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Channel: Il manduriano – La Voce di Manduria
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Il dialetto del manduriano: mascularu – matedda

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Mascularu – i s.m.,, faniglia, pesce molto diffuso nel nostro mare, simile a llu pupiddu; si gusta specialmente fritto. V. fimminodda.

Masculìcchju – masculicchj s. m., dim. di màsculu, maschietto.

Masculoni – masculuni s. m., accr. di màsculu, maschiaccio; riferito a donna, virago.

Màsculu – i dal lat. masculus, s. m., maschio. Màsculi jadduzzi, soprannome della custode a cui negli anni ’40 del XX sec. era affidato il Fonte pliniano.

Masicola s. inv., da Tommaso Nicola; sin. di babbu. Masirinò denominazione della masseria situata sulla prov. per S. Pietro in Bevagna, allo svincolo per Borraco. Prende il nome da Tommaso Arnò, già proprietario della masseria.

Massara – i s. f., moglie del massaro.

Massaràcchju – a agg., pl. inv. massaracchj, laborioso: jaddina massaràcchja, gallina che fa molte uova.

Massarìa – massarii s. f., fattoria tipica della struttura agraria ancora in vigore nel periodo tra le due guerre.

Massaru – i s. m., conduttore della masseria. Detto: Trasi massaru ca inchj la fera. Gli interventi grossolani e approssimativi fanno solo rumore.

Massicedda -. i s. f., piccola massa, piccolo mucchio.

Maštignu – a agg., pl. inv. maštigni, nerboruto, corpulento.

Maštru – i s. m., maestro; il termine è usato come appellativo per i muratori: maštru Ronzì, mastro Ronzino. V. meštru. 

Matacchjusu – matacchjosa agg., pl. matacchjusi – matacchjosi, dalla corporatura piena e sanguigna. V. matacchjutu.

Matacchjutu – a agg., pl. inv .matacchiuti, dalla corporatura piena.

Matafoni – matafuni s. m., rigonfiamento prodotto da un vestito mal indossato o da una imbottitura mal messa che toglie alla persona o all’oggetto la sua linea caratteristica.

Matarazzu – i s. m., materasso: matarazzu ti lana, materasso di lana. In un atto notarile del 1455 troviamo usato il termine materacium.

Matassaru – i s. m., aspo, bacchetta biforcuta alle estremità per raccogliere a matassa la lana o il cotone.

Matedda – i lett. padella, patella. V. cozza 1. 

Rispondo alla richiesta di chiarimenti sulla parola marva, fatta nella rubrica dell’ 8-2.

Capisco che l’uso delle feci a scopo medicamentoso lascia molto perplessi. Tuttavia, da una ricerca fatta sulla rivista  Focus, nel n. 254 del dicembre 2013, a pag. 56, trovo il titolo: Pillole di feci e alleati batterici. Qui si legge: “ Ingerireste una capsula di batteri fecali? Frenate il ribrezzo: serve a guarire da un’infezione. Thomas Lowie, università di Calgary, ha racchiuso in pillole i batteri buoni dell’intestino, per chi soffre di diarrea causata dal ….. “

Pertanto non mi meraviglierei se la ricetta medica sperimentata da generazioni di nostri progenitori, anche se non in maniera scientifica come si fa oggi in laboratorio, abbia un suo fondamento. E’ certo che le malve avevano un largo impiego come erba medicamentosa, e che non sarebbe l’unico caso in cui la medicina popolare conseguiva risultati inoppugnabili: basti considerare il caso ti li coppabbientu ( v. ).

 


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Il dialetto del manduriano: materia- mattra

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Matèria  s.f., pus.

Matina – i  s. f., mattino. V. timmani. Detto: Tiempu russu ti matina, l’acqua è bicina. Il tempo rosso al mattino annuncia la pioggia.

Matinata – i s. f., mattinata.

Matonna n. f., la Madonna. Matonna ti la Noa, Madonna della buona novella, era l’antica denominazione dell’attuale chiesa di S. Lucia. Matonna ti li Cuncieti, Madonna concedi grazie, denominazione della cappella che è nei pressi della strada per Maruggio e sulla strada statale per Lecce.

Matonna ti Coštantinòpuli, Madonna di Costantinopoli, era venerata nella cappella al posto della quale oggi sorge la chiesa di S. Leonardo. Matonna ti la Cranni o ti li Pezzi, Madonna della Grande o delle Pezze, era venerata nella cappella dell’Assunta. Matonna ti la Màdia, Madonna della Madia, venerata nella cappella omonima, oggi non più esistente. Matonna ti la Misericordia, Madonna della Misericordia, era venerata nella cappella omonima, ancora esistente ma chiusa, situata all’imbocco di via Corcioli. Matonna ti la Pietà, Madonna della Pietà, già venerata dove oggi sorge la dissacrata chiesa di S. Stefano; ora si festeggia nella cappella omonima sita sulla via per S. Pietro. Matonna ti lu Trimulizzu, Madonna del Terremoto, venerata nella chiesa di S. Leonardo dopo il terremoto del 20 febbraio 1743. Matonna ti li Tiluri, Madonna dei Dolori o dell’Assunta, venerata nell’omonima cappella. Matonna Mmaculata, Madonna Immacolata, venerata nella chiesa omonima. Imprecazione: Pi lla Matonna a ddoi! Per la Madonna incinta! Matonna ti lu puzzu, denominazione della contrada situata sul versante sinistro della ferrovia per Lecce. Canto pop.: Ninna nanna, ninna nonna, / è parturita la Matonna / e jè fattu nu bellu piccinnu, / bianch’e russu comu miliddu. / Gesù bambinu è natu / nta na piccula manciatora, / e no tteni no ppezzi e no ffassi / e mancu fuecu pi riscaldà’. / San Ciseppu li ccatta la fassa, / la Matonna lu pija e lu nfassa, / e lu nfassa finu finu, / quant’è bellu Gesù bambinu. / Lu Bamminieddu mmienzu casa, / la Matonna lu zzicca e lu asa, / San Ciseppu cu lli uècchj t’amori / lu zzicca, lu asa e li tona lu cori. Ninna nanna, ninna nonna, ha partorito la Madonna ed ha fatto un bel bambino, bianco e rosso come una mela. Gesù bambino è nato in una piccola mangiatoia e non ha né panni né fasce e neppure fuoco per scaldarsi. S. Giuseppe gli compra le fasce, la Madonna lo prende e lo fascia, lo fascia per benino, quant’è bello Gesù bambino. Il Bambino nel mezzo della casa, la Madonna lo prende e lo bacia, S. Giuseppe con occhi innamorati, lo prende, lo bacia e gli dona il suo cuore.

Matosca s. f., sta per Madonna: pi lla matosca! Perbacco!

Matrèa – i s. f., matrigna: matrèama, matrèata, matrèasa, la mia, la tua, la sua matrigna.

Matriconi s. m., malessere al basso ventre di origine nervosa.

Matrimòniu – matrimoni dal lat. matrimonium – ii, s. m., matrimonio: l’è bbutu a matrimòniu, l’ha avuto in dote; ttaccari matrimòniu, fidanzare ufficialmente due giovani.

Mattoni – mattuni s. m., mattone.

Mattra- i dal gr. mactra, s. f., madia. Detto: Sparagna la farina quannu la mattra è cchjna. Risparma quando è tempo di abbondanza.

 


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Il dialetto del manduriano: mattrabbanca – mbembè

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Mattrabbanca – mattrabbanchi s.f., tavolo a forma di cassone; si apriva dall’alto per riporvi la farina. V. mattra.

Mattunaru – i s. m., mattonaio, costruttore di mattoni.

Mattunaru, soprannome della famiglia Dinoi.

Mattunata -i s. f., ammattonato: ama fatta la mattunata noa, abbiamo rinnovato l’ammattonato.

Màtula – i s. f., bonacciona.

Matunnaru – i s. m., madonnaro, pittore naif che, nel corso delle feste religiose cittadine, riproduce sul selciato, con gessi colorati, le immagini di santi e madonne.

Mau s. m., orco, nel linguaggio inf.: mo eni lu mau, adesso arriva l’orco.

Mazza – i s. f., mazza, bastone: mazzi e corni, bastonati e traditi. Indica anche una sorta di maglio o grosso martello usato per spaccare le pietre.

Mazzarieddu – i s. m., strumento usato dal calzolaio per stirare la suola delle scarpe.

Mazzata – i s. f., al sing., colpo, danno: ama uta na mazzata št’annu, quest’anno abbiamo avuto un grosso danno. Al pl., botte: jè bbuta na friculata ti mazzati, ha avuto una buona dose di botte. V. quatisciata.

Mazzenu – i s. m., soffitta adibita a deposito, con accesso dal terrazzo.

Mazzetta – i s. f., compenso settimanale che il genitore usava dare al figliolo adolescente per le piccole spese personali.

Mazziata – i s. f., scarica di botte: ti fazzu na mazziata … , ti do tante di quelle botte …  

Mazzieri s. m., inv. al pl., mazziere, colui che dirige la processione.

Mazzòccula – i s. f., come mazzola. Indica anche il robusto apparato radicale di una pianta selvatica, come per es. lu tèrmiti.

Mazzola – i s. f., martello usato dai muratori per assettare i conci di tufo. Anche mazzòccula.

Mazzu1 – i s. m., mazzo, di carte, di fiori ecc. Al sing., deretano: aciu fattu tantu ti mazzu, ho fatto un tale sforzo. Sempre al sing. Indica un gioco da ragazzi e lo strumento usato per lo stesso. Consisteva in un astoncino di circa dieci centimetri appuntito alle estremità. Una volta sistemato in un cerchio, che definiva il punto di partenza e di conclusione del gioco, lo si batteva con una racchetta su una delle estremità; levatosi in aria, isognava spingerlo con la stessa, il più lontano possibile verso la meta fissata. Vinceva naturalmente il ragazzo o la squadra che riusciva a riportare lu mazzu nel cerchio.

Mazzu2 – a agg., pl. inv. mazzi, magro: ai mazzu cuddu agnoni, è piuttosto magro quel ragazzo.

Mazzulieddu – mazzuledda agg., pl. mazzulieddi – mazzuleddi, dim. di mazzu 2, magrolino.

Mba forma abbr. di cumpà, cumpari, compare.

Mbe locuz., cosa c’è / ebbene / beh. V. ebbè. Indica anche il suono onom. che imita il verso della pecora.

Mbembè s. f., inv. al pl., usato nel linguaggio inf. Per indicare la pecora: uarda li mbembè, vedi le pecorelle.

 


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Il dialetto del manduriano: mbiernu – mbrujoni.

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Mbiernu s. m., inverno.

Mbilinari – ( mi ) mbilinai – mbilinatu v. tr. e rifl. avvelenare, avvelenarsi: mancu si mbilinou, neppure volle assaggiarlo.

Mbirdicutu – a agg., pl. inv. mbirdicuti, verdastro.

Mbirminari – mbirminou – mbirminatu v. intr. imp., fare i vermi: li fichi onnu mbirminati tutti, i fichi hanno fatto i vermi. V. ermi.

Mbitiari – mbitiai – mbitiatu v. tr., invidiare.

Mboi dal lat. bos-bovis, s. m., pl. inv. e uei, bue. V. scienceCantilena inf.: Šta chioi, / l’acqua ti li mboi, / l’acqua ti l’acieddi, / ni ni sciamu a carruzzeddi.  Piove, / l’acqua dei buoi, / l’acqua degli uccelli, / ce ne andiamo a carrozzelle. Detto: Lu mboi chjama curnutu lu ciucciu. Il bue chiama cornuto l’asino.

Mbràcchju dal volgare umbraculu, s. m., parasole rudimentale costituito da un telaio coperto di canne e rami secchi: mìntiti sott’a llu mbracchju, mettiti all’ombra del parasole.

Mbramari – mbramai – mbramatu v. tr., avvolgere sino a soffocare: l’aurli štonnu mbramati ti fiuri, gli alberi sono pieni di fiori. V. prama.

Mbrattari – ( mi ) mbrattai – mbrattatu v. tr. e rifl., macchiare, imbrattare, sporcare, sporcarsi.

Mbrau agg. inv., bravo; detto in segno di approvazione: mbrau! Bravo!

Mbrazzari – ( mi ) mbrazzai – mbrazzatu v. tr. e rifl., abbracciare, abbracciarsi: lu mbrazzòu forti forti, lo abbracciò con tutto il cuore. Usato come v. intr. medio, afferrarsi.

Mbriacari – ( mi ) mbriacai – mbriacatu v. tr. e rifl. , ubriacare, ubriacarsi.

Mbriaconi – mbriacuni s. m., accr. di mbriacu, ubriacone.

Mbriacu – a s., pl. inv. mbriachi, ubriaco, alticcio.  Detti: Ci uè’ bbiti lu mbriacu veru, sobbr’a ll’acitu bbii a llu mieru. Il vero ubriaco è colui che beve vino dopo aver mangiato un piatto condito con aceto. Lu mbriacu jè perfettu quannu bbei lu mieru škiettu. L’ubriaco è perfetto quando beve il vino schietto.

Mbru onom., è usata nel linguaggio inf.: mbru mbru, bevi.

Mbrueju – i s. m., imbroglio.

Mbruiddu s. m., vaiolo. Mbruiddu acqualuru, varicella.

Mbrujari – ( mi ) mbrujai – mbrujatu v. tr., imbrogliare. Come v. intr. medio, imbrogliarsi.

Mbrujoni – mbrujuni s. m. e f., imbroglione, truffatore.

 

 


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Il dialetto del manduriano: mbruniri – menti

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Mbruniri – mbrunìu – mbrunutu  v. intr. imp., imbrunire: a mbrunutu, quando fa scuro.

Mbrušcinari – ( mi ) mbrušcinai – mbrušcinatu  v. tr. e rifl., immischiare, immischiarsi / sporcarsi: s’è cchjatu mbrušcinatu ntra nu mari ti uai, si è trovato coinvolto in un mare di guai; uarda comu t’a mbrušcinatu, guarda come ti sei sporcato.

Mburpari – mburpai – mburpatu  v. tr., intridere. Me’ abbr. di mena: mena, mè ! Suvvia!

Mèccia – mecci s. f., pezzetto di legno da incuneare in un incavo per rendere stabili od omogenee due parti disarmoniche. Mei pron. pers., me: ci era pi mmei, se fosse per me. Meju 1 avv., meglio: è meju cu bbai, è meglio che tu vada; a llu meju, può darsi / sul più bello; ti meju a meju, ( cerca ) il meglio. Nella accezione che indica condizione di salute diventa variabile: štai meja, ( lei ) sta meglio. Detto: Cuddu ca no ssucceti è ppi llu meju, quel che non accade è per il meglio.

Meju 2 – a agg., pl. inv. meji, migliore: unu meju ti l’otru, l’uno migliore dell’altro.

Meli s. m., miele: sia ca teni lu meli, come se avesse il miele: si dice di persone che riescono ad attrarre per la loro simpatia o altre doti. Come inter.: mèšciu meli! Caspita! Mena loc., suvvia, sbrigati, sbrighiamoci, sbrigatevi: mena ca prima ti menzatìa ni ‘ma ccòjiri, sbrighiamoci perché dobbiamo concludere prima di mezzogiorno; bah mena! Suvvia. V. me’. Mencattantu cong., v. fignattantu.

Mènchja dal lat.mèntula, s. f., indica l’organo sessuale maschile; il termine è usato come intercalare in un linguaggio sguaiato e scurrile: nta lla mènchja, col cavolo. Il vocabolo, con lo stesso significato, è attestato ne I ragionamenti di Pietro Aretino: “ non gridai, se non quando la menchia mi uscì di casa”. Al suo posto spesso vengono usate le forme meno triviali di mènica e mèšciu. Come inter.: mènchja! Caspita!

Mènica inter., caspita!

Menna – i s. f., mammella: s’acchja lli tou la menna, bisogna che l’allatti; si ttacca a lla menna ca è nna cosa! Poppa con energia ( di neonato )! Osci sobbra mari onnu cu tutti li menni ti fori, oggi sulle spiagge le donne  mostrano il seno udo. V. nnennè, nutrizza, puzzedda.

Mènnula – i  dal gr. amiùgdalon s. f., albero e frutto del mandorlo: mènnula muddesi, mandorla dalla buccia tenera; mènnuli amari, mandorle amare; mènnuli rizzi, mandorle ricoperte di glassa e rese bitorzolute nella forma. Agli inizi dell’800 a Manduria sorse via Amendola, corrispondente all’odierna via Pacelli. V. uèju.

Menti s. f., mente. Usato anche come avv.: a mmenti a mmenti, avevo ferma intenzione di … e poi mi è passato dalla mente. 

 


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Il dialetto del manduriano: mèntiri – mesi

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Mèntiri – ( mi ) mintìi – misu  v. tr. e rifl., mettere, mettersi: mìntiti sotta e datti ta fari, applicati e datti da fare. V. sotta. Come v. intr. medio, chiamarsi, aver nome: comu si menti? Che cognome ha?

Menza – i s. f., misura locale di capacità corrispondente a 17 litri. V. baliri.

Menzaluna – menziluni s. f., coccinella.

Menzanotti s. f., mezzanotte: no po’ bbinì’ cchjù scura ti la menzanotti, peggio di così non può andare.

Menzaquarta – menziquarti s. f., misura locale  per l’olio, corrispondente ad 1/8 di cannata, pari a 1,25 litri.

Menza siena – menzi sieni s. f., chiodo della lunghezza di 10-12 cm a forma di acutu.

Menzasola – menzisoli s. f., suola: mìntimi nu paru ti menzisoli, sistematemi le scarpe con un paio di suole.

Menzatìa s. f.., mezzogiorno. Filastrocca popolare: Šta ssona menzatia, / li muènici a lla tria; / la tria no ss’è ccotta, / manciàmu casiricotta; / casiricotta no nn’aimu / e manciamu cce tinimu; / no ttinimu nienti / e nni lliccamu li tienti; / li tienti e li angali, / mamma mia com’ama ffari. Suona mezzogiorno / ed i monaci si apprestano a mangiare le tagliatelle; / le tagliatelle non sono cotte, / mangiamo cacioricotta; / cacioricotta non abbiamo / e mangiamo quel che teniamo; / non abbiamo niente / e ci lecchiamo i denti, / i denti e i molari, / mamma mia come faremo.

Menziterri s. m. pl., terre non buone, terri rossi. V. terrarossa.

Mèrcia s. f., ambiente della masseria in cui si lavorava il formaggio; anche l’operazione con la quale si provvedeva a preparare ricotta, cacioricotta e formaggio: si diceva fari la mèrcia. V. casularu.

Mercu – merchi dal fr. marque = marchio, s.m., ferita non ancora cicatrizzata.

Mèšcia – mešci s. f., lett. maestra. Era il titolo con cui veniva designata la gestrice di una sala di custodia per bambini; quasi sempre trattavasi di personale analfabeta che ignorava i principi fondamentali della didattica. I piccoli venivano raccolti in una stanza dello stesso appartamento in cui viveva la mèšcia. Mèšcia era pure il titolo che si dava alla sarta, alla ricamatrice e alla maestra di scuola elementare.

Mèšciu – mešci s. m., maestro; usato specialmente come appellativo per gli artigiani prima del nome di battesimo: mèšciu Pascali, maestro Pasquale; mèšciu ti scola, maestro di scuola elementare. Come inter., mèšciu! Caspita. V. mènchja, mènica.

Mesi – misi s. m., mese. Al sing., mestruazione: l’è bbinutu lu mesi, ha le mestruazioni.

 

Scheda etimologica di cacabùzzuru.

 

  Il termine è una parola che non mi risulta esistere nel dialetto manduriano, ma esiste in quello grottagliese; esso è composto da caca e bùzzuru.

La prima parte è indubbiamente riferita all’azione del cacare, come si trova in altri termini quali cacamargiali, cacanitu, cacaredda, cacarieddu, cacaroni, cacasìmmiti,  cacatoštu, cacaturnisi, cacaturu e cacazza.

Verosimilmente l’etimologia di bùzzuru,  potrebbe indicare l’effetto di buzzarari, dal volgare bulgiarare, a sua volta derivato dal deponente latino abuteor – eris, abusare, da cui anche abusus, abuso.

Per estensione, poiché la lingua nel tempo è soggetta ad una continua manipolazione ed adattamento alle esigenze dei parlanti, nel caso della parola cacabùzzuru, caca potrebbe essere inteso nel senso di dare, produrre l’effetto di … un bùzzuru, ossia di un abuso, un inganno.

Sicché l’oggetto in ceramica del cacabùzzuru, che rappresenta un buontempone panciuto, sarebbe un inganno, giacché in effetti l’oggetto è un contenitore di buon vino.

Anche se bùzzuru fosse da assimilare a buzzurru, sempre della stessa radice di abuteor, questa volta riferito a persona col significato di facchino, poco di buono, štasi, e quindi anche ingannatore, non cambierebbe molto il significato di cacabùzzuru, inteso come soggetto poco di buono, all’apparenza un buontempone panciuto, ma che inganna per il suo contenuto; quindi bùzzuru sarebbe l’inganno, buzzurru, l’ingannatore. L’oggetto in questione è esposto nella raccolta museale della Torre Columena.

 

Pietro Brunetti

 

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Il dialetto del manduriano: Messa – mienzu peti

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Messa – i s. f., messa: Messa šcijata, liturgia dell’adorazione della Croce del Venerdì santo, giorno in cui non si celebra la santa Messa, ma viene regolarmente somministrata la Comunione. Il popolo, rilevando il rituale inconsueto, lo definì Messa šcijata; jè mpiddata Messa, hanno già suonato la terza volta a raccolta per la Messa; Messa utata, dopo il Vangelo; qua si canta Messa, è tutto qui ( si dice della tavola imbandita per significare che tutto il desinare è lì ). V. fatiari, papa.

štiri – mištìi – mištutu v. tr., centrare, riuscire. Detto: L’a mmèštiri e jè na pešti. Anche se ben riuscito, ( il matrimonio ) è sempre una peste.

Meštra s. f., attività di cucito o di ricamo / sala di custodia per bambini: aciu šci’ a lla mèštra, devo andare al laboratorio di ricamo, di cucito.

Mèštru – i s. m., maestro artigiano. V. maštru, mèšciu.

Mèsula – i s. f., piccola parte: tutti scuezzi, sulu ncuna mèsula di terra bona, sono tutti sassi, c’è solo una piccola parte di terra buona ( diG ).

Meta – i dalla radice mat = collina, del sostrato linguistico mediterraneo; s. f., bica, modo di sistemare i covoni di grano sull’aia, talché l’insieme prendeva la forma di una casa dai tetti spioventi. V. pignoni.

Mètiri – mitìi – mitutu, v. tr., mietere. V. maritu, pisari.

Mèurlu – i s. m., merlo, uccello che sverna nella nostra macchia.

Mi pr. pers., mi.

Mia agg. e pr. poss. inv., mio, mia, miei, mie: oli ssapi li fatti mia, vuol sapere i fatti miei. 

Miatati s. f., metà; è usato esclusivamente nell’espressione a miatati, al cinquanta per cento. Era una forma di contratto con cui il proprietario cedeva la terra al coltivatore, a condizione di dividere gli utili al 50%.

Micìtiu – miciti s. m., omicidio.

Mienzu1 – menza agg., pl. inv. menzi, mezzo: tammi menza marància, dammi mezza arancia.

Mienzu2 avv., mezzo: mmienz’a llu Largu, in pazza Garibaldi ( già Largo di Porta grande ). Var. nella loc. pi lli mienzi: nc’è nu partitu pi lli mienzi, c’è una proposta di matrimonio per lo mezzo ( da Lu massaru Cricòriu rusci rusci, di M. Greco, atto I, sc. III ). Stornello: Quannu mi eddi a mmienzu a ddo carosi, / penza lu cori mia comu si feci. Quando mi vidi tra due giovani donne, / pensa un po’ io cosa provai.

Mienzuggiurnu s. m., mezzogiorno. V. menzatìa.

Mienzu peti – mienzi peti s. m., chiodo della lunghezza di circa 15 cm a forma di acutu.

Nota. Alla parola meta si è fatto cenno al sostrato linguistico mediterraneo. Di cosa si tratta?

Alla fine dell’età della pietra, intorno al III millennio a. C., su tutta l’area bagnata dal Mediterraneo troviamo diffusa la civiltà mediterranea o tirrenica, con la presenza dei Pelasgi in Grecia, degli Iberi nella penisola iberica, i Fenici a nord della Palestina, gli Egiziani in Egitto, i Cretesi a Creta e, in Italia, gli Etruschi al centro-nord, i Liguri, pare, in Sicilia, i Caoni e i Morgeti sulle Murge.

Ogni popolo lascia  tracce della sua presenza, non solo con i monumenti in pietra, ma anche attraverso la lingua. Ebbene, il Colella ( v. Toponomastica pugliese, Vecchi ed., Trani 1941 ) ha indagato le tracce  linguistiche lasciate dai popoli mediterranei che abitavano la Puglia e, tra quelle vi è appunto la radice  mat = collina, luogo elevato. Dalla stessa radice  deriverebbero Matino, Mattinata, Matese, Mateola ( Matera ) e, ritengo, anche  meta del dialetto manduriano = bica. Altre interessanti influenze linguistiche esercitate dalla civiltà mediterranea le ho riportate nel mio Manduria tra storia e leggenda, alla pag. 41.

 

 

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Il dialetto del manduriano: mieru – minata.

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Mieru s. m., vino. Il ciclo di lavorazione artigianale passava attraverso le seguenti fasi: una volta svuotati li tinacci nella camera di pigiatura, le uve venivano pigiate e passate nta lu tinu o lu palacciu. Qui si lasciavano fermentare per tre giorni, durante i quali, almeno un paio di volte al giorno, bisognava affondare nel mosto le vinacce tendenti a galleggiare. Il terzo giorno si spillava, quindi si torchiavano le vinacce per tre volte. La terza volta serviva a fare l’acquata. Infine il vino veniva trasportato in cantina cu lla carrizza e sistemato ntra li capasuni.

Mieru alla fiorentina, vino non fermentato ottenuto dalla torchiatura delle uve subito dopo la pigiatura. Mieru fermentatu, era più scuro e alcolico del vino non fermentato. V. mbriacu, pani. Detti: Lu mieru jè virtusu, šcenni sotta e nchjana susu. Il vino ha il pregio di scendere nello stomaco e poi salire in testa. Mieru bbuenu nzinn’a fezza. Il vino buono si beve fino alla feccia.

Miessi s. f. pl., messi; tiempu ti miessi, tempo di messi ( giugno ).

Miètucu – miètici s. m., medico. Detto: Lu miètucu ti la notti è lu limoni, lu mietucu ti lu giurnu è lu capasoni. Il medico della notte è il limone, quello del giorno è il vino.

Mignizzola s. f., loglio velenoso, pianta spontanea della famiglia delle graminacee. V. sciueju.

Mijaru – i s. m., migliaio.

Miju – i s. m., miglio: si senti luntanu nu miju, si sente da un miglio di distanza.

Milampu – i s. m., soprannome della famiglia Mariggiò. V. spuntoni.

Milana s. f., dal gr. melanìa, liquido nero utilizzato dai polpi e dalle seppie per difendersi dagli attacchi dei predatori.

Milènzia s. f., stupidità: nu milènzia ti agnoni, uno stupido di ragazzo.

Miliddu – mileddi s. m., albero e frutto del melo. Miliddu, soprannome della famiglia Lamusta.

Millanfanti sm ., sin. di cientanfanti ( v. ).

Milogna – i s. f., dal lat.melis, tasso, animale una volta presente anche nelle nostre zone. Il termine era  usato già in un atto notarile del 1455.

Minamientu s. m., spreco: no ffacimu minamientu, non facciamo spreco.

Minari – minai – minatu v. tr., gettare: mena la petra e sconni la manu, prima provoca e poi finge di non saperne nulla; mena nu uècchj, dai uno sguardo ( per sorvegliare ); stai minatu nta nu liettu, è a letto ( gravemente ammalato ); šta mmena ncunu nzìdducu, fa qualche goccia ( meno che pioviggina ); jeri l’è mminatu! Ieri ha fatto tanto caldo. Ha anche il significato di trascorrere: mena na vita ti minnicu, conduce una vita da mendicante. Come v. intr., rischiare: mena cu ccati, rischia di cadere. V. mminari.

Minata s. f., lett. gettata: a lla minata, nella peggiore delle ipotesi; nzugni ti minata, si diceva della trottola che durante il lancio colpiva con la punta quella passiva. In edilizia: inizio dell’arco  che va ad agganciarsi ad altri conci per formare l’arcata. V. curru.

 

Nota : a proposito di minamientu, va notato come i nostri antenati, in tempi di gran lunga più critici del tempo che viviamo, per vincere la miseria erano attentissimi ad evitare ogni forma di spreco, per cui praticavano una economia spinta al massimo grado. Nulla andava buttato: sui campi si recuperavano gli acini di grano, come le singole olive e gli acini di uva; si nettava la buccia  delle patate in maniera sottilissima; si consumava il pasto fino a pulire il piatto col pane; della frutta bacata si recuperava la parte sana; si spegneva la luce quando non serviva; le scarpe rotte si riparavano dal calzolaio prima di sostituirle con un nuovo paio; i rifiuti venivano tutti riciclati e, insieme agli escrementi umani e degli animali venivano utilizzati per concimare i campi; bruciare i sarmenti e gli sfalci di potatura degli ulivi come si fa oggi nelle campagne, sarebbe sembrato un autentico delitto. Ecco una lezione di economia che bisognerebbe  riscoprire, ed ecco la funzione del dialetto, inteso come trasferimento di esperienze e conoscenze di vita a chi pensa, in questo caso, che l’economia  sia quella materia astrusa e incomprensibile riservata alle banche e alle università.

 

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Il dialetto del manduriano: minchjaliri – mirza

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Minchjaliri s., inv. in gen. e num., minchione, stupidone: i’ cce minchjaliri! Vedi un po’ che tipo!

Minchjata – i  dal lat. mèntula = organo virile, s. f., fregatura: ama ccappata na bella minchjata, abbiamo avuto una bella fregatura. Indica anche la musdea, tipo di pesce dei nostri mari.

Minicaruenzu – minicaronza s., pl. inv. minicaruenzi, birbone / a: i’ cce minicaruenzu! Vedi un po’ che birbone! 

Minimienzi avv., in mezzo: ci zzicc’a mèntiri l’aucati pi lli minimienzi, no tti ccuji cchjùi, se metti in mezzo gli avvocati, la questione non finisce lì.

Minnicu – a s., pl. inv. minnichi, povero, mendico; oggi usato anche in senso spregiativo: štu minnicu! Poco di buono che non sei altro!

Minnulècchja – minnulècchj s. f., dim. di mènnula, piccola mandorla; il termine si usa per indicare una escrescenza, un frutto in crescita o un oggetto alquanto piccolo: teni nu puerru quantu na minnulècchjia, ha una verruca grossa quanto una piccola mandorla.

Mintàscina s. f., menta selvatica.

Mintuari – mintuai – mintuatu v. tr., nominare, di persona: mi šta fiška la rècchja: mi šta mintùunu, ho un ronzio all’orecchio ( destro ): qualcuno parla di me ( in bene ). V. murmurari.

Mintuata s. f., nomea; è usato nell’espressione ai pi mintuata, va per fama.

Minura s. f., sottoprodotto del formaggio ottenuto dopo lu pilusu.

Minzanu – a agg., pl. inv. minzani, che sta in mezzo: piattu minzanu, piatto medio; anche riferito a persona: fratello o sorella che sta in mezzo, tra il primo e l’ultimogenito: sorma è la minzana, mia sorella è quella che sta in mezzo.

Miràculu – i s. m., miracolo: tuttu miràculi sinti! Fai tutte le cose difficili; pi mmiràculu, appena appena.

Miraculusu – miraculosa agg., pl. miraculusi – miraculosi, lett. miracoloso, difficoltoso, di chi fa tutte le cose difficili, come se occorresse un miracolo anche per i fatti più semplici della vita.

Miraja – i s. f., medaglia; spesso indica la medaglietta recante l’immagine della Madonna, che grandi e piccini solevano portare sul petto, sotto la maglietta.

Mirchisciatu – a agg. pl. inv. mirchisciati, pieno di ferite. V. mercu. 

Miriàcula – i s. f., patereccio, giradito: si curava immergendo repentinamente e ripetutamente il dito in acqua molto calda; dopo di che spesso il pus in formazione si scioglieva. V. panarizzu.

Mirza s. f., milza.

Nota. A proposito di piattu minzanu va ricordata l’usanza, oggi completamente scomparsa, per cui il desinare veniva scodellato in un piatto medio ( più grande del piatto personale ) o in uno grande, secondo il numero delle persone, e sistemato al centro tavola: intorno sedevano i membri della famiglia, i quali attingevano direttamente la minestra, ovviamente dalla parte ad ognuno più vicina. Oggi, per motivi di igiene, ogni commensale viene servito con un piatto personale. Lo stesso accadeva per quanto riguardava l’acqua o il vino: tutti bevevano alla stessa brocca o alla stessa bottiglia, perché non si usava bere nel bicchiere. Queste abitudini non erano molto igieniche, ma danno la misura di quanto la famiglia fosse unita al punto da formare una cosa sola. 

 

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Il dialetto del manduriano: misciagnesi – Mmaculatedda

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Misciagnesi agg. m.. e f., pl. inv. misciagnisi, mesagnese, di Mesagne; nella forma sost., Mesagnese, abitante di Mesagne.

Misereri dal lat. misereo – es, s. m.., morte sopraggiunta, improvvisa..

Mišteru – i  s. m., mistero; al pl., bizze: no ffa’ mišteri, non fare il difficile; sempre al pl. indica anche la processione del Venerdì santo, in cui sfilano i misteri di Cristo alla colonna, Cristo all’orto, Cristo in croce e Cristo morto.

Mištieri s. m., inv. al pl., mestiere. V. arti.

Mištiriusu – mištiriosa  agg., pl. mištiriusi – mištiriosi, difficile: è tuttu mištiriusu, fa tanto il difficile.

Misurieddu – i s. m., misurino.

Mìsuru – mìsara agg., pl. inv. mìsiri, misero – a.

Mitiatori – mitiaturi s. m., mediatore di vini che acquista per conto terzi. V. traminzanu.

Miticina – i s. f., medicina. Termine usato per indicare anche la varichina.

Mititori – mitituri s. m., mietitore.

Mitodda – i  s. f., cervello: cce tieni ntra li mitoddi? Ma come ragioni? V. capu. Detto: Aju e cipodda, quantu pari ca li mmucci la mitodda. Aglio e cipolla vanno piantati in superficie.

Mmacari – mmacai – mmacatu v. tr., incantare, fare una magia: sia ca l’onnu mmacatu, come se gli avessero fatto la magia.

Mmacari inter., magari! Errìa cu  bbinìa crammatina!  – Mmacari! ( oppure era bbuenu! ), e se venisse domattina? Magari! Usato come cong., anche se: mmacari jù cu fatìu … anche se lavoro tanto. Come avv., forse: mmacari mancu lu pensa, é possibile che non lo pensi neppure.

Mmaccari – mmaccai – mmaccatu v. tr., scalfire, ammaccare leggermente una superficie: m’onnu mmaccata la màchina, mi hanno ammaccato la vettura. Come v. intr., perdere la lucidità e la lucentezza, riferito alla verdura e alla frutta fresca.

Mmaccatora – i s. f., ammaccatura; spesso riferita al piede e causata da scarpe scomode e strette.

Mmaculata n. pr. f., Immacolata, ossia senza macula, senza peccato, attributo della Madonna riconosciutole dal Concilio di Trento: di conseguenza nel 1648 fu istituito a Manduria il digiuno a pane e acqua in onore dell’Immacolata e, nel 1674 fu ultimata la chiesa a lei intitolata. Mmaculata / pi lla Mmaculata, è un’imprecazione ancora corrente.

Mmaculatredda n. pr. f., lett. Piccola Immacolata; è la Madonna del terremoto, venerata nella chiesa di S. Leonardo e festeggiata il 21 febbraio a ricordo del terremoto del 1743; malgrado il triste evento che procurò danni a diverse strutture murarie, non vi furono morti; per questo i Casalnovetani furono riconoscenti alla Madonna Immacolata.

Nota. A proposito della Matonna ti lu trimulizzu, ossia la Mmaculatedda, si ricorda che nel 1743, sindaco di Casalnuovo ( così allora si chiamava Manduria ) Andrea Pasanisa, il terremoto atterrò la parte superiore della torre campanaria della chiesa Madre e danneggiò il convento dei Padri Serviti, attiguo alla chiesa di sant’Angelo. Ancora oggi, dalla parte laterale dell’ex convento, attualmente sede della guardia di finanza, si vedono i contrafforti costruiti a sostegno della parete danneggiata.

 

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Il dialetto del manduriano: mmalatìa – mmaritari

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Mmalatìa s.f., malattia: mmalatìa suttili, tubercolosi; quedda è la mmalatìa! Ecco in cosa risiede la tua cattiva volontà. In agr. indica la peronospera. V. pumpari.

Mmalazzari – ( mi) mmalazzai – mmalazzatu v. intr. medio, ammalarsi: si mmalazzòu e morsi, si ammalò e morì.

Mmalincunéšciri – mmalincunìi – mmalincunutu v. intr., diventare melanconico.

Mmalincuniri v. intr., come mmalincunèšciri.

Mmalinòa s. f., malora: l’annata ti la mmalinòa, l’annata della malora; si dice quando si verifica una serie di eventi negativi o luttuosi.

Mmalitettu – a agg., pl. inv. mmalitetti, maledetto: freschi, mmalitetti e sùbbutu, anche se maledetto, il denaro che mi spetta lo voglio subito; mmalitett’a ttei! Che tu sia maledetto, oppure, birbone che non sei altro! ( detto in senso benevolo ).

Mmaliziari – ( mi ) mmaliziai – mmaliziatu v. tr., viziare, insegnare la malizia: l’onnu mmaliziatu, gli hanno insegnato la malizia. Usato come v. intr. medio, imparare la malizia / impigrirsi ( di terreno ): s’é mmaliziatu, ha imparato la malizia; la terra s’é mmaliziata, il terreno si è impigrito ( per essere stato coltivato quando era ancora bagnato ). V. štumpìsciu.

Mmalota – i s. f., dal gr. mallotos= peluria; blatta, scarafaggio. Modo di dire in risposta alla richiesta di raccontare nu cuntu: Nc’era na fiata nu sorgi e nna mmalota, cce ti lu contu n’otra vota? C’era una volta un topo e uno scarafaggio; vuoi che te lo racconti di nuovo?

Mmammari – mmammai – mmammatu v. tr., viziare: cudd’agnoni é tuttu mmammatu, quel ragazzo è viziato ( per essere cresciuto sotto l’eccessiva protezione della madre ).

Mmannatu – a dal gr. manòs, agg., pl. inv. mmannati, si dice della frutta, specie dell’uva, che diventa molle senza giungere a maturazione. 

Mmantata – i s. f., è l’operazione consistente nel coprire con una manta le bottiglie di salsa di pomodoro o le confetture ancora calde: in tal modo nei contenitori si forma il vuoto d’aria che ne garantisce la conservazione.

Mmantatu -a agg., pl. inv. mmantati, infreddolito e inattivo per indisposizione: lu šta bbèsciu cchjutoštu mmantatu, mi pare che sia indisposto.

Mmarcari – mmarcai – mmarcatu dal volg. invaricare, v. tr., scavalcare.

Mmarcatu – a agg., pl. nv. mmarcati, a buon mercato: l’aciu pajatu mmarcatu, l’ho avuto a buon prezzo.

Mmaritari – ( mi ) mmaritai – mmaritatu v. tr. e rifl., maritare, maritarsi. Stornelli: Mmarìtiti ci t’acchj a mmaritari, / tutti li suezzi tua tennu li fili. Se trovi marito sposati, / perché tutte le tue coetanee hanno già figli. Quannu a lli miessi e quannu a llu trappitu, / cce mi ni servi a mmei lu mmaritari. A che serve che mi sposi se lui poi sta lontano per lunghi periodi, ora per le messi, ora al frantoio.

Nota. A proposito di mmantata, va ricordato che nel  passato recente, più o meno coincidente col dopoguerra,  man mano che si usciva dalle condizioni di miseria e i contadini cominciarono a produrre grazie all’assegnazione delle terre e alla mezzadria, si diffuse la buona abitudine di conservare per l’inverno e fino a nuova produzione, diversi alimenti. Si faceva così la provvista di fave, fagioli, ceci, pomodori a crona, peperoni sott’aceto, salsa di pomodoro, acciughe, fichi, mandorle secche, pomodori secchi, uva passa, melanzane sott’olio, peperoncini e marmellate varie, di uva, pere, mele e fichi. Tutto questo, durato fino agli anni ottanta del secolo scorso, costituì un principio fondamentale di economia, adottato come estensione della riserva di fave e fichi secchi che, nel tempo precedente tra le due guerre e ancor prima, solo poche famiglie un tantino più agiate si potevano permettere, sfuggendo così ai morsi della fame. Migliorate notevolmente le condizioni economiche del popolo italiano, questa usanza oggi è molto scemata ed è rimasto, ma solo in poche famiglie, ancora l’uso di fare la salsa durante l’abbondanza di pomodori dell’estate, come scorta fino al mese di giugno successivo.

 

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Il dialetto del manduriano: mmarrari – mmili

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Mmarrari – mmarrai – mmarratu v. tr., colmare: mmàrrulu bellu bellu cuddu panaru, fallo ben colmo quel paniere. Ha anche il significato di chiudere: mmarra la porta, chiudi la porta. Come v. intr., addebitare: sempri a mmei mmarri, sempre a me dai la colpa.

Mmašciata – i s. f., imbasciata. Il termine richiama in particolare l’usanza di dichiarare il proprio amore alla ragazza del cuore, mandando ai suoi genitori la mmašciata tramite una persona fidata; in tempi più recenti era consentito che la dichiarazione potesse  farla il ragazzo direttamente alla ragazza; jè bbuti tanti mmašciati … ha avuto tante proposte di  matrimonio.

Mmassari – mmassai – mmassatu v. tr., ammassare.

Mmasunari – ( mi ) mmasunai – mmasunatu dal fr. maison = casa, v. intr. medio, andare a casa, appollaiarsi per dormire: li jaddini s’onnu mmasunati, le galline si sono appollaiate.

Mmasunata, nella espressione pi lla mmasunata, per la miseria ( per evitare di dire pi lla Matonna ).

Mmasunu s. m., atto dell’andare a dormire: a llu mmasunu, a nanna.

Mmattari – mmattai – mmattatu v. intr., entrare, sin. di trasiri: mmatta, entra.

Mmausari – mmausai – mmausatu v. tr., legare il manipolo di spighe. V. auzu, scérmiti.

Mmazzešciri – mazzii – mmazzutu  v. intr., dimagrire: com’a mmazzutu! Come sei dimagrito.

Mmerda – i s. f., , merda.

Mmeru avv., vicino, nei pressi: dda mmeru, là vicino; mmeru mmeru, lontano lontano ( espressione del linguaggio inf. ).

Mmiata s. f., avvio: forti cu  ppija la mmiata, l’importante è che prenda l’avvio. Come avv., presto: a št’ora a šciri? No bbi’ jè mmiata ancora? A quest’ora vuoi andare? Non vedi che è ancora presto? ( diG ).

Mmicciari – mmicciài – mmicciatu v. tr., scorgere, vedere con sforzo: no llu mmicci? Non lo vedi?

Mmicciu s. m., bruciato: è ntisa la puzza di l’ammicciu, ha sentito l’odore di bruciato ( diG ).

Mmilari – mmilou – mmilatu v. intr. imp., che comincia a maturare; si dice soprattutto dei pomodori che assumono il colore dorato prima di diventare rossi.

Mmili dal gr. Bombylion, s. m., inv. al pl., brocca in terracotta, della capacità media di 3 – 5 lt.. Serviva a contenere l’acqua potabile, che vi si conservava a temperatura ambiente, grazie alla capacità di traspirazione della terracotta. V. riumari. Cosimo Pio Bentivoglio nel suo romanzo “ Il passo e la falcata “, italianizza felicemente il termine  in “ bombile “. 

Rinomati erano li mmili tarantini e di li Urtaji ( di Grottaglie ); mmili ti sanata Lucia, così chiamato perché si acquistava ad Erchie durante la festa della santa. Oggi se ne producono ancora, ma come pezzi tradizionali e a scopo ornamentale. V. munnu.

 

Nota. Il termine mmašciata rivela una concezione del rapporto uomo-donna ed una educazione sessuale in auge fino agli anni settanta del secolo scorso, profondamente diverse da quelle attuali.

In passato i due sessi, non solo non erano considerati sullo stesso piano, ma erano tenuti debitamente separati fin da tenera età. Nelle scuole elementari, per es., come si può ancora leggere sul frontespizio dell’edificio scolastico sito sul viale della stazione, esistevano due ingressi: uno per i maschietti, l’altro per le femminucce; le classi erano classi maschili e classi femminili e, quasi sempre, alle prime era preposto un insegnante uomo e, alle seconde, un’insegnante donna. Immaginare che si potesse toccare o conversare con una ragazza senza far sorgere il sospetto che si attentasse alla sua purezza, era impensabile. Si poteva solo guardare; per questo la sera della domenica si andava su e giù per la strada principale del paese ( il Corso ), le ragazze con le loro compagne ed i ragazzi con i loro coetanei, ed i messaggi di intesa e di passione viaggiavano sull’onda degli sguardi. Quando era stato stabilito il contatto  e si aveva la certezza che si poteva tentare un primo approccio, in un momento e luogo riservati il giovane avvicinava la ragazza per dichiararle il suo amore. Andato a buon fine il primo passo, venivano informati i rispettivi genitori e, avutone l’assenso, il giovane poteva incontrare la ragazza e parlarle, stando sull’uscio dell’ingresso dell’amata. Man mano che si consolidava l’intesa, maturava anche la possibilità che il giovane venisse accolto in casa. Scene che sembrano di molti secoli fa e che oggi, a distanza di appena quarant’anni, si sono mutate fino al punto da assumere spesso eccessi opposti.

 

 

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Il dialetto del manduriano: mmimmi – mmucari

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Mmimmi s. m., inv. al pl.; nel linguaggio inf., bua, male, ferita: s’è fattu lu mmimmi! Si è fatto male!

Mminari – ( mi ) mminai – mminatu v. tr., rifl., buttarsi: ti šta mmieni a nnanti cu no ccati a rretu, stai prevenendo per non trovarti in fallo; si mminòu a nfacci , lo aggredì ( anche verbalmente ).

Mminištrari – mminištrai – mminištratu v. tr., scodellare: initi c’aciu mminištratu, venite che è pronto per mangiare.

Mminizzari – mminizzai – mminizzatu v. tr., v. rum. ameninţa, minacciare: lu pijòu pi piettu e lu mminizzòu, lo prese per la giacca e lo minacciò.

Mmirari – ( mi ) mmirai – mmiratu v. tr. rifl., guardarsi nello specchio: mmìriti nta lu spècchju cussì ti iti la bella facci ca tieni, guardati nello specchio ed avrai modo di conoscere la tua bella faccia.

Mmiritari  – ( mi ) mmiritai – mmiritatu v. tr.,  meritare: cussì si mmerita, così merita di essere trattato.

Mmirticari – mmirticai – mmirticatu v. intr., capovolgersi col traino. Poteva succedere o per l’impraticabilità della strada di campagna, o perché il cavallo si imbizzarriva. V. sbagnari.

Mmisca – moschi denominazione di un gioco inf. in cui la posta erano i bottoni. L’abilità del giocatore consisteva nel pressare il bottone con un dito, quindi sollevare il dito rapidamente e far cadere il bottone sull’altra faccia. Se ciò accadeva, dopo aver guadagnato il bottone, lo stesso giocatore aveva diritto a tentare con gli altri bottoni in gioco.

Mmiscari – mmiscai – mmiscatu v. tr., incollare: mmisca štu francubbollu, incolla questo francobollo; llàiti, ci no ti sienti li mani tutti mmisca mmisca, lavati, altrimenti avrai le mani appiccicaticce. Ha anche il significato di mollare, di schiaffo: mo ti ni mmiscu unu, adesso te ne mollo uno.

Mmiškari – mmiškai – mmiškatu dal volg. misculare, v. tr., mescolare: comu sciamu? – Mmiškati mmiškati, come stai n salute? – Così e così.

Mmišku s. m., misto, mistura. Come agg. m. indica un tipo di grano. V. cranu.

Mmitari – mmitài – mmitatu v. tr., invitare. V. nvitari.

Mmitu – i s. m., invito.

Mmuca s. f., sporcizia: mìntiti cuštu ti sobbra cussì no ppari la mmuca, indossa questo così non si vedrà lo sporco.

Mmucamientu – i s. m., al sing., sporcizia, luridume; al pl., cose inutili: mena quiddi mmucamienti, butta quelle cianfrusaglie.

Mmucari ( mi ) mmucai – mmucatu v. tr. e rifl., sporcare, sporcarsi.

Nota. Sul termine mmirticari vanno fatte le seguenti considerazioni. In passato era facile che un traino si impantanasse o si capovolgesse, perché le strade di campagna, specie quando pioveva diventavano letteralmente impraticabili: le ruote affondavano nel fango anche di mezzo metro, e spesso tra il lato destro e quello sinistro si costituivano livelli paurosi.

L’altro motivo di capovolgimento poteva essere determinato dal fatto che i cavalli erano abituati a situazioni di assoluta tranquillità, per cui quando cominciarono a transitare le prime macchine, il passaggio di un veicolo, o un motore particolarmente assordante,  metteva in allarme l’animale al punto da farlo imbizzarrire. Oggi il capovolgimento di un veicolo è generalmente determinato dall’alta velocità.

 

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Il dialetto del manduriano: mmucatu – mmutu

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Mmucatu – a agg., pl. inv. mmucati, sporco / impudico: mmucatu ca no ssi otru! Sporcaccione che non sei altro!

Mmuccari -  ( mi lu ) mmuccài – mmuccatu v. tr., divorare in un boccone: mi lu mmuccai, ne feci un solo boccone.

Mmuccatura – i s. f., morso, del cavallo: s’acchia lu puerti strittu di mmuccatura ci no si sbagna, occorre che gli tenga stretto il morso per evitare che si imbizzarrisca ( diG ).

Mmucciari – ( mi ) mmucciai – mmucciatu v. tr. e rifl., coprire, coprirsi: mmùcciulu cu nu picca ti terra, coprilo con un po’ di terra; mmùcciti bellu bellu cu no tti cuštipi, copriti bene per non raffreddarti.

Mmuddari – ( mi ) mmuddai – mmuddatu v. tr. e rifl., bagnare, bagnarsi: m’aciu mmuddatu tuttu, sono tutto bagnato; a lla mmuddata, quando il terreno è bagnato.

Mmujicari – mmujicai – mmujicatu v. tr., travolgere, coprire, di acqua: passòu nu jùnnulu e lu mmujicòu, arrivò un’onda e lo travolse. V. mmùjucu.

Mmùjucu s. m., travolgimento, di acqua. V. mmujicari.

Mmuntari – mmuntai – mmuntatu v. tr., montare.

Mmurdari – mmurdai – mmurdatu v. intr., cozzare, sbattere contro un ostacolo: mmurdòu a llu pareti, sbattè contro il muro.

Mmurtalari – ( mi ) mmurtalài – mmurtalatu v. intr. medio, fare qualcosa in maniera eccellente: sai ca t’a mmurtalatu? Hai fatto proprio bene.

Mmusari – mmusai – mmusatu v. intr., mettere le labbra alla bocca di una bottiglia, ti lu cuccu, ti lu mmili, per bere.

Mmušciari – mmušciài – mmušciatu v. tr., mostrare, far vedere: mmòšcili cuddu ca tinimu nui, mostragli quello che abbiamo noi.

Mmušciatu – a agg., pl. inv. mmušciati, abbattuto: ti šta bbesciu mmušciatu, ti vedo abbattuto.

Mmuštari – mmuštai – mmuštatu v. tr., effettuare la prima lavorazione delle uve o delle olive ad inizio della campagna, affinché ogni contenitore e recipiente si temperi col mosto o con l’olio.

Mmutari – ( mi ) mmutai – mmutatu v. tr. rifl., vestirsi a nuovo.

Mmutata s. f., cambiata, della biancheria intima, che si usava fare la mattina della domenica. E’ anche n. pr. f. di persona, Mutata.

Mmuttari – mmuttai – mmuttatu v. intr., calpestare un terreno fangoso oppure degli escrementi.

Mmutu – i s. m., imbuto: pija lu mmutu quantu anchjmu la buttija, prendi l’imbuto così riempiamo la bottiglia.

Mmutu – a agg., pl. inv., mmuti, muto: parla comu li mmuti, parla a gesti. V. fiju, surda.

Nota. L’operazione ti lu mmuštari era effettuata dal gestore del palmento o del frantonio, con le sue uve o con le sue olive, cioè a spese del suo prodotto che, ovviamente, risentiva nel sapore di questa sorta di lavaggio degli attrezzi e dei contenitori in uso. Era un po’ l’operazione di avvinamento del bicchiere che oggi si fa prima di degustare un vino.

A garanzia del buon esito della lavorazione del proprio prodotto, ancora oggi, all’inizio della lavorazione delle uve e delle olive, l’agricoltore, all’atto del conferimento, chiede assicurazione che gli strumenti dell’opificio siano stati già mmuštati.

 

 

 

 

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Il dialetto del manduriano: mmuzzari – mòria

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Mmuzzari – mmuzzai – mmuzzatu v. tr., accorciare: mmùzzulu nu picca, accorcialo un po’.

Mo avv., mo, adesso: mo egnu, adesso vengo; mo, mo, aspetta un attimo; mo siamu! questo è il caso; mo si ni eni, ecco un esempio. V. moni.

Moddi agg., inv. al f., pl. inv. mueddi, molle: jè unu moddi moddi, ha un carattere apatico.

Mognu – a agg., pl. inv. mogni, usato nell’espressione mognu mognu, mogna mogna, sornione, di soggetto taciturno ma pronto a reagire.

Mogna, antico cognome di Casalnuovo.

Molla – i s. f., elastico; al pl., molle, arnese per rimuovere i carboni accesi.

Mònciri – muncìi – munciutu v. tr., mungere.

Moni avv., adesso: jeni moni moni, vieni subito. V. mo.

Mònica – mònichi s. f., monaca. V. pišciaturu. Indica anche lo scaldino, attrezzo casalingo usato per riscaldare il letto, ovvero, in altra versione, per asciugare i panni. Li mònichi, denominazione della contrada e della masseria situate tra la strada prov. per Avetrana e la prov. per san Pietro.

Monna s. f., mondatura degli ulivi: sciri a lla monna, lavorare alla mondatura; monna ti to janni, mondatura fatta due anni prima.

Monti – munti s. m., monte. V. ommu. Indica anche il gioco consistente nel fare un monticello di tufo alto circa 4 cm, sul quale venivano sistemate in perfetta riga mandorle o noci che costituivano la posta in gioco. I giocatori, a turno, dal più lontano al più vicino al monte, cercavano di colpirle con una pallina. I giocatori entravano in possesso delle mandorle o noci che riuscivano a far cadere dal monte. Lu Monti, denominazione della masseria e della contrada situate sul versante destro della ss. per Lecce. Al pl, dune del litorale: retu a lli munti, dietro le dune. Detto: Do lliei e no ppuni, ogni monti scumpuni. Se togli sempre senza mai aggiungere, finirai per esaurire tutte le riserve.

Mònucu – muènici s. m., monaco. V. pìpitu. Al sing., processo particolare con cui si ottiene il vinello dalla feccia.

Mònucu, denominazione della contrada situata tra la strada prov. per Avetrana e la prov. per san Pietro. Lu Mònucu, soprannome delle famiglie Stano e Calò. Filastrocca: Lu mònucu. Fai, faazza, / cientu tùmmini cu lli fazza; / e ci oli li fazza fazza, / jù mi l’aciu chjena la isazza. Dice il monaco: fave, belle fave, / che il proprietario ne faccia pure cento tomoli; / a questo punto, che li faccia o non li faccia, / quel che importa è che io la mia bisaccia l’ho piena.

Mòria dal gr. amorche, s.f., morchia, feccia dell’olio: mòria, ci teni mòria, era il grido con cui si annunciavano gli ambulanti che acquistavano i residui dell’olio.

Nota. Quando nelle case non esisteva ancora il riscaldamento, la mònica  consentiva di riscaldare il letto. Essa aveva una forma ovale allungata, dentro la quale si sistemava uno scaldino con i carboni ardenti. Inserita per qualche minuto sotto le coperte del letto, evitava ai bambini lo choc col freddo delle lenzuola, tanto più che durante la sera  si era stati tutti intorno al braciere per tenere calde le gambe e ogni tanto si stropicciavano le mani al caldo della carbonella.

La versione della mònica che fungeva da asciuga panni, era una sorta di semi sfera che si sistemava sul braciere, e su quella si stendevano i panni che durante la giornata non si era riusciti ad asciugare.

L’una e l’altra versione si possono vedere nel museo etnografico allestito presso il Consorzio produttori vini di Manduria.

 

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Il dialetto del manduriano: morra – mpalummutu

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Morra – i dalla radice mediterranea morra = monte (?), s. f., gregge / gran numero: nc’è na morra ti agnuni, c’è una frotta di ragazzi.

E’ anche il nome di un gioco inf., in cui i bambini, una volta stabilito il rapporto di gerarchia tra alcuni oggetti ( per es. forbici, carta, sasso, candela ), li rappresentano contemporaneamente, uno ciascuno, con un gesto delle mani. Vince chi rappresenta l’oggetto che è in rapporto di superiorità rispetto all’altro; es., tra carta e forbici vincono le forbici perché tagliano la carta; tra sasso e carta vince la carta perché avvolge il sasso.

Morti s. f., morte: è fatta menza morti, ha sofferto tanto; n’è bbuta la morti, è morto ( in conseguenza di un certo fatto ); no nc’è ci li tai morti, è fatto così bene ( di manufatto ) che durerà a lungo. La morti, soprannome della famiglia Ruggieri. V. orològgiu.

Chiesa della morte, è così denominata la chiesa di S. Lucia, in quanto sede della confraternita della Morte e Orazione, i cui membri si facevano obbligo di seppellire i cadaveri dei poveri. Questo pietoso servizio fu istituito nel 1429, in occasione della peste che in quell’anno devastò Casalnuovo. V. tenti.

Morticcissioni s. f., atto di successione: ‘ma bbut’a pajari nu saccu ti sordi ti morticcissioni, abbiamo dovuto pagare un sacco di soldi per l’atto di successione.

Mòscula – i s. f., uncino, parte metallica del fuso avente la funzione di agganciare il filo. V. fusu.

Mossa – i s. f., gesto, azione / conato; quedda mossa mi la paji, quel gesto me lo pagherai caro; ebbi na mossa ti štòmucu, ebbe un conato di vomito.  Al pl., smorfie: totta mossi eti, è tutta smorfie.

Motu – a agg., pl. inv. moti, molto: teni moti uài, ha molti guai. Avv., molto: ai motu ca no llu èsciu, è da tanto che non lo vedo.

Mpacciri – mpaccìi – mpacciutu v. intr., impazzire: mi šta ffaci mpacciri, mi fai impazzire. Detto: Ci lu riccu no mpaccešci, lu puirieddu no ccampa. Se il ricco non dilapida, il povero non sopravvive.

Mpaciari – mpaciài – mpaciàtu v. intr., fare la pace / non avere né credito, né debito: ma mpaciatu, abbiamo fatto la pace / siamo pari.

Mpaddari – mpaddòu – mpaddatu v. intr. imp., si dice dei frutti che sono sul punto di maturare e cominciano ad inturgidirsi: šta zzìccunu a mpaddà’ li fichi, cominciano a maturare i primi fichi.

Mpajari – ( mi ) mpajài – mpajatu v. tr., impagliare: iti ci mi mpàji šti to seggi, impagliami queste due sedie. V. intr. Medio, coricarsi: s’è šci mpajatu, è andato a coricarsi.

Mpajata – i s. f., rivestimento con fibre vegetali, di sedie, fiaschi e simili.

Mpalatu -a agg, pl. inv. mpalati, impalato.

Mpalummiri – mpalummìu – mpalummutu v. intr. imp., ammuffire: jè mpalummutu, è ammuffito. Anche mpalummèšciri.

Mpalummutu – a agg., pl. inv. mpalummuti, ammuffito: pani mpalummutu, pane ammuffito.

Nota sul termine mpaddari. In particolare per quanto riguarda i fichi, va notato che una volta, verso la fine di luglio, per agevolarne la maturazione, si usava instillare una goccia d’olio d’oliva nella parte posteriore al picciolo. Questo perché, esauriti da un pezzo i frutti locali d’annata, come i gelsi, le albicocche e le ciliege, i prossimi frutti a maturare erano i fichi che, con quel procedimento, venivano anticipati di qualche giorno.

 

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Il dialetto del manduriano: mpanari – mpattari

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Mpanari – mpanai – mpanatu dal gr. panos, v. tr., avvitare.

Mpanata – i s. f., colazione che si consumava servendo dei tocchi di pane inzuppati in ricotta e siero.

Mpanatora – i s. f., avvitamento.

Mpanaturu s. m., impanatura, filettatura: jè fattu a mpanaturu, è fatto a vite ( non ad incastro ). Detto: La vita è fatta a mpanaturu, osci a ttei e crai puru. La vita è un continuo, oggi soffri tu e domani pure.

Mpannari – mpannòu – mpannatu v. intr. dif., stendere come un panno: la nei jè mpannata, la neve ha già coperto tutto.

Mpannatora s. f., leggero strato, di neve, farina, grandine, ecc.

Mpapajari – mpapajai – mpapajatu v. intr., addormentarsi: jè mpapajatu, si è addormentato.

Mpappinari – (mi) mpappinai – mpappinatu v. intr. medio, impappinarsi.

Mpapucchjari – mpapucchjai – mpapucchjatu v. tr., imbrogliare, infinocchiare: mi cuntou tanti ti quiddi chjàcchjri ca mi mpapucchjòu, mi riferì tante di quelle chiacchiere che finì per imbrogliarmi.

Mparari – mparai – mparatu v. tr., imparare. V. ciùcciu. Detti: Cu cci štai mpari. Ciò che impari dipende dalle persone che frequenti.

Fatti ècchju e no muriri ca spicci ti mparari. Continua a vivere e avrei sempre da imparare. V. culu.

Mparatu – a agg., pl. inv. mparati, dotto, sapiente. Detto: Nišciunu našci mparatu. Nessuno nasce sapiente.

Mparijari – mparijài – mparijatu v. intr., giocare ( a scopa o allo scopone ) le carte a due a due, a pariglia, ossia il tre col tre, il quattro col quattro, ecc. V. sparijari.

Mparintari – (mi) mparintai – mparintatu v. tr. rifl., imparentarsi.

Mpartimentu – i s. m., appartamento: jè bbutu nu bbellu mpartimentu ti casi, ha avuto ( in donazione, in dote ) un bell’appartamento.

Mpartiniri – mpartinìi – mpartinutu v. intr., appartenere, anche nel senso di discendere: a cci mpartieni? Di chi sei figlio?

Mpassulari – mpassulai ( mpassulòu )- mpassulatu v. intr., nella forma imp. si dice di un frutto, dell’uva che diventa passa; in senso fig., morire: è mpassulatu, è morto.

Mpašturari – mpašturai – mpašturatu v. tr. e rifl., imbrigliare, imbrigliarsi: lu ciùcciu s’è mpasturatu, l’asino si è imbrigliato. V. paštora.

Mpattari – mpattai – mpattatu v. intr., esser pari, non più debitore o creditore: ma mpattatu, siamo pari; come v. intr. medio, spuntarla: mo la mpatti cu cuddu na! Con quel tipo non riesci a spuntarla.

Nota. A proposito di mpartiniri va detto che fino ad un passato non lontano, il termine implicava una richiesta di informazioni su una persona al fine di valutarne l’affidabilità. Il primo riferimento era dato dalla razza di appartenenza definita col soprannome, giacché questo identificava il gruppo parentale e, spesso, in una parola condensava il carattere o il difetto di una famiglia: razza ti pijanculu, razza ti toštozzi, razza ti tonu, ecc. Seguivano, nelle informazioni che venivano fornite, elementi particolari del soggetto: cuddu cu nnu uècchj, cu no lli sia pi štruèppiu, oppure, iti ca cuštu è parenti a cuddu ca ccisi Tìziu. In generale, questo modo di informare era molto attendibile, sicché non ci si trovava impreparati nel relazionarsi con una persona di nuova conoscenza. Questo sistema era molto usato specialmente nel caso in cui un figlio o una figlia stava per fidanzarsi .

 

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Il dialetto del manduriano: mpaurari – mpinnari.

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Mpaurari – (mi) mpaurai – mpauratu v. intr. medio, spaventarsi.

Mpauratu – a agg., pl. inv. mpaurati, spaventato.

Mpiacatu – a s., pl. inv. mpiacati, impiegato-a.

Mpiaštru – i s. m., impiastro, medicamento; riferito a persona indica un tipo inconcludente; sin.di cataplàsimu ( v. ).

Mpicari – (mi) mpicai – mpicatu v. tr. e rifl., impiccare, impiccarsi: ci ti zziccu ti mpicu, se ti prendo ti impicco. Ha anche il significato di ribaltare, detto di traino o comunque di veicolo ad asse unico, che pertanto può inclinarsi in avanti o all’indietro: mpica lu traìnu, ribalta il traino( dalla parte posteriore ).

Mpiccinniri – mpiccinnìi – mpiccinnutu v. tr., rimpicciolire. Usato come v. intr. alla terza pers., decrescere: li sciurnati šta mpiccinnèscunu, le giornate diventano più corte.

Mpìcciu – mpicci s. m., impiccio.

Mpìchisi loc., usata nell’espressione rimaniri a mpìchisi, rimanere in asso.

Mpichittari (mi) mpichittai – mpichittatu v. tr. rifl., mettersi in ghingheri. V. anche mpiluccari, mpinnacchjari.

Mpiddari – (mi) mpiddai – mpiddatu v. tr. rifl., ubriacarsi: štasera m’aciu mpiddari, questa sera mi voglio ubriacare. V. Messa.

Mpignatu – a agg., pl. inv. mpignati, turgido.

Mpignunari – mpignunai – mpignunatu v. tr., ammassare il grano sull’aia formando una catasta a forma di cono. V. pignoni.

Mpillicciari – mpillicciai – mpillicciatu v. tr., impiallacciare, rivestire un mobile di lamine di legno.

Mpillicciatura – i s. f., impiallacciatura, rivestimento di mobili fatto con lamine di legno di vario tipo.

Mpiluccari – (mi) mpiluccai – mpiluccatu v. tr. rifl., acconciarsi, mettersi in ghingheri. V. anche mpichittari, mpinnacchjari.

Mpinnacchjari – (mi) mpinnacchjai – mpinnacchjatu v. tr. e rifl., agghindare, agghindarsi. V. anche mpichittari e mpiluccari.

Mpinnacchjatu – a agg., pl. inv. mpinnacchjati, agghindato.

Mpinnari – mpinnai – mpinnatu v. intr., coprirsi di peli, sotto le ascelle, al puble, ecc. V. spinnari.

Nota. Il termine mpignunari richiama la complessa operazione messa in atto per la produzione del grano. Fino a sessanta anni fa il cereale veniva mietuto a mano con la falce e le spighe raccolte in covoni. Questi venivano trasportati sull’aia ed  accatastati in masse ben ordinate, che potevano essere di due tipi: lu pignoni o la meta; il primo a forma conica, l’altra a forma di casa con il tetto a spioventi. In entrambi i casi il tratto a spiovente della parte superiore era finalizzata ad agevolare

lo scivolamento dell’acqua in caso di pioggia; per lo stesso motivo la parte del covone con le spighe doveva andare all’interno della catasta affinché i chicchi non si bagnassero. Dopo alcuni giorni, quando l’aia aveva accumulata notevoli quantità di covoni, giungeva la trebbiatrice che provvedeva a sgranare le spighe.

 

 

 

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Il dialetto del manduriano: mpirniculari – mpruisu

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Mpirniculari – mi mpirniculai – mpirniculatu v. intr. medio, arrampicarsi con sforzo e contorsioni; riferito spesso a ragazzi.

Mpištari – mpištai – mpištatu v. tr., appestare, infettare: jè mpištata puru l’aria, ha appestato anche l’aria. Riferito a persona significa infettare la sifilide: l’è mpištatu, gli ha trasmesso la sifilide.

Mpiticatu -a agg., pl.inv. mpiticati, in inutile attesa: štai tuttu lu giurnu mpiticatu nanti a llu cafèi, passa tutto il giorno in ozio vicino al bar.

Mpitratora – i s. f., cumulo di pietre messe in ordine da lu paritaru nella costruzione dei muri a secco.

Mpitruddutu – a agg., pl. inv. mpitrudduti, di legumi mal cotti o di pane non ben lievitato, che presentano un impasto non omogeneo ma come di pietruzze: šta fiata li frisi onnu inuti tutti mpitrudduti, questa volta le frise non si sono cotte bene e l’impasto è granuloso.

Mpittulata – i s.f., preparazione delle pentole. Detto: Ti la Mmaculata, la prima mpittulata. Dell’Immacolata si preparano le prima pettole.

Mpizziriddutu – a agg., pl. inv. mpizziridduti, lett. “ stecchito come nu pizzarieddu “(v.), infreddolito.

Mpodda – i s. f., bolla, di intonaco, del ferro, del corpo ( lesione cutanea ), oppure del pane per effetto di eccessiva lievitazione: lu pani è bbinutu tuttu mpoddi mpoddi, il pane è tutto pieno di bolle.

Mpošta – i s. f., alluvione: mi ricordu, quann’era agnoni, ca feci la mpošta, ricordo, quand’ero ragazzo che ci fu l’alluvione.

Mprieštu s. m., prestito: sciri a mprieštu, chiedere in prestito.

Mprinari – mprinai – mprinatu v. tr., rendere gravida.

Mprištari – (mi) mprištai – mprištatu v. tr., dare e prendere in prestito.

Mprucinèšciri v. mpruciniri.

Mpruciniri – mprucinìu – mprucinutu v. intr. imp., andare in putrefazione: quiddi fichi onnu mprucinuti tutti, quei fichi sono andati in completa putrefazione. V. anche mprucinèšciri.

Mpruficari – mpruficài – mpruficatu v. tr., appendere il caprifico per fecondare i fichi: osci m’aciu mpruficatu cudd’àurlu ti fica crossa, oggi ho messo il caprifico all’albero di fica crossa. V. spruficari.

Mpruisari – mpruisài – mpruisatu v. tr., improvvisare: ci pi štasera putimu mpruisari nu picca ti fistinu cu ddo sunaturi, se per stasera possiamo improvvisare un piccolo festino con qualche suonatore ( da La capasa di M. Greco, atto II ).

Mpruisu – a agg., pl. inv. mpruisi, improvviso: morti mpruisa, morte improvvisa, infarto. V. misereri, nzurtu.

Nota sul termine mpruficari. L’operazione è andata in disuso, da sessant’anni a questa parte, cioè da quando sono andati scomparendo i ficheti. Questi erano ancora molto diffusi sino alla fine degli anni quaranta del secolo scorso, quando i fichi costituivano per il popolo una riserva alimentare fondamentale, insieme alle fave ed altri legumi, per non dover soffrire la fame durante l’anno. In molti casi, grazie al ricavato della vendita dei fichi seccati durante l’estate, si coprivano le spese per le nozze di un figlio o di una figlia. Considerata, dunque, l’importanza di assicurarsi una buona ed abbondante raccolta, diventava parimenti importante avere la massima cura, provvedendo in particolare alla impollinazione dei frutti; operazione che si faceva infilando il caprifico ( bruficu ) a llu nfilabruficu ( v. ) e appendendo più corone sui rami dell’albero di fico quando mancava circa un mese alla maturazione dei frutti. Lu zzampagnulu ( v. ) passava dal caprifico ai fichi garantendone la tenuta e la qualità. L’unico tipo di fico che non aveva bisogno di essere mpruficatu era la fica uttata.

 

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Mprusari – mpuzzuliri

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario e1408892428130 Mprusari – mpuzzuliriMprusari – mprusai – mprusatu v. tr., confondere, imbrogliare: t’onnu mprusatu, ti hanno imbrogliato.

Mpuddicari – (mi) mpuddicai – mpuddicatu v. intr. medio, raggomitolarsi: aggiu istu nu scursoni mpuddicatu allu soli, ho visto un serpente raggomitolato al sole (diG). V. puddica.

Mpugnusu – mpugnosa dal lat. pugna – ae, agg., pl.mpugnusi – mpugnosi, testardo e insistente nel propugnare le proprie tesi. V. pugna.

Mpuiriri – mpuirìi – mpuiritu v. intr., impoverire. V. fori.

Mpunitora – i s. f., correggia che lega le corna del bue al giogo.

Mpunutu s. m., lavoro a cottimo.

Mpupazzari (mi) mpupazzai – mpupazzatu v. tr. e rifl., attillare, imbellettarsi oltre misura: l’è mpupazzata totta quedda agnoni, ha conciato quella ragazzina oltre ogni buon gusto.

Mpupulari – mpupulai – mpupulatu v. tr., diffondere una notizia clamorosa: cittu ca mo mpuèpuli totta Manduria, fai silenzio per evitare di suscitare clamore in tutto il paese: nu puercu, na pàpara e na fèmmina mpupulara na fera, un maiale, un’oca ed una donna animarono una fiera.

Mpuragniri – mpuragnìu – mpuragnutu v. intr. dif., andare in suppurazione. V. spuragnari 1.

Mpuragnutu – a agg., pl. inv.mpuragnuti, pieno di pus: tegnu tuttu lu tìscitu mpuragnutu, ho il dito in suppurazione.

Mpusimari – (mi) mpusimài – mpusimatu v. tr., trattare un tessuto con amido, bòzzima. Come v. rifl., indossare vestiti trattati con amido, quindi vestire elegantemente: t’a mpusimatu, osci! Come sei vestito elegante oggi!

Mpussissari – (mi) mpussissai – mpussissatu v. intr. medio, impossessarsi, appropriarsi.

Mpuštari – (mi) mpuštai – mpuštatu v. tr. e rifl., appostare, appostarsi. V. pijari 1, pošta.

Mputicari- mputicai – mputicatu v. tr., ipotecare: s’è bbutu a mputicà’ li casi, ha dovuto ipotecare la casa.

Mputtaniri – mputtanìi – mputtanutu v. tr., diffondere una notizia con l’intento di suscitare scalpore: a mputtanuta totta la štrata ca no mboju ddou l’acqua, hai proditoriamente diffuso la notizia nel vicinato che non voglio dare l’acqua.

Mpuzzari – mpuzzai – mpuzzatu v. tr., perdere il secchio nel pozzo. V. sìcchju, truecci.

Mpuzzuliri – mpuzzulìi – mpuzzulutu v. tr., impuzzolire, appestare un ambiente con puzzo emanato per decomposizione organica: a mpuzzuluta totta casa, hai appestato la casa di cattivo odore. V. intr. imp., emanare puzzo per decomposizione organica: šti cozzi šta mpuzzulèscunu, queste cozze puzzano.

Nota sulla voce mpuzzari. In tempi di miseria diffusa e talvolta estrema, fino al periodo post bellico della seconda guerra  mondiale, la cosa fondamentale era alimentarsi e, naturalmente bere. L’acqua corrente dell’acquedotto ce l’avevano solo i benestanti, mentre il popolo si approvvigionava dai pozzi. Molti lo avevano nell’orto; scavato alla profondità di 8-10 m, forniva acqua sorgiva sufficiente agli usi di famiglia, ma non sempre dolce. Insieme al pozzo i più fortunati avevano anche una cisterna in cui, durante l’inverno, si raccoglievano le acque piovane, sicuramente dolci. Un’usanza quest’ultima, che ancora oggi sarebbe una grande risorsa in una terra priva di fiumi come la nostra, se non fosse che col tempo si è persa. In ogni caso l’acqua veniva attinta col secchio, sia tirando a mano, sia con l’ausilio di una carrucola. Spesso accadeva che il secchio non fosse ben legato, per cui staccandosi dalla corda, affondava nell’acqua, mpuzzava appunto. Allora bisognava far ricorso a lli truecci per poterlo ripescare, per evitare di dover affrontare una spesa imprevista e ritenuta superflua, giacché il secchio era lì, in fondo al pozzo o alla cisterna, anche se momentaneamente inutilizzabile.

 

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