
Si informano gli interessati che a breve, prima di Natale, uscirà la 3^ edizione riveduta e correta del Vocabolario del dialetto manduriano di Pietro Brunetti. Al volume è allegato un DVD che propone in dialetto cinque scene della società manduriana, nonché la pronuncia parlata di ogni vocabolo. Si può prenotarlo a 20 euro la copia, risparmiando rispetto al prezzo di copertina di 35 euro, telefonando al n. 339 1191514.
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Il vocabolario del mnduriano: loru – luengu.
Loru pr. pers., loro, essi; anche agg. e pr. poss. inv., loro.
Lota s. f., dal volg. luta, mota, fango: quann’era prima sciucàumu nta lla lota, una volta si giocava per istrada, nel fango.
Lu art. m., sing., il, lo; anche pr. pers., lo: lu iddi l’otru giurnu, lo vidi l’altro giorno.
Luatu – i s. m., pasta cruda, lievitata, della dimensione e forma di una pagnotta; si conservava di settimana in settimana per lievitare il pane. Una volta lievitato il nuovo impasto, se ne traeva un pezzo da usare come lievito per la volta successiva.
Lucegna – i s. m., cero funzionante con uno stoppino immerso in un miscuglio di olio e acqua. Detto: Quannu la mušcia ngula a lli lucegni, no ssi ni ncarica ca si uška l’ogni. Quando la gatta ha imparato a gustare l’olio dei ceri, non le importa se si brucia le zampe.
Lucerna – i s. f., pesce prete, di colore marrone chiaro, testa massiccia e occhi posti nella parte alta.
Lucerta – i s. f., lucertola: lucerta fracitana, geco dei muri; lucerta cu ddo coti, lucertola con doppia coda: era tenuta in particolare considerazione perché si riteneva che portasse fortuna.
Lucešciri – lucišciu – lucišciutu v. intr. imp., fare giorno: lucišcia lu lunnitia, quannu …, era l’alba del lunedì, quando …; era lucišciutu, era già luce. Detto: Lucešci e scurešci e la vita si furnešci, giorno dopo giorno, la vita passa.
Luci s.f., luce / punto luce; ppiccia li luci, accendi le luci;sott’a lla luci, luogo sito all’attuale numero civico 76 di via Salvatore Gigli, così denominato agli inizi del ’900 per la presenza di una centrale che forniva l’energia elettrica alla zona.
Luciertu s. m., “ultima vertebra che si stacca alla coda dei gattini” ( Rohlfs ): s’acchia li tiramu lu luciertu a cuddu iattuddu ci no no nci ngrassa, bisogna strappare l’ultima vertebra a quel gattino, altrimenti non cresce ( diG ).
Lucignu – i e lucègnuri s. m., stoppino di cotone che pescava nell’olio della lucerna.
Lùciri – lucìu v. intr. dif., splendere: mo si ca luci! Adesso veramente splende! V. cani.
Lucirnedda – i s. f., piccola lucerna: ti luntanu si itìa na lucirnedda, da lontano si intravvedeva una piccola luce. Poesia: So’ setti lucirneddi cupi cupi di barchi ca sta bonnu pi ppiscari. Sono sette lucerne lontane, di barche che vanno a pescare. ( Da La ninna nonna di lu carru, di M. Greco ).
Lucirtoni – lucirtuni s. m., ramarro.
Luecu s. m., luogo. Detto: A luecu štrittu ficchit’a mmienzu. Quando sembra che non ci sia più spazio per nessuno, fatti avanti che uscirà anche per te.
Luengu – longa agg., pl. luenghi – longhi, lungo: ti na inuta longa longa, vieni sfacciatamente a chiedermi …; catìi luengu luengu, caddi lungo disteso; anche avv.: ti luengu a luengu, per lungo.
Si porta a conoscenza dei gentili lettori che è possibile prenotare copia della 3^ edizione del Vocabolario del dialetto manduriano, che uscirà a giorni, telefonando al n. 339 1191514. Prenotando prima che sia in libreria, si potrà acquistarlo al prezzo speciale di 20 euro anziché 35. All’attuale edizione, riveduta ed ampliata, è allegato un DVD che riproduce cinque scene di vita quotidiana.
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Il dialetto del manduriano: luju – luzzu
Luju s. m., luglio. Detto: Ci no ccoci luju e acoštu, acrištimu jè lu muštu. Se a luglio ed agosto non fa caldo, il mosto non sarà sano e robusto.
Lumafocu – lumafochi s. m., fiammifero. Termine non più in uso. V. luminu.
Lumbrizzu – i s. m., lombrico, ma anche la molletta che consente l’apertura automatica delle forbici che si usavano in cucina o per la campagna. Soprannome della famiglia Marino.
Lumera – i s. f., fuoco fatuo, che si spegne rapidamente.
Lumi s. m., inv. al pl., lume a petrolio.
Luminera – i s. f., centostelle, piccolo fuoco artificiale usato dai bambini nel periodo natalizio. Nna oci: E šci cantòu puru quedda sera: lucìa la luna comu luminera. Andò per canti anche quella sera: la luna splendeva come fuoco artificiale ( da San Frangiscu, di p. G. D’Ostuni ).
Luminu – i s. m., fiammifero: lumini a zzurfu, fiammiferi da cucina, a zolfo; lumini a ccera, cerini. V. lumafocu, pòspuru.
Lunara – i agg. f., si dice della pecora sterile, che non figlia: pècura lunara.
Lunaterra s.f., gioco per ragazzi a due squadre. I componenti della prima squadra si tenevano in fila, piegati a mo’ di somari, mentre quelli della seconda vi saltavano sopra e restavano in sella finché i primi reggevano. Alla domanda “ luna o terra ?”, i cavalcati rispondevano “ luna “ se riuscivano a resistere, “ terra “, se invece intendevano arrendersi.
Lungottu – i s. m., concio di tufo della lunghezza di circa 47 cm, utilizzato per superare la giuntura dei tufi sottostanti.
Lunnitìa s. m., lunedì: lunnitìa faci ottu, lunedì prossimo saranno trascorsi otto giorni.
Lupinaru – i s. m., mestiere di chi preparava e vendeva i lupini. Soprannome della famiglia Piccinni.
Luparieddi s. m. pl., tracoma: teni li luparieddi, ha il tracoma.
Lupu – i s. m., lupo: lupu surdu, tipo egoista e sornione. Gettoni che crescono alla base dell’albero di ulivo e che i contadini lasciano per tutta l’estate, affinché lu puntaluru ne mangi le tenere foglie, invece di attaccare la chioma dell’albero con danno per le olive.
Lupu t’api, gruccione, uccello di passo nella nostra zona, predatore di api.
Luštra s. f., luce degli occhi: cu perdu la luštra ti li uècchj, che possa perdere il lume della vista ( da La capasa, di M. Greco, atto V ).
Lutrinu – i s. m., pagello fragolino, pesce pregiato caratteristico dei nostri mari.
Luzzu – i s. m., piolo della lunghezza di circa 20 cm che serviva a bloccare le stanghe del traino o del biroccio, alle staffe di cuoio ( cuei ) dei finimenti del cavallo. Indica anche il merluzzo.
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l dialetto del manduriano: ma – màcula
Ma s.f., ma’, voc. di mamma. Anche v. aus., abbr. di ama: ‘ma fattu, abbiamo fatto. E’ agg. poss. usato in posizione enclitica, mio, mia, miei: marìtuma, cucìnima, mio marito, i miei cugini. E’ anche cong., ma: ma cce! Ma che!
Macagna – i s. f., magagna: štai sempri cu lla macagna! Operi sempre con la furbizia!
Maccabbeu – a s., pl. inv. maccabbei, babbeo – a: cce sorta ti maccabbeu, che sorta di babbeo.
Maccaluru – i s. m., fazzoletto che le donne usavano mettere in testa. V. muccaluru.
Maccarroni – maccarruni s. m., al sing., persona lenta e incapace di iniziativa: propia maccarroni sinti! Sei proprio stupido! Al pl., pasta fatta in casa, in genere. Li maccarruni possono essere con il buco (pizzarieddi ), štrascinati ( recchj ), maccarruni filati, sorta di tagliatelle. V. faa.
Macchja – macchj s. f., pianta del ficodindia; in passato si usava dare in fitto la macchja ti ficalinni durante la stagione del frutto. Anche macchia mediterranea, caratteristica delle nostre zone, con una varietà eccezionale di piante che si differenzia per fasce, a partire da pochi metri dalla battigia fino ad alcuni chilometri nell’entroterra. Piante caratteristiche della macchia sono: lu frùmulu, lu tumu, lu scuerpu, la rosamarina, la spinaruta, lu mùcchju, la frasca, lu frùšciulu, la murtedda, lu spinapòlici, lu tèrmiti, ecc. Macchj, luogo fitto di cespugli. Santu Còsumu ti li macchj, santuario di san Cosimo alla Macchia, in territorio di Oria. Le Macchie in Feudo Santi Còsuma sono note fin dal 1587.
Detto: Li macchj tennu uècchj e lli pariti recchj. I cespugli vedono e le pareti sentono.
Macchjnoi tipo di fico. V. fica.
Macènnula – i dal volg.machìnula, s. f., arcolaio; serviva per trarre i rocchetti dalla matassa di lana o di cotone. Gli stessi venivano poi usati per la tessitura al telaio.
Gira macènnula e nno mi fa’ catì’, ritornello pronunciato in un gioco di bambini, consistente nel girare su se stessi, con gli occhi chiusi, finchè si riusciva a stare in equilibrio. Anche argano in legno usato dai muratori per portare in alto tufi e malte.
Màchina – s. f., autovettura. Anche macchina da cucire: minari a mmàchina, cucire a macchina. Nel 1886 via Salvatore Gigli si chiamava strada Macchina, per la presenza del primo mulino a vapore di proprietà del Gigli.
Maciddari – maciddai – maciddatu v. tr., spremere: mi sta maceddu li mitoddi e no sàcciu com’aggia fari, mi arrovello il cervello e non so come fare ( diG ). V. manciari.
Macinieddu – i s. m., macinino per il caffè.
Macu – a s., pl. inv. machi, persona tonta, scemo-a.
Màcula – i dal lat. màcula – ae, s. f., macchia, segno: stessi malata cu li uecchi e li ristara li màculi, ebbe un male agli occhi e le restarono i segni ( diG ).
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Il dialetto del manduriano: maeštru – majulu
Maeštru – i s. m., maestro. E’ anche la denominazione del gioco che consisteva nel fissare sul terreno verticalmente una pala di ficodindia e, dietro a questa, la posta consistente in monetine di metallo. A turno, da una distanza convenuta, ogni giocatore doveva tirare, a mo’ di piattello, un’altra pala dello stesso frutto con lo scopo di atterrare la prima e scompigliare le monete: il giocatore vinceva la moneta più vicina alla sua pala.
Mafisci loc., è finito, non c’è più nulla.
Màfuru – i s. m., tappo della botte.
Magnu – a dal lat. magnus – a – um, agg., pl. inv. magni, grande, in senso generale: tegnu to magni frati, ho due gran bei fratelli. Come agg. sost: magnu mia! Bello mio! Usato come avv.: comu sciamu? – magni, come stai? – bene; quedda magna fatta ti la Rusina, quella poco di buono della Rosina; s’è fattu magnu cranni, è gia avanti con gli anni.
Maippu – a agg., pl. inv. maippi, malizioso: iè propia maippu, è prprio malizioso ( diG ).
Maisìa loc. avv., non sia mai: maisìa cu lli bba ddici cussini! Non sia mai che gli vada a dire questo!; maisìa pi ttei! Non ti permettere!
Maištri usato nell’espressione maištri maištri, il meglio: si scapòu tutti li maištri maištri di quiddi cimi di rabbicàuli, scelse il meglio delle cime di rape ( diG ). Li maištri maištri è il titolo di una antologia di poesie in dialetto manduriano pubblicata dallo scrivente nel 1989.
Maja – i s. f., maglia, sorta di canottiera pesante confezionata in lana di pecora; serviva a proteggere dal freddo, ma era anche molto salutare contro le eccessive sudorazioni: infatti, assorbendo il sudore, evitava il raffreddamento della pelle. No tteni na maja, è completamente al verde. Indica anche l’unità di misura del lavoro a maglia: m’è scappata na maja, mi è sfuggita una maglia dall’ordito.
Majatu – i s. m., maschio della capra, caprone: pari nu majatu, sembra un caprone.
Majola – i s. f., pianta giovanissima di olivo: aciu chjantati tre majoli, ho piantato tre alberelli di ulivo.
Majorca, tipo di grano. V. cranu.
Maju s. m., attrezzo in legno del muratore utilizzato per battere il cemento quando si lastricavano le stanze o i solai.
Majuèttulu – i s. m., stoffa piegata alla rinfusa.
Majulu – i dal volg. malleu, s. m., mazzuola con la quale si batteva l’arco durante l’operazione di montatura del cotone. V. arcu.
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Il dialetto del manduriano: malacoffu – mamma
Malacoffu s. m., crinolina.
Malacrianza – malicrianzi s. f., malacreanza, mancanza di rispetto, scortesia: a me no mi l’era uta a fari propria quedda malacrianza, a me non avrebbe proprio dovuto farla quella scortesia ( diG ).
Malandroni -malandruni s. m., poco di buono: jè nu sorta ti malandroni! È un poco di buono!
Malangari – malangai – malangatu v. intr., dire male di qualcuno. V. murmurari.
Malannata – i s. f., cattiva annata: štannu jè malannata, quest’anno è una cattiva annata.
Malannu – i s. m., malanno. Detto: Passati li cinquant’anni, arrìunu li malanni. Dopo i cinquant’anni, arrivano i malanni.
Malatu – i s. m., piaga: sobbr’a llu malatu, sulla piaga.
Malerba inter., accidenti: malerba a ttei! Accidenti a te!
Mali s. m., male, epilessia: teni lu mali, soffre di epilessia. Indica anche la malattia della vite dovuta alla presenza di oidio. V. zzurfari. Detto: Mali no ffari, paura non averi. Non far male a nessuno e affronterai tutto senza paura.
Maliminatu – a agg., pl. inv.maliminati, parassita, che ama oziare.
Malimparatu – a agg., pl. inv. malimparati, maleducato; è usato più con valore di participio passato: l’onnu malimparatu, lo hanno male educato.
Malipalori s. f. pl., cattive parole, malomodo: lu pijòu a malipalori, lo investì con cattive parole.
Maliparata s. f., mettersi male, di una situazione instabile: comu eddi la maliparata si la squajou, come vide che le cose si mettevano male, tagliò la corda.
Malisorta s. f., lett. malasorte, ma molto più spesso usato nell’espressione: oh, mmalisorta nòšcia! Oh, poveri noi!
Malitiempu s. m., maltempo, tempo che minaccia temporale.
Malombra – i s. f., fantasma: a llu scuru iddi na malombra, nell’oscutità vidi un fantasma; pi lla malombra! Per bacco!
Malupinu – a s., pl. inv. malupini, malpelo. V. pilurussu.
Mamma – i s. f., mamma; mama, màmmita, màmmisa, mia madre, tua madre, sua madre: fiju ti bbona mamma, figlio di buona donna. In senso fig. significa “ il fior fiore “: fammi la mamma ti lu bbeni, fammi questo grande favore; ccuji li mammi mammi, raccogli il meglio. Indica anche la feccia depositata nel recipiente in cui è contenuto il vino: štai ancora sobbr’a lla mamma, ( il vino non è stato ancora travasato ). Come loc. è usato nell’espressione e mamma mia! Ed è poco!, a dir poco! V. tuccarìa.
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Il dialetto del manduriano: mammaccioni – mandra
Mammaccioni – mammacciuni s. m., scarabocchio: cce so’ šti mammacciuni, cosa rappresentano questi scarabocchi.
Mammara – i s. f., levatrice. Mottetto: Quannu našcii jù mama no nc’era, / ca m’era šci chjamata la mammara; / fueu la mammara e si n’assiu chjancennu: / è nata la sbinturata ti lu munnu. Quando io nacqui mia madre non c’era, / in quanto era andata a chiamare la levatrice; / persino la levatrice se ne andò piangendo, / lamentando la nascita di una sventurata ( con allusione alla nascita fuori dal matrimonio ).
Mammaredda – i s. f., bambina che si atteggia ad adulta. Indica anche il ramo pendente dell’albero di ulivo, portatore di frutto, diverso da lu sobbracaddu, sterile e superfluo.
Mamma sirena s. f., sirena, sorta di orca che mangerebbe i bambini.
Màmmula – i s. f., la parte migliore. V. mamma 2., pàssula.
Mamòziu – mamozi s. m., scemo, figura ridicola.
Manciacani s. m. e f., inv. al pl., mangia cani: manciacani, cciti pitùcchj e ssona campani, espressione con cui i forestieri apostrofano i Manduriani.
Manciamientu – i s. m., lett. atto del mangiare; è usato soprattutto nell’espressione manciamientu ti capu: quantu manciamientu ti capu! Quanto bisogna arrovellarsi il cervello!
Manciari – manciai – manciatu v. tr., mangiare, anche in senso fig.: mi šta mànciu la capu, mi sto scervellando; manciannu manciannu, mentre si mangia; màncimi màncimi, si dice di persona o cosa che per l’aspetto allettante, sembra quasi dire mangiami. V. maciddari. Detto: Quannu la acca no mància cu llu mboi, o mància prima o mància poi. Se la donna non fa l’amore con il suo uomo è perché ha fatto l’amore prima o lo farà dopo con un altro.
Manciari s. m., cibo: cce l’a tatu lu manciari a llu cani? Hai dato da mangiare al cane? Ai a llu manciari, prende la refezione ( a scuola ).
Manciata – i s. f., quantità di un certo alimento necessaria al pasto della famiglia: na manciata ti foji, la quantità di verdura sufficiente per la famiglia; m’acia fatta na manciata! Ho mangiato a sazietà.
Manciatora – i s. f., mangiatoia.
Mancina s. f., primitivo trapano a mano usato dal fabbro.
Mancu avv., neppure: mancu so’ šciutu, neppure sono andato.
Mancuscòmidi agg. inv., usuale: pezza mancuscòmidi, pezzo di stoffa usuale.
Mandra – i s. f., mandria, branco di animali. Ha la stessa radice dell’antico albanese ( illirico ) mes-mas che significa stallone ( Colella ), ovvero dall’antico indiano Mandurà, che significa stalla di cavalli; questo fonderebbe la tesi del Ribezzo, secondo cui Manduria significherebbe appunto, complesso di fattorie dove si allevano i cavalli. V. Manduria.
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Il dialetto del manduriano: Manduria – maniscu
Manduria n. pr. di città. Tra le varie ipotesi sulle origini di Manduria indichiamo quella del Mazocchi, secondo il quale deriverebbe da Man-Dur, che in fenicio significa colonia di Dora. Questa era appunto una città marittima della Fenicia; sicché Manduria sarebbe stata di origine fenicia e sarebbe stata fondata intorno al 1431 a. C. Più accreditata è invece l’origine greco-cretese, che si intreccia con quella degli Illiri-Albanesi, che caratterizzarono il popolo dei Messapi. Venne in contrasto con la città di Taranto, Cartagine e Roma. Nel periodo di invasioni e generale decadenza che caratterizzarono il Medioevo, fu distrutta dagli Agareni intorno all’anno Mille e i suoi abitanti dispersi nelle campagne circostanti, dove più tardi sorsero i casali di Bagnolo, Felline, santo Stasi, santo Moro, san Nicola e Terragna. Fu ricostruita nel 1090 col nome di Casalnuovo da Ruggero il Normanno. Il 14 novembre 1789 con decreto di Ferdinando IV, re di Napoli, le fu restituito l’antico nome di Manduria. V. mandra.
Mandurianu – a agg., pl. inv. manduriani, manduriano, di Manduria. Nella forma sost., Manduriano, abitante di Manduria. Mandurinu – a agg., pl. inv. Mandurini, certamente derivato da mandurinos, termine con cui Plutarco indicava gli abitanti di Mandurinon, Manduria. E’ usato comunemente nell’espressione san Pietru mandurinu, che indica la cripta dedicata a san Pietro situata nei pressi di sant’Antonio. Lo stesso aggettivo è stato più volte ripreso da alcuni per indicare un insieme di altre situazioni relative a Manduria, in sostituzione dell’aggettivo manduriano.
Manganieddu – i s. m., manganello; anche trogolo in pietra per dare da mangiare o a bere agli animali. V. muloni. Indica anche il tavolo sul quale si lavora il formaggio.
Mangrani s. m. pl., sorta di bruchi che rodono i fusti e le foglie delle giovani piante di pomodori ed altri ortaggi.
Mangulu – i s. m., sorta di timone ricurvo che da una parte si allacciava a llu cuddaru e dall’altra agganciava la pisara. Il mulo, tirando lu cuddaru, automaticamente tendeva lu mangulu, che a sua volta trascinava la pisara. Lu mangulu è simile a lu ilanzinu.
Mànicu – mànichi s. m., manico; in senso fig. indica chi comanda: tipendi ti lu mànicu, dipende da chi comanda. V. fucècchja.
Maniggiari – maniggiai – maniggiatu v. intr., avere la disponibilità della cassa: ci manèggia fištèggia, chi maneggia i soldi li utilizza anche a suo vantaggio.
Manìggiu s. m., disponibilità: so’ jù ca tegnu lu manìggiu, sono io che ho la disponibilità delle risorse in casa.
Manija – i s. f., maniglia.
Manijoni – manijuni s. m., accr. di manija, catenaccio: mena lu manijoni a lla porta, metti il catenaccio alla porta.
Manisciari – ( mi ) manisciài – manisciatu v. intr. medio, sbrigarsi, darsi da fare: manisciàtipi ci no’ no nni ccujimu, datevi da fare, altrimenti non riusciremo a finire ( l’impegno assunto ).
Maniscu – manesca agg., pl. manischi – maneschi, pratico: l’aggiu maniscu, ce l’ho pratico.
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Il dialetto del manduriano: mannara – manu
Mannara – i s. f., sorta di scure pesante, a doppia lama, usata dai muratori per squadrare i conci di tufo. Come inter. è una forma più blanda di mannaggia.
Mannari – mannai – mannatu v. tr., mandare. Stornello: Mamma no mmi mannari cchjùu la porta, / dda nc’è lu bbeni mia ca mi ni porta. Mamma, non mi mandare a chiudere la porta, perché lì c’è il mio innamorato pronto a rapirmi. Detto: Lu primu ti lu manna Crištu. La prima occasione ( per es., il primo fidanzato ) te la manda Iddio: sappiala apprezzare.
Mannedda – i s. f., mannello, fascio di spighe che il mietitore afferrava con la mano sinistra per falciarlo. Il mannello veniva poi legato ( v. auzu ) e il mietitore continuava a falciare tenendo nella mano più mannelli. Quando la mano non poteva più contenerne, venivano legati insieme a formare lu scèrmiti. Indica anche una piccola matassa di cotone, lana, ecc.
Mannucchjaru – i s. m., cumulo di covoni sul campo appena mietuto. V. sieddu.
Mannùcchju – mannucchj s. m., dal volg. manupulu, covone di grano: custu jè binutu cu ni scia certu li mannucchi…, costui certo è venuto per scombinare le mie cose ( da Lu massaru Cricòriu rusci rusci, di M. Greco, atto III, sc. I ). V. mannedda, scèrmiti. Soprannome della famiglia Pisano.
Manodda – i s. f., dim. di manu, manina.
Manta – i s. f., coperta di lana. V. cuprea. Soprannome della famiglia Daversa.
Mantagna s. f., luogo riparato dal vento: no tti mèntiri a lla mantagna ca ci no suti, non stare al riparo, altrimenti sudi.
Manteca – mantechi s. f., dallo sp. manteca, formaggio tenero ripieno di burro e, per estensione, leccornia: šti fai so’ na manteca, queste fave sono squisite.
Mantili s. m., inv. al pl., grembiule: prima li agnuni sciunu a lla scola cu llu mantili, un tempo gli scolari indossavano il grembiule( nero ). V. pupa. Detto: Tutti fèmmini sontu: a vvedè puei cinca sapi purtà’ lu mantili nanti. Tutte donne sono: bisogna poi vedere chi sa esserlo veramente.
Mantiniri – (mi) mantinìi – mantinutu v. tr., mantenere; v. intr. medio, mantenersi:mantièniti forti, mantieniti in salute.
Manu – i s. f., mano: a lla manu a lla manu, man mano; sciati manu manu, prendetevi per mano; manu cu mmanu, scambiarsi qualcosa contemporaneamente; a mmanu a sierma, quando mio padre aveva il potere di disporre; manu muzza, dalla mano monca; a mmanu smerza, col dorso della mano; a mmanu tretta, con la destra; nci ozzi la manu ti Diu, fu necessaria la potenza del Signore; onnu fattu cu lli mani e cu lli pieti, hanno abusato oltre ogni misura; li mani ca no tti càtunu! Quelle mani impertinenti! A quiddi minti manu? Con quelli vuoi competere? Tu cu nna manu e jù cu tutti toi, se tu sei d’accordo, io lo voglio più di te; štari cu lli mani a mmanu, stare senza far niente. Detto: Manu ci no ppija, terrenu no sponna, Nulla accade che non sia stato provocato.
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Il dialetto del manduriano: manzu – marenna
Manzu – a agg., pl. inv. manzi, docile, mansueto: jè nu agnoni cchjutoštu manzu, è un ragazzo piuttosto mansueto.
Mappa – i s. f., ramo fronzuto. Indica anche la parte in cui convergono le spighe nel covone di grano. V. culàcchju.
Mappina – i s. f., tovagliolo.
Mappinu – i s. m., ceffone: mo ti lleccu nu mappinu! Ti do un ceffone! V. cincufujazzi.
Mappisciari – mappisciai – mappisciatu v. tr., usare lu mappu ( v. ) per raccogliere l’olio senza affondare nella sentina.
Mappu s. m., piatto di rame leggermente conico usato nei frantoi per raccogliere l’olio d’oliva. V. mappisciari.
Màppulu – i s. m., straccio: nu màppulu ti fujazzi, foglie messe insieme a mo’ di straccio appallottolato.
Mapputu – a agg., pl. inv. mapputi, pieno di rami fronzuti. V. mappa.
Mara agg. inv., dal volg. amaru, povero ( con significato di commiserazione ): mar’a nnui, poveri noi!
Maracciccappa loc., da mar’a cci ccappa, lett. povero colui che capita: maracciccappa a mmanu a cuddu mmalacarni, misero colui che avrà a che fare con quel mascalzone. Denominazione della contrada del territorio di Manduria, subito fuori dall’abitato, tra la linea ferroviaria e la strada statale per Taranto.
Maraija – i s. f., meraviglia: mi fazzu maraija ca …, mi meraviglio che …
Maramei inter., da mar’a mmei, lett. guai a me; nell’accezione corrente, poveretto: no mboli tittu maramei, non va compatito chi la sventura se la cerca. Detto: Jè meju cu ddici maramei ca cu ddici ohi ohi! Meglio dire poveretto ( ad un altro ), anziché povero me!
Marància – maranci s.f., arancia: pi lla marancia! Per Bacco!
Maranciana – i s. f., dall’arabo badingian, melanzana. V. botta.
Maranciti s. f., meningite.
Marcanti s. m., inv. al pl., mercante: faci la rècchja ti lu marcanti, fa l’orecchio del mercante.
Marcatu s. m., mercato. Detto: Lu marcatu ti merca. Le cose che costano poco, come se ne trovano al mercato, spesso sono una fregatura.
Marenna – i s. f., prima colazione.
Informo i lettori eventualmente interessati, che il mese scorso è stata pubblicata la 3^ edizione del Vocabolario del dialetto manduriano, dopo la 2^ edizione del 2002, da cui finora è stata tratta la rubrica in corso.
La nuova edizione, sempre edita da BS editori in Manduria ( info@bseditori.com ), oltre ad essere aggiornata rispetto alla precedente, con l’inserimento di oltre cento nuove schede, contiene anche un DVD che riproduce alcune scene della vita locale che vanno scomparendo, e la pronuncia parlata di tutte le parole censite nel Vocabolario.
Questa edizione è reperibile presso le cartolerie locali, oppure può essere richiesta a BS editori, al prezzo di copertina di euro 35. L’autore Pietro Brunetti.
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Il dialetto del manduriano: margaritoni – martillina
Margaritoni – margarituni s. m., pianta dai bei fiori gialli, nota in agr. col nome di puzzola.
Margiali s. m., inv. al pl., manico della zappa, piccone e simili.
Mari s. m., mare. Stornelli: Bellu è lu mari, bella è la marina, / bella è la fija ti lu marinaru. Tutto è bello ciò che attiene al mare: il mare stesso, la zona costiera e, naturalmente, la figlia del marinaio. Ci a mmari ai tuni, a mmari egnu, / ci èsciu ca ti nfuechi mi ni tornu. Dovunque vai ti seguirò, / ma se vedo che sei in difficoltà, ti lascio e me ne vado.
Maricieddu – i s. m., banco di nebbia.
Marina s. f., zona di mare. Marina, denominazione della masseria e della contrada del territorio di Manduria situate sul versante destro della prov. Manduria-san Pietro, a 1 km dalla spiaggia. La contrada è nota fin dal 1593. Nel 1756 è censita la strada denominata “ sotto la Porta della Marina “, corrispondente all’attuale via Nettuno, dove sorgeva una delle quattro porte d’ingresso nella Casalnuovo medievale.
Marinaru – i s. m., marinaio, pescatore.
Marinnari, marinnai, marinnatu v. intr., fare colazione la mattina.
Mariola – i s. f., tasca interna della giacca. Indica anche un tipo di verdura selvatica commestibile. V. foja.
Maritu – i s. m., marito: marìtuma, marìtuta, marìtusa, mio marito, tuo marito, suo marito. Detto: A cce mi servi a mmei lu maritu, / ci štai sempri a mètiri e a llu trappitu. A che pro avere un marito sempre assente, quando per mietere il grano, quando per lavorare le olive.
Marmàja s. f., marmaglia, frotta: na marmàja ti agnuni, una frotta di ragazzi.
Màrmuru s. m., marmo: oh cce cori ti màrmuru tieni! Hai proprio un cuore di pietra!
Màrpioni – màrpiuni dal fr. morpion=monello, s. m. e f., individuo che tende a sopraffare ed usurpare i diritti degli altri.
Marrettu – i s. m., involtino fatto con cuore, fegato e polmone di agnello; il tutto è tenuto insieme dall’intestino che funge da avvolgitore.
Marru – i s. m., sin. di marrettu.
Martidduzzu – i s. m., dim. di martieddu, piccolo martello.
Martieddu – i s. m., martello.
Martillina – i s. f., freno del biroccio e del traino: tira la martillina, metti il freno. Indica anche il martello usato dai muratori, diverso dalla mazzola; esso poteva essere piano ad un estremo e a taglio dall’altro, oppure a taglio verticale ad un estremo e orizzontale dall’altro. Colgo l’occasione per salutare gli amici di Kiev, che so che seguono questa rubrica.
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Il dialetto del manduriano: martinetti – Màsciu
Martinesi agg. m. e f., pl. Inv. Martinisi, martinese, di Martina Franca; nella forma sost., Martinese, abitante di Martina.
Martitìa s. m., martedì: lu martitìa fannu lu marcatu, il martedì è giorno di mercato.
Maruggesi agg. m. e f., pl inv. Maruggisi, maruggese, di Maruggio; nella forma sost. Maruggese, abitante di Maruggio.
Marva – i s. f., malva. Nella medicina popolare, con la malva, cotta e mista ad ampasciuni crudi e tritati, feci di colombo e mollica di pane cotto, si preparava un impiastro per la cura degli ascessi. Generalmente, dopo detto trattamento, l’ascesso maturava e rompeva. I piccoli ascessi venivano curati con foglie di rosa verdi, non cotte.
Marvasìa s. f., uva malvasia. V. ua.
Marza – i s. f., sarmento sotterrato subito dopo la potatura e utilizzato per effettuare nel mese di marzo l’innesto a spacco.
Marzòticu – a agg., pl. inv. marzòtichi, marzolino, relativo al mese di marzo. V. Pasca.
Marzu s. m., marzo. Detto: E’ meju la mamma cu perdi la fija, ca lu soli ti marzu cu ssi la pija. E’ meglio che una madre perda la figlia, anziché questa si ammali col sole di marzo.
Marzullinu – a agg., pl inv. Marzullini, si dice degli uccelli acquatici di passo che tornano a marzo.
Màscara – màschiri s. f., maschera. Anche sorvegliante, in una sala cinematografica o in un teatro.
Mascaranu – a s., pl. inv. mascarani, persona mascherata.
Mascesi – mascisi s. f., al sing., piantagione di leguminose o ortaggi successiva ad una coltivazione di cereali o a vigneto preesistente. Anche aratura estiva.
Mascìa s. f., magia: sia ca m’onnu fatta la mascìa, come se mi avessero ammaliato. Detto: Ali cchjùi na rècchja chjena ca na mascìa. Un consiglio insistente ha più effetto di una magia.
Mascialora – i agg. f., maggese, di frutti che maturano a maggio: cirasi mascialori, ciliege che maturano a maggio.
Masciara – i s. f., fattucchiera. Anche mantide religiosa.
Masciari – masciai – masciatu, dal volg. majare = lavori di maggio, v. tr., sarchiare nei mesi di marzo e aprile per livellare il terreno che era stato sconcato a novembre. V. rimasciari.
Màsciu s. m., maggio.
Màšciu – mašci s. m., maestro artigiano; è usato in tutte le forle discorsive, tranne come appellativo: è ddittu lu mašciu cu bbai, ha detto il maestro di andare. V. mèšciu.
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