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Channel: Il manduriano – La Voce di Manduria
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Il dialetto del manduriano: muccaluru – muddisciari

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario e1409639652452 Il dialetto del manduriano: muccaluru – muddisciariMuccaluru – i s. m., fazzoletto per il naso. V. fazzulettu, maccaluru.

Mucchjaluru – i s.m., lett. “di mùcchju” (v.), è il nome di un fungo mangereccio dal sapore amarognolo e dal colore rosa carnicino, caratteristico della macchia mediterranea. Il tipo più amarognolo, detto mucchjaluru ti frasca cresce nelle zone più folte ed umide della nostra macchia.

Mùcchju – mucchj s.m., cisto, arboscello tipico della macchia mediterranea: mucchj, acqua in bocca. Detto: Ogni mùcchju li pari tùrchju. Ogni cisto gli sembra un turco.

Mucci s.f.pl., nuvolaglia scomposta: mucci ti sciroccu, nuvole di scirocco; si usa anche per indicare le feci irregolari.

Muccu s.m., muco del naso: štùsciti lu nasu ca ti šta ppenni lu muccu, pulisciti il naso dal moccio.

Mucculoni – mucculuni s.m. e f., da muccu; sprovveduto, inetto, lett. indica una persona incapace di prendere iniziative, al punto da non lulirsi neppure il moccio. Lu mucculone, è il titolo di un bozzetto manduriano di Pasquale Spina.V. muccuppisu.

Muccuppisu – muccuppesa s., pl.muccuppisi – muccuppesi, persona inetta, incapace di iniziativa al punto da non pulirsi il moccio. V. mucculoni.

Muccusu – muccosa agg., pl.muccusi – muccosi, moccioso: cuddu muccusu ti agnoni, quel moccioso di ragazzo.

Mucitazzu – a s., pl. inv. mucitazzi, sporcaccione. V. mucitoni.

Mucitìa s.f., sporcizia; in senso fig., cose vili, ammasso di oggetti sporchi ed inutili.

Mucitiali agg., inv. in gen. e num., micidiale.

Mucitoni s.m. e f., pl. inv. mucituni, sporcaccione. V. mucitazzu.

Mùcitu – a agg., pl. inv. mùciti, sporco: llèiti quedda camisa ca s’è fatta mùcita, togliti quella camicia che si è sporcata.

Muddesi agg., inv. al f., pl. inv. muddisi, facile da schiacciarsi: mènnula muddesi, mandorla dalla  buccia tenera.

Muddica s.f., mollica. V. pani.

Muddicazza – i s.f., polpaccio.

Muddìcula – i s.f., briciola: ccuji quiddi muddìculi, raccogli quelle briciole; no ffà’ muddiculi, si dice scherzosamente all’interlocutore cui sfuggono, durante il discorso, schizzi di saliva. Muddiculi è il titolo di una raccolta di poesie in dialetto manduriano di padre Gregorio d’Ostuni.

Muddisciari – muddisciài – muddisciatu v. tr., ammorbidire con la saliva: l’a muddisciatu tuttu štu pani, l’hai bavato tutto questo pane.

Nota. A proposito di mùcchju va chiarito che il detto Ogni mùcchju li pari tùrchju ha un evidente riferimento alla secolare presenza dei Turchi nel meridione d’Italia. Ad essi fu dovuta la distruzione di Manduria nell’anno 977, e furono sempre i Turchi che presero Otranto nel 1480. Essi terrorizzarono letteralmente le  nostre popolazioni, al punto che il reame di Napoli, agli inizi del XVI secolo, decise di costruire lungo le coste che vanno da Napoli a tutta la Puglia, torri di avvistamento e di guardia appunto anti turche come, per es. la Torre Columena, di S. Pietro in Bevagna, Borraco, Campomarino,ecc.

 

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Il dialetto del manduriano: mueddu – mulitiddu

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario1 Il dialetto del manduriano: mueddu – mulitidduMueddu usato nell’espressione a mueddu, a mollo, a bagno: mìntulu a mueddu, mettilo a bagno.

Muentu s.m., unguento: mìntiti nu picca ti muentu, spalmati un po’ di unguento.

Muertu – morta s., pl. inv. muerti, morto: cuddu mmalacarni tuttu muertu, quel mascalzone, anche se è morto ( e andrebbe almeno per questo rispettato ); muerti mia! Povero me! Muertu ti fami, morto di fame ( usato in senso spreg. nei confronti di chi fa lo spendaccione fuori posto ); mancu muertu, neppure da morto ( sopporterei una certa situazione ); li muerti tua, ci t’è muertu, modo diffuso e volgare di bestemmiare i morti, nel senso di maledire gli antenati dell’interlocutore per il retaggio negativo che gli hanno consegnato. V. muriri.

Lu muertu, soprannome della famiglia Mariggiò.

Muerzu – i s.m., morso, nel senso di pezzetto: nu muerzu ti pani, un morso di pane. V. calata.

Muèzzucu – muèzzichi s.m., morso, nel senso di mordere: lu pijòu a muèzzichi, lo assalì a morsi.

Muffettu – i s.m., pane fatto con i residui della farina, ordinariamente di solo cruessu e mangiato caldo (diG).

Muffittoni – muffittuni dallo sp. bofeton, s.m., manrovescio dato sulle labbra. V. ricchjali, scarzoni.

Mugnulisciari – mugnulisciai – mugnulisciatu v. intr., fare le bizze. V. mùgnulu.

Mùgnuli – i s.m., broccolo scuro: mùgnuli ddilissati, broccoli lessi. Al pl. bizze: tuttu mùgnuli sinti, sai fare solo capricci. V. mugnulisciari.

Mugnulusu – mugnulosa agg., pl. mugnulusi – mugnulosi, capriccioso, bizzoso. Cantilena: Mugnulusu ti la mamma,/ manci’ a ntàula cullu rre’,/ e lu rrei sunava la banna,/ mugnulusu ti la mamma. Capriccioso di mammà,/ pretendi di sedere a tavola col re,/ e che questi ti suoni la musica,/ capriccioso di mammà.

Muìna – i s. f., bizza: šta ffaci nu saccu ti muini, stai facendo tante storie.

Mujeri dal lat. mulier-is s.f., inv. al pl., moglie: mujèrima, mujèrita, mujèrisa, mia moglie, tua moglie, sua moglie: till’a mujèrita cu ssi faci li fatti sua, dì a tua moglie di pensare ai fatti suoi. Detto: La mujei è mienzu pani, ciò che la moglie riesce a fare in casa è un gran guadagno.

Mulazza – i s.f., macchina impastatrice usata dai muratori per amalgamare calce e tufo.

Mulinaru – i s. m., mugnaio. V. pòlici.

Mulindinu dal lat. molo-is= macinare, s.m., adetto alla macinazione.

Molendino, denominazione del fiume Chidro quando, nel 1172, faceva funzionare un mulino.

Mulindinu, soprannome della famiglia Chimienti, derivato dall’attività di molitura che praticava.

Mulinu – i s.m., mulino. In passato hanno avuto grande importanza. Si ricordano: il mulino esistito sul fiume Chidro fin dal 1172; i mulini che a Manduria erano concentrati in vico Molini, a fianco della farmacia Menza; il primo mulino a vapore introdotto a Manduria nel 1870 da Salvatore Gigli ed ubicato  nella via Salvatore Gigli, più o meno all’altezza dell’odierno numero civico 76; e, nel sec. XX, i mulini di Pirnecchja e di Culettu in via Roma e il mulino Quero in via per Uggiano.

Mulitiddu s.m., grano spezzato, di seconda qualità.

Nota. A proposito di mulinu va inoltre precisato che insieme  ai frantoi e ai palmenti, i mulini costituivano le uniche industrie del passato, al fine di molire le olive, lavorare le uve e macinare il grano. Tutte queste piccole industrie erano naturalmente di proprietà delle poche famiglie nobili o benestanti.

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Il dialetto del manduriano: muloni – munnu

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Muloni – muluni s. m., melone: muloni sarginiscu, anguria; muloni ti pani, melone; muloni pi ttiniri, melone da conservare. V. cajubbu.

Esisteva il gioco detto ti li muluni. Si giocava con una squadra di bambini che rappresentavano gli acquirenti e una squadra che rappresentava le angurie. Questi si mettevano a sedere per terra con le gambe divaricate, a stretto contatto l’uno con l’altro e legati a braccia tra di loro. Gli acquirenti dovevano cercare di cogliere la prima anguria staccandola dalle altre. Vinceva la squadra che riusciva a cogliere le angurie o l’altra che riusciva a resistere. Indovinelli: Tegnu nu puercu ttaccatu a manganieddu, ca no mmancia e no bbei e jè chjù gruessu ti mei. Ho un maiale legato al truogolo, non mangia e non beve, eppure è più grosso di me ( l’anguria ).

Tegnu na cašcitedda, intra rossa e fori verdi, cu lli tienti neri neri. Ho una cassetta, rossa all’interno e verde fuori, con i denti neri neri ( l’anguria ).

Mulu – a s. m. e f., pl. inv. muli, mulo, mula: animale da tiro, una volta molto utilizzato per la sua instancabile capacità di lavoro: è morta la mula, di situazione che sfugge di mano; menza mula, mula di statura più piccola del normale. V. fiju.

Muluncieddu – i s. m., dim. di muloni, piccolo melone.

Mumentu s. m., attimo, momento.

Munaciccesi – munaciccisi agg. m. e f., monacizzese, di Monacizzo; nella forma sost., Monacizzese, abitante di Monacizzo.

Munacedda – i s. f., dim. di mònica, bambina vestita da monaca per grazia ricevuta. Indica anche la castagnola, piccolo pesce di colore marrone. V. nfocajatti.

Munacieddu – i s. m., ragazzo vestito da monaco per grazia ricevuta.

Munacieddu soprannome della famiglia Baldari.

Munacizzu n. pr. di città, Monacizzo.

Munètula – i dal volg. boletula s. f., fungo commestibile della famiglia dei Boletus. Da noi se ne distinguono due tipi: la munètula firregna, ovvero porcino malefico che cresce nella macchia mediterranea, e la munètula ti oscu, o pinarello, che cresce appunto nei boschi e sotto i pini.

Mottetto: Si’ ffacci ti munètula firregna, si’ tanta brutta e  ue’ tti faci magna. Hai la faccia tosta, sei brutta, eppure pretendi di apparire bella.

Munnari – munnai – munnatu v. tr., mondare della vegetazione sovrabbondante, di alberi come gli ulivi, ecc. V. putari.

Munnatori – munnaturi s. m., operaio specializzato nel mondare gli ulivi.

Munnezza – i dal volg. immunditia s. f., immondizia.

Munnu s. m., mondo: a llu munnu ti osci, stando a come vanno oggi le cose. Indica anche il bombile senza le anse.

Munnu nuèu, denominazione di una contrada, nota fin dal 1543, quando faceva parte del feudo di Bagnolo. V. inchjturu, mmili. Detto: Donca ai, lu munnu è paisi. Dovunque vai, troverai problemi e difetti. Nota. A proposito di muloni va osservato che in passato il termine era molto generico ed indicava anche l’anguria, oltre al melone, meglio identificato come muloni ti pani. In particolare, quello che chiamiamo muloni sarginiscu si riferiva al tipo di anguria tondeggiante e molto scura, oggi quasi del tutto soppiantata dall’anguria brindisina, di forma ovale con striature verdi.

L’espressione muloni pi ttiniri era riferita ai meloni gialli, che si potevano conservare per alcuni mesi, fino a dicembre-gennaio, per consumarli nel corso del tempo e fino alle feste natalizie.

Rispondo alle richieste di chiarimento fatte dal sig. Cosimo Massafra che si chiede se si dice mueddu o mmueddu, mili o mmili, basciu o bbasciu.

Siccome il dialetto è una lingua orale e solo raramente scritta, manca di regole precise che, personalmente, ho cercato di  definire nel mio Vocabolario del dialetto manduriano, dove ero costretto ad affrontare il problema della trascrizione fonetica.

A motivo del fatto che il dialetto è soprattutto lingua parlata, è soggetto sia alle variazioni introdotte dai parlanti, sia alle variazioni di tipo eufonico richieste dal contesto in cui la parola è utilizzata: per es., si dice ašciu ( con l’accento particolare sulla s per indicare che il suono non è fricativo debole, ma sibilante ), ma diventa a bbašciu, con introduzione della b iniziale, che evita il cattivo suono che si avrebbe se dicessimo a ašciu. Siccome la b si sente molto forte, si preferisce scrivere a bbašciu, ma non sarebbe errato scrivere a bašciu.

Diverso è l’esempio di mmili, che raddoppia la m in ogni caso, ossia non solo quando è preceduto da preposizione, ma anche come parola a sé stante o preceduta dall’articolo. Lo stesso dicasi per le parole nnicari, nnittari, nnizzu, rruina, ssùja, zziccari, zzappa, zzueppu, ecc. Questa volta potremmo sì scrivere mili, ma nella certezza che chi legge conosca il dialetto, altrimenti lo pronuncerebbe in maniera scorretta, tenuto conto che per le nuove generazioni spesso il dialetto non è più la lingua materna, cioè quella appresa dalla nascita.

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Il dialetto del manduriano: muntagna – murtieri

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario Il dialetto del manduriano: muntagna – murtieriMuntagna – i s. f., montagna.

Munticieddu – i s. m., monticello. V. monti. Nel ‘700 era chiamato Munticieddu il primo tratto dell’attuale via Lamarmora; ancora fino alla metà del ‘900 si diceva sobbr’a llu Munticieddu a ragione della piccola salita ancora oggi visibile. E’ noto come contrada di campagna fin dal 1512.

Muntirroni – muntirruni s.m., mucchio, monticello di pietre, terra, ecc.

Muntoni – muntuni s. m., montone. V. pècura.

Muraja – i s. f., muro di cinta che stabilisce il confine dell’orto di un’abitazione. Nel 1693 gli Status animarum censiscono una via delle Muraglie, corrispondente all’attuale via Matteo del Prete, con evidente riferimento alla cinta delle Mura messapiche che la percorrevano.

Murajoni – murajuni s. m., accr. di muraja, muraglione.

Murali s. m., inv. al pl., trave in legno.

Murcutìa s. m., mercoledì: comu osci šta fatiàa tantu bellu, lu murcutìa li enni na cosa, ( il rapporto tra la prima e la seconda situazione è come se ) nella giornata odierna lavorava come un leone e il mercoledì successivo si sentì male.

Murgiaccu dal volg. in molliacu, s. m., misto di acqua e fango.

Muriri – morsi – muertu v. intr., morire: šta mmori ti ponta, non ha la forza di reggersi in piedi ( anche con riferimento ad una precaria situazione economica ). V. illanu. Detto:Ci tona prima cu mmori è fessa prima cu nnašci, chi dona i suoi avere prima della sua morte è veramente poco prudente.

Murmurari – murmurai – murmuratu v. intr. e tr., dire male degli altri in loro assenza: šta mòrmura sempri, ha sempre da malignare sugli altri; mi šta fiška la rècchja: mi šta mòrmurunu  ho un ronzio all’orecchio ( sinistro ): qualcuno parla male di me. V. mintuari.

Murrètula – i s. f., chiacchiera, moina: tutti murrètuli siti, siete solo capaci di fare chiacchiere.

Murriggìa – murriggìi s. f., emorragia.

Murtali s. m., inv. al pl., mortaio, recipiente in legno o in ottone usato per triturare pepe, sale, ecc. V. pisaturu.

Murtedda – i s. f., mirto, pianta sempreverde tipica della macchia mediterranea: no nci’ onnu a èssiri no chiacchiri e no murteddi, non devono esserci storie di sorta ( da Lu massaru Cricòriu rusci rusci, di M. Greco, atto I, sc. III ).

Murticedda s. f., lett. “piccola morte”, brivido improvviso causato da uno scuotimento nervoso: m’è passata la murticedda, ho avuto un brivido improvviso, una scossa nervosa.

Murtieri dal fr. mortier, s.m., malta.

Nota. Nella lingua dialettale difficilmente, per individuare un luogo o una abitazione, si faceva ricorso al nome della strada, ma si usavano le espressioni, e si usano ancora adesso, sobbr’ a llu Munticieddu, sott’ a lla štrata Longa, mmer’ a llu Cuponi, sott’a ll’arcu ti sant’Anciulu, sobbr’ a lli casi noi, retu a llu Fuessu, ecc. Anche se l’indicazione può sembrare sommaria, in effetti individua esattamente il luogo dove sorge un certo edificio e corrisponde a : dov’è il Monticello, in via cardinal Ferrara, nelle vicinanze del Cupone, nei pressi dell’ arco di S. Angelo, dove sorge il nuovo rione cittadino, in via del Fossato, ecc. In sostanza, pur non conoscendo le denominazioni delle strade, che il popolo generalmente ignora, si fa riferimento a punti precisi della città a tutti noti.

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Il dialetto del manduriano: murtirizzatu – muštìmutru

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Murtirizzatu -a agg., pl. inv. murtirizzati, abbandonato, non messo a frutto: lu teni ddà murtirizzatu, ce l’ha abbandonato senza farlo fruttare.

Murtòriu s.m., mortorio: a murtòriu, era il suono delle campane, lento e prolungato che annunciava la morte di un confratello. Le campane venivano suonate un minuto ogni ora finché la bara non giungeva in chiesa.

Musali s. m., inv. al pl., museruola.

Muscajoni – muscajuni s. m., grossa mosca, moscone.

Muscaredda – i s. f., moscerino: m’è šciuta na muscaredda nta lu uècchj, m’è andato un moscerino nell’occhio. Indica anche il luì, piccolo uccello comune nel nostro territorio.

Mùšcia – mušci s. f., gatta. V. jatta.

Mušciaredda – i s. f., dim. di mùšcia, gattina.

Mušciarieddu – i s. m., dim. di mùšciu, gattino. Indica anche il piumino, pianta dalle foglie pelose.

Mùsciri – muscìimusciutu v. intr., mugugnare. V. rùsciri.

Mùšciu – mušci s. m., gatto.V. jattu.  Mùšciu, soprannome della famiglia Buccolieri.

Muscriddoni s. m., uva moscata. V. ua.

Musculècchja – musculècchj s. f., baccello minuscolo di fava: si ètunu li primi musculècchj, si vedono già i primi piccoli baccelli.

Musìcchju – musicchj s. m., dim. di musu, labbra piccoline.

Muškera – i s. f., sorta di cuscino, spesso costituito da un semplice sacco arrotolato, messo a tracolla per attutire l’attrito di grossi pesi portati a spalla, come li tineddi ( v. ) usate per il trasporto dell’uva. V. mušku.

Muškisciari – muškisciai – muškisciatu v. intr., mostrare indisponibilità a fare qualcosa, con un complesso gestuale che interessa le spalle e le labbra. V. mušku.

Mušku – mòškuri dal gr. mascale = ascella, s. m., spalla: mi šta ddoli lu mušku, mi fa male la spalla.

Mussusu – mussosa agg., pl. mussusi – mussosi , smorfioso, lezioso. V. mossa 2.

Muštarda s. f., marmellata ricavata dall’uva, cotta con la buccia e i semi.

Muštazzu -i dal gr. miustàkion, s. m., baffetto.

Muštazzuelu – i s. m., mostacciolo.

Muštìmutru – muštìmitri s. m., mostimetro, apparecchio usato per misurare i gradi zuccherini del mosto.

Nota. Il termine muškera richiama subito alla mente la raccolta e il trasporto delle uve che avvenivano dalla fine di agosto a tutto settembre. La muškera si indossava soprattutto in questa circostanza, giacché l’impianto del vigneto e la scarsa meccanizzazione delle operazioni, fino a quarant’anni fa richiedevano  per la vendemmia, non solo l’assunzione delle donne che dovevano vendemmiare, ma anche di un robusto operaio che, attraversando i filari, doveva trasportare a spalla le bigonce colme di uva, del peso di circa cinquanta chili, fino al traino o al camion, che poi andava a scaricare al palmento o alla cantina sociale. Il notevole peso da trasportare rendeva necessario l’uso di questa sorta di cuscino per attutirne l’attrito.

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Il dialetto del manduriano: muštisciari – muzzuni

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Muštisciari – muštisciai – muštisciatu v. tr. e rifl., lett. rendere appiccicaticcio come il mosto, spiaccicare qualcosa rendendola sgradevole: quiddi to pasuli quantu pari ca l’a muštisciati tutti, quei pochi fagioli ( che hai nel piatto, non solo non li hai mangiati, ma ) li hai solo spiaccicati e resi sgradevoli.

Muštìsciu s. m., atto dell’impiastricciare. V. muštisciari.

Muštu s. m., mosto. Detto: Jè muštu ca fervi. E’ mosto in fermentazione ( si dice dei bambini, che in genere sono iperattivi ).

Musu – i s. m., muso, labbro; pulìzziti li musi, pulisciti le labbra. V. ppinzari.

Musicchi, soprannome della famiglia Fanuli.

Muta usato nell’espressione a lla surda e a lla muta, senza far sapere niente a nessuno.

Mutanti s. f. pl., mutande. Senza mutanti, soprannome della famiglia Vigilanza.

Mutazioni s. f., lett. mutamento; peggioramento delle condizioni atmosferiche dedotto dal formarsi o trasformarsi di sistemi nuvolosi: lu tiempu šta ffaci mutazioni, il tempo tende a cambiare in peggio.

Muttori s. m., rugiada: šta matina nc’era nu muttori! Questa mattina c’era molta rugiada.

Mùtula s. f., mutua, assistenza medica.

Muzzarella – i s. f., mozzarella.

Muzzicari – muzzicai – muzzicatu v. tr., mordere: si muzzicava li mani, si mordeva le mani ( per la rabbia ). Indica anche l’azione dello sbucciare le fave secche: làssimi muzzicà’ quiddi to fai, devo sbucciare quelle poche fave. Detto: A ddo mòzzica lu cani minti lu štessu pilu. Rendi la pariglia; occhio per occhio, dente per dente.

Muzzirillaru – i s. m., artigiano che lavora le mozzarelle.

Muzzirillaru, soprannome della famiglia Micelli.

Muzzoni – muzzuni s. m., mozzicone: štuta cuddu muzzoni ti sicaretta, spegni quel mozzicone di sigaretta.

Muzzoni, soprannome della famiglia Lochi.

Muzzu – a agg., pl. inv. muzzi, mutilato; si usa nell’espressione manu muzza, mutilato di una mano. E’ usato come avv. nell’espressione a muzzu, a occhio e croce. Muzzu, soprannome della famiglia Perrucci.

Muzzuni v. muzzoni.

Nota. A proposito del termine mutazioni va notato che solo da pochi anni esistono le previsioni atmosferiche basate su osservazioni scientifiche, in grado di prevedere l’andamento atmosferico anche per più giorni. Ciò non di meno, quando queste non esistevano ancora, i contadini, che gioco forza dovevano fare i conti con le condizioni meteorologiche per poter organizzare al meglio i lavori dei campi, erano in grado di prevedere il tempo del giorno dopo, proprio osservando il cielo.

Il fatto che il sole ponesse limpido, per es., dava certezza che il giorno dopo sarebbe stata una bella giornata; se nel pomeriggio appariva la veronica in direzione di Gallipoli, il tempo avrebbe peggiorato; se appariva tempo perturbato a NO, ossia in direzione di San Marzano, presto sarebbe piovuto, ecc.

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Il dialetto del manduriano: Na – nantimèntiri

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Na inter., toh, tieni. E’ anche art. f., una: na fiata, una volta.

Naca – nachi dal gr. nake, s. f., culla in cui si sistemava il bambino ancora in fasce per cullarlo. V. cònnula.

Naca naca, si dice di dente dondolante che sta per cadere. Indica anche il ramo cedevole di un albero: tira quedda naca, avvicina quel ramo.

Erva naca, tipo di giunco.

Naccarieddu – i s. m., sgombro.

Nacci s. m., inv. al pl., maiale: šta ffaci lu nacci, sta facendo il porco. V. neru, puercu.

Nachiru – i dal gr. nàukleros = nocchiero, pilota di una nave, s. m., capo ti li trappitari, ossia degli operai che lavoravano nel frantoio; spesso proveniva dal Capo di Lecce, dove erano particolarmente esperti nella lavorazione delle olive. A questa attività, prevalentemene invernale, si dedicavano spesso anche i pescatori ( da cui nachiru ) che la cattiva stagione teneva lontani dal mare.

Naffabetu -a agg., pl. inv. naffabeti, analfabeta. Per la cronaca: ancora oggi ci sono casi, sia pure rari, di analfabetismo, anche tra persone abbastanza giovani.

Nàfita – i s. f., tanfo: sta sentu na nafita d’umudu, sento un tanfo di umido ( diG ). V. nàsia.

Naicari – naicai – naicatu v. intr., navigare.

Nanà s. f., nel linguaggio inf., gallina. V. cocò. E’ anche usato come voce onom. per chiamare le galline: nanà nanà nanà.

Nani inter.sin. di nà ( v. ).

Nanna – i s. f., nonna, ava: nànnama, nànnata, nànnasa, mia nonna, tua nonna, sua nonna: mo’ ué’ ssai la nanna e la parananna, adesso vuoi saperne troppe. V. parananna.

Nannarònchjula – i s. f., ranocchia: l’acqua faci iniri li nannarònchjuli, bere acqua al posto del vino, favorisce la formazione di rane nello stomaco.

Nanni s. m., inv. al pl., nonno, avo: nànnima, nànnita, nànnisa, mio, tuo, suo nonno e i miei, i tuoi, i suoi nonni.

Nannorca – nannorchi s. f., orca. V. nannuercu.

Nannuercu – nannuerchi s. m., orco: ciucciu nannuercu, si dice di chi commette certi errori che fanno solo i più piccoli. V. nannorca.

Nantabbiniri s. m., avvenire: pi llu nantabbiniri a llu meju ‘ma šciri, per l’avvenire andiamo verso la buona stagione.

Nanti avv., avanti: nanti pi nnanti, con anticipo; nanti nanti, in prima fila; sin. di nanzi.

Nantimèntiri – (mi) nantimisi – nantimisu v. tr., raccomandare, nel senso di caldeggiare il nominativo di una persona: malitettu a iddu e cinca lu nantimesi, maledetto lui e chi lo presentò.

Usato come v.rifl., offrirsi spontaneamente.

Nota. Per il termine naffabetu è interessante notare che il fenomeno dell’analfabetismo era diffusissimo ancora agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso. Era un fenomeno che interessava soprattutto il meridione d’Italia e il governo del tempo ebbe l’idea intelligente di istituire su tutto il territorio nazionale corsi televisivi e corsi serali a domicilio, in casa dell’insegnante, ai quali potevano accedere persone dei due sessi di ogni età. I corsi televisivi erano condotti dal maestro elementare Alberto Manzi, divenuto famoso per la sua chiarezza nell’insegnamento del leggere e scrivere. Non meno importanti furono i corsi organizzati da giovani maestri nei luoghi di residenza, dove era facile per la conoscenza personale che si aveva, contattare e convincere, anche ultrasessantenni, a frequentare le lezioni che, ovviamente, si tenevano di sera, quando i frequentanti erano ormai liberi dal lavoro.

Nel 1962 poi, fu varata la riforma che istituiva la scuola Media unica e obbligatoria fino a 14 anni.

Questi interventi sulla scuola di base fecero fare al paese un notevole balzo in avanti, a dimostrazione che la cultura favorisce lo sviluppo di un popolo in tutti i sensi, anche nel campo economico, come effettivamente è stato, fino all’avvento della crisi di questi ultimi anni.

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nantinati – nasu

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario 252x300 nantinati – nasuNantinati s. m. pl., antenati.

Nantiporta – i s. f., avamporta a vetri che fa entrare la luce quando la porta è aperta.

Nanzi avv. di luogo e di tempo, avanti: štai ssittatu nanzi casa, è seduto sul davanti della casa; ti crai a nnanzi, da domani in poi. V. nani. Stornello: Quannu passi ti qua nnanzi passa trittu, / no ffà’ capì’ a lla genti ca n’amamu. / Nanzi a lla genti fazzu ca no t’amu / e nta llu cori mia chiusu ti tegnu. Quando passi di qua vai avanti e non fermarti a guardare, / per non far capire alla gente che ci amiamo. / Davanti alla gente fingo di non amarti / e nel mio cuore ti tengo chiuso.

Nàpuli n. pr. di città, Napoli, già capitale del regno delle Due Sicilie prima dell’unità d’Italia. Secondo l’educazione sessuale del passato, era il luogo da cui si mandavano a comprare i bambini che nascevano.

Napuli piccinnu, Napoli piccola: è il nome di un rione di Manduria, situato a Nord della città, ribattezzato rione S. Gemma.

Nàšciri – našcìi – natu v. intr., nascere: quannu a natu? Quando sei nato? No a nàšciri? Non dovrei avere certe propensioni ( per fare come dici, per es., per rubare, essere più scaltro, ecc. ) ?

Nàscita – i s. f., tumore, ascesso. V. timori.

Nàsia s.f., cattivo odore: sta sentu na nàsia d’umudu, di brusciatu, … di criettu, sento odore di umido, di bruciato, …. di animale morto in putrefazione ( diG ); come nàfita.

Nasìcchju – nasicchj s. m., dim. di nasu, nasino.

Nasiddari – ( mi ) nasiddai – nasiddatu v. tr., mangiucchiare: nc’èrunu do peri e a picca a picca si l’è nasiddati tutti, c’erano delle pere e pian piano le ha mangiate tutte (diG ).

Nasieddu – i s. m., sorta di pinze con cui si tenevano i bovini per il naso, per costringerli a camminare o a stare fermi. V. turcinasu.

Naška – i s. f., narice, anche dell’uomo, con una connotazione forte e volgare: teni na bbella naška, ha un bel fiuto. V. naškisciari.

Naška, soprannome della famiglia Stano.

Našketta vezz. di naška, piccola narice.

Našketta, soprannome della famiglia Shiavoni.

Naškisciari – naškisciài – naškisciatu v. tr., fiutare. V. naška.

Naškoni accr. di naška, grossa narice.

Naškoni, soprannome della famiglia Scialpi.

Nasu – i s. m., naso.

Nasu riali, soprannome della famiglia Massafra. Nella forma accr., Nasoni, indica il soprannome delle famiglie Dimitri e Candeloro. Detto: Ci teni nasu teni crianza. Chi ha il naso lungo sa essere cortese ( probabilmente per compensare il difetto fisico ).

Nota. A proposito di sedere nanzi casa, espressione richiamata alla voce nanzi, va osservato che si tratta di una abitudine invalsa fino ad un recente passato, ma osservabile ancora oggi, quando durante la bella stagione, a sera o nei pomeriggi di festa, ci si sedeva a un metro dalla propria abitazione con le spalle rivolte alla strada. Spesso a questa forma di ozio si associavano i vicini, con i quali si socializzavano le esperienze della giornata. A sera, in tempi meno recenti, quando le autovetture erano pressoché inesistenti, si formavano veri e propri circoli che occupavano tutta la strada( v. ròscia ), cui partecipavano anche i bambini, che con interesse ascoltavano i racconti fantastici e moraleggianti degli anziani.

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Il dialetto del manduriano: natalegnu – ncaju

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario1 Il dialetto del manduriano: natalegnu – ncajuNatalegnu – a agg., pl. inv. natalegni, di frutta o ortaggi che maturano nel periodo di Natale: fica natalegna, fico di Natale.

Natali s. m., Natale: ti Natali a santu Štèfunu, si dice di cosa che dura poco. Detto: Nzinna a Natali né friddu né ffami; ti Natali a nnanzi, lu friddu ti retu e la fami ti nanzi. Fino a Natale non si soffre né il freddo né la fame, ma da Natale in poi, la fame precede e segue il freddo. Cantilena pop.: E’ rriatu Natali, / no ttegnu cce ffari, / mi piju la pippa / e mi mentu a ffumari. E’ arrivato Natale, / non ho niente da fare, / prendo la pipa / e mi metto a fumare.

Natari – natai – natatu v. intr., nuotare.

Naticali s. inv., sciocco: cce sorta ti naticali! Quanto è sciocco!

Naturali agg., inv. in gen. e num., naturale. Detto: So’ ccosi naturali e no ssi ponnu rimandari. Tutti i bisogni corporali, per essere naturali, non si possono rimandare.

Nazzicari – ( mi ) nazzicai – nazzicatu v. tr. e rifl., dondolare, cullare, cullarsi. V. naca.

Nazzicata – i  s. f., azione del cullare.

Ncaccaliri – ncaccalìu – ncaccalutu v. intr. imp., di legno reso fradicio dall’umidità, oppure di di pianta che si decompone per eccesso d’acqua.

Ncafari – ncafou – ncafatu v. intr. dif., andar giù: no lli ncafa la fatìa, non gli va di lavorare.

Ncafuddari – ncafuddai – ncafuddatu v. tr., riempirsi la bocca di cibo: quannu uška la cipodda, ncafudda fai, se la cipolla ( cruda ) è piccante, riempi la bocca di fave.

Ncafugnari – ncafugnai – ncafugnatu v. tr., colmare, riempire fino all’eccesso.

Ncafurchjari – ( mi ) ncafurchjai – ncafurchjatu v. intr. medio, rifugiarsi, rintanarsi: mo ni šci ncafurchjamu,  adesso andiamo a rintanarci. V. cafùrchju.

Ncagnulari – ncagnulòu – ncagnulatu v. intr. imp., disfare: si dice di frutto, per es. l’anguria che, per essere più che matura, ha perduto la sua compattezza.

Ncaisciari – ( mi ) ncaisciai – ncaisciatu v. intr. medio, stancarsi, più per noia che per sforzo fatto.l Come v. tr. nell’espressione l’aciu ncaisciatu, non lo sopporto più, mi sono stancato ( per lunga consuetudine ) di fare, adoperare, consumare una cosa o avere a che fare con qualcuno.

Ncajari – ncajai – ncajatu v. intr., avere difficoltà a livello intestinale; sin. di ncajuppari, ntappari, ttampagnari. V. ncaju.

Ncaju – i  s. m., blocco intestinale. V. ncajari, ncajueppu.

Nota. Il termine ncafuddari era molto corrente fino al periodo post seconda guerra mondiale, quando la fame era di casa e la gente più fortunata si sfamava con le fave, legumi molto nutrienti.

Queste venivano servite con cipolla cruda o peperoncini per dare più gusto ai bocconi; è così che si giustifica l’espressione sopra citata: quannu uška la cipodda, ncafudda fai.

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Il dialetto del manduriano: ncajuéppu – ncaricari

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario Il dialetto del manduriano: ncajuéppu – ncaricariNcajuéppu s. m., sin. di ncaju. V. ncajuppari.

Ncajuppari – ncajuppai – ncajuppatu v. intr., avere un blocco intestinale. V. anche ncajari, ncajuéppu, ntappari, ttampagnari.

Ncalamaturu – i dal lat. calamus – i s. m., arrocchiatoio, bastone sottile, lungo poco meno di un metro, sul quale si approntava il bioccolo di cotone per essere filato.

Ncalamisciari – ncalamisciai – ncalamisciatu v. intr., diventare sottile come una penna. V. ncalamaturu.

Ncammarari – ncammarai – ncammaratu v. intr., trasgredire determinate regole, come il divieto di mangiar carne nei periodi di astinenza, o la scarcedda nel periodo prepasquale.

Ncàmmuru  s. m., atto dello ncammarari. V. scàmmuru.

Ncannari – ncannai – ncannatu v. tr., aizzare: m’a ncannatu lu cani, mi hai aizzato il cane contro.

Ncannicchjari – ncannicchjai – ncannicchjatu v. tr., accoppiarsi; richiama l’atto proprio dei cani. V. canècchja. Usato come v. intr., inserirsi: no nci ncanècchja, non si innesta.

Ncanniddutu – a agg., pl. inv. ncannidduti, di frutto o seme bacato.

Ncannizzari – ncannizzai – ncannizzatu v. tr., mettere al riparo dal maltempo i cannicci con i fichi da essiccare. V. scannizzari.

Ncannulari – ncannulai – ncannulatu v. tr., preparare i rocchetti per il telaio. V. cannulìcchju.

Ncantarari – ncantarai – ncantaratu v. tr, conservare in vaso, di cibarie.

Ncappedda s. f., termine usato nella espressione štari ncappedda, star male, stare per morire.

Ncapputtari –  ( mi ) ncapputtai – ncapputtatu v. il fr. capoter v. tr. rifl., capovolgersi, precipitarsi con un mezzo di trasporto.

Ncapuniri ( mi ) ncapunìi – ncapunitu v. intr. medio, intestardirsi.

Ncapuzzari – ncapuzzai – ncapuzzatu v. intr., piegare la testa per effetto del sonno o di morte sopravvenuta: ncapuzzòu e morsi, piegò la testa e morì.

Ncaricari ( mi ni ) ncaricai – ncaricatu v. tr., incaricare. Come v. intr. medio, importare:  no mmi ni ncàricu ca no nci èsciu, non importa se non vedo; no tti ni ncaricari ca štasera facimu li cunti! Non ti preoccupare che questa sera facciamo i conti! ( in segno di minaccia ); cce tti ni ncàrichi ci … ti va se …

Nota. Sul termine ncannizzari va spiegata tutta una pratica di vita incentrata, fino a settant’anni fa, sulla coltivazione dei fichi, quando i ficheti erano molto diffusi nel nostro territorio. I fichi, raccolti fin dai primi di agosto, venivano spaccati in due col coltello e sistemati sui cannicci per essere esposti al sole affinché seccassero. Trattandosi di un frutto molto delicato che non ama né l’acqua, né l’umido, bisognava tenere sotto controllo il tempo atmosferico, perché una eventuale pioggia avrebbe compromesso l’essiccazione; pertanto, in caso di maltempo bisognava immediatamente  ncannizzari, ossia mettere i fichi al riparo dalla pioggia. Nel giro di una settimana i fichi erano pronti per essere immagazzinati, una parte in appositi recipienti ( li putali ) per averne a disposizione durante l’inverno, mentre la maggior quantità veniva venduta e con il ricavato spesso si sposavano i figli, nel senso che si affrontavano le spese vive per la cerimonia nuziale.

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Morra – mpalummutu

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Morra – i dalla radice mediterranea morra = monte (?), s. f., gregge / gran numero: nc’è na morra ti agnuni, c’è una frotta di ragazzi. E’ anche il nome di un gioco inf., in cui i bambini, una volta stabilito il rapporto di gerarchia tra alcuni oggetti ( per es. forbici, carta, sasso, candela ), li rappresentano contemporaneamente, uno ciascuno, con un gesto delle mani. Vince chi rappresenta l’oggetto che è in rapporto di superiorità rispetto all’altro; es., tra carta e forbici vincono le forbici perché tagliano la carta; tra sasso e carta vince la carta perché avvolge il sasso.

Morti s. f., morte: è fatta menza morti, ha sofferto tanto; n’è bbuta la morti, è morto ( in conseguenza di un certo fatto ); no nc’è ci li tai morti, è fatto così bene ( di manufatto ) che durerà a lungo.

La morti, soprannome della famiglia Ruggieri. V. orològgiu. Chiesa della morte, è così denominata la chiesa di S. Lucia, in quanto sede della confraternita della Morte e Orazione, i cui membri si facevano obbligo di seppellire i cadaveri dei poveri. Questo pietoso servizio fu istituito nel 1429, in occasione della peste che in quell’anno devastò Casalnuovo. V. tenti.

Morticcissioni s. f., atto di successione: ‘ma bbut’a pajari nu saccu ti sordi ti morticcissioni, abbiamo dovuto pagare un sacco di soldi per l’atto di successione.

Mòscula – i s. f., uncino, parte metallica del fuso avente la funzione di agganciare il filo. V. fusu.

Mossa – i s. f., gesto, azione / conato; quedda mossa mi la paji, quel gesto me lo pagherai caro; ebbi na mossa ti štòmucu, ebbe un conato di vomito. Al pl., smorfie: totta mossi eti, è tutta smorfie.

Motu – a agg., pl. inv. moti, molto: teni moti uài, ha molti guai. Avv., molto: ai motu ca no llu èsciu, è da tanto che non lo vedo.

Mpacciri – mpaccìi – mpacciutu v. intr., impazzire: mi šta ffaci mpacciri, mi fai impazzire. Detto: Ci lu riccu no mpaccešci, lu puirieddu no ccampa. Se il ricco non dilapida, il povero non sopravvive.

Mpaciari – mpaciài – mpaciàtu v. intr., fare la pace / non avere né credito, né debito: ma mpaciatu, abbiamo fatto la pace / siamo pari.

Mpaddari – mpaddòu – mpaddatu v. intr. imp., si dice dei frutti che sono sul punto di maturare e cominciano ad inturgidirsi: šta zzìccunu a mpaddà’ li fichi, cominciano a maturare i primi fichi.

Mpajari – ( mi ) mpajài – mpajatu v. tr., impagliare: iti ci mi mpàji šti to seggi, impagliami queste due sedie. V. intr. Medio, coricarsi: s’è šci mpajatu, è andato a coricarsi.

Mpajata – i s. f., rivestimento con fibre vegetali, di sedie, fiaschi e simili.

Mpalatu -a agg, pl. inv. mpalati, impalato.

Mpalummiri – mpalummìu – mpalummutu v. intr. imp., ammuffire: jè mpalummutu, è ammuffito. Anche mpalummèšciri.

Mpalummutu – a agg., pl. inv. mpalummuti, ammuffito: pani mpalummutu, pane ammuffito.

Nota sul termine mpaddari. In particolare per quanto riguarda i fichi, va notato che una volta, verso la fine di luglio, per agevolarne la maturazione, si usava instillare una goccia d’olio d’oliva nella parte posteriore al picciolo. Questo perché, esauriti da un pezzo i frutti locali d’annata, come i gelsi, le albicocche e le ciliege, i prossimi frutti a maturare erano i fichi che, con quel procedimento, venivano anticipati di qualche giorno.

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Ncarizzari – nchjanari

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Ncarizzari – ncarizzai – ncarizzatu v. tr., accarezzare. V. tiàulu.

Ncarnari – ncarnai – ncarnatu v. intr., prender gusto a fare qualcosa: jè ncarnatu, ci ha preso gusto; ogna ncarnata, unghia incarnita. V. ncarnu.

Ncarnaturu s. m., esca, data al fine di fare ncarnari. V. anche ncarnu.

Ncarnu s. m., sin. di ncarnaturu ( v. ).

Ncarrari – ncarrai – ncarratu  v. tr., indovinare: a ncarratu, hai indovinato. Ha anche il significato di premere, assestare, per es., del cappello in testa. Può significare anche battere: mo ti ni ncarru unu, mo ti mollo un ceffone.

Ncarruzzari – ncarruzzai – ncarruzzatu v. intr., disporsi a partire: ncarruzzamu e sciàminini, prepariamoci a partire.

Ncartata – i  s. f., cartoccio costituito da un foglio di carta gialla consistente, contenente un acquisto fatto ( solitamente di generi commestibili ): si ni enni cu na ncartata ti pešci, arrivò con una confezione di pesce.

Ncašciari – ncašciai – ncašciatu v. tr., darle, di botte: lu ncašciai bellu bellu, gliele diedi di santa ragione. Come v. intr., prenderle, di botte: quedda fiata ncašciai, quella volta le presi.

Ncašciatu – i s. m., sponda in legno che si infila ai lati del traino a mo’ di protezione. Ponti ncašciatu, denominazione della contrada situata sul versante sinistro della strada prov. per Avetrana. Ncašciatu, soprannome della famiglia Libardi.

Ncàšciu s. m., aspettativa, pretesa: cu štu ncašciu štai ? Hai troppe pretese.

Ncasinari – ( mi ) ncasinai – ncasinatu v. tr. e rifl., complicare una situazione / cacciarsi in una situazione complicata. V. casinu.

Ncasinatu – a agg., pl. inv., ncasinati, di persona che si trova in situazione complicata.

Ncatarratu – a agg., pl. inv., ncatarrati, male in arnese: štou bruttu ncatarratu, sono congestionato.

Ncazzafittari – ncazzafittai – ncazzafittatu v. tr., intonacare. V. cazzafitta, ntunicari.

Ncazzari – ( mi ) ncazzai – nc azzatu v. intr. medio, arrabbiarsi.

Ncertu – a agg. e pron., pl. inv. ncerti, certo: ncerti fiati no ssai propria cce ddici, certe volte non ti rendi conto di quello che dici.

Nchjanari – nchjanai – nchjanatu v. intr., salire.

Come v. tr., avere un rapporto sessuale ( ha una connotazione volgare ): si la nchjanòu, ebbe un rapporto sessuale con lei.

Nota sul termine ncašciatu, considerato come sostantivo. Li ncašciati, uno a destra e l’altro a sinistra del traino, insieme a lli tampagni, uno anteriore e l’altro posteriore, delimitavano la littera, cioè il fondo del traino entro il quale si sistemavano persone o cose. Li ncašciati erano dotati di due o più assi esterni che, per la parte inferiore, si infilavano nel traino, mentre nella parte superiore consentivano di serrare li ncašciati. Nel caso di  trasporto di persone, tra i due ncašciati si collocava una tavola in orizzontale affinché le persone potessero stare comodamente sedute. Se invece la destinazione d’uso era finalizzata al trasporto di cose, ncašciati e tampagni potevano essere rimossi, come nel caso del trasporto di conci di tufo, oppure della carrizza per il trasporto del vino. Invece per il trasporto delle uve con gli appositi tinacci venivano rimossi solo li tampagni. In questi ultimi tre casi il conduttore del traino sedeva tra la staffa e la stanga destra, che era il solo spazio libero dal carico che si trasportava.

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Nchjanata – ncucciari

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Manduria Pietro Brunetti Vocabolario1 253x300 Nchjanata – ncucciariNchjanata – i s. f., salita.

Nchjuari – nchjuai – nchjuatu v. tr., inchiodare.

Nchjummari – nchjummai – nchjummatu v. tr., impiombare, riempire di piombo. V. intr., reprire dentro un sentimento di dolore, astio, ecc.

Nci avv., v. ci 3.

Ncinatu – i s. m., calcio sferrato da un mulo, un asino, un cavallo.

Ncinu – i  dal volg. uncina, s. m., al sing., palo attraversato da pioli sui quali si sistemavano li picciddati di pane per la settimana; lu ncinu si sospendeva poi al soffitto per salvaguardare il pane dagli animali. Al pl., sorta di portapacchi che si agganciava a la uarda ( v. ) per trasportare pesi, canestri e sàrcini. V. sàrcina.

Ncippunari – ncippunai – ncippunatu v. tr., tenere bloccato come un ceppo, stringere, condizionare.

Ncitrinniri – ncitrinniu – ncitrinnutu v. il fr. citron v. intr. imp., ingiallire. V. ngialliniri.

Nciurari – nciurai – nciuratu v. tr., usare atteggiamenti istrioneschi verso qualcuno: mi šta nciura, mi fa gli sberleffi. V. intr., esprimere disgusto: šta nciuri tantu! Sembri così disgustato!

Ncocchj dal lat. in copula, avv., accanto: jàbbita ncocchj casa mia, abita accanto casa mia; a ncocchj, a fianco. V. ccucchjari.

Ncocchjallùrtumu – ncocchjallùrtima agg., pl. inv. ncocchjallùrtimi, lett. a fianco all’ultimo, vale a dire il penultimo.

Ncocchjapprima num. ord., lett. a fianco al primo, ossia il secondo.

Ncrapiata s. f., misto: na ncrapiata ti fai e foji, un misto di fave e verdura. V. faa.

Ncrèšciri – ( mi ) ncrišcìu – crišciutu v. intr. imp., rincrescere per pigrizia: mi šta ncrešci cu bbou a ccasa, non mi va di andare a casa.

Ncrinari – ( mi ) ncrinai – ncrinatu v. tr. e rifl., piegare, piegarsi: ncrina la capu, piega la testa. V. intr., applicarsi: no nci ncrina, non si applica ( per mancanza di interesse ).

Ncrišcimientu s. m., pigrizia: pi llu ncrišcimientu mancu s’azzou, per pigrizia neppure si levò in piedi.

Ncrišciusu – ncrišciosa agg., pl. ncrišciusi – ncrišciosi, pigro.

Ncucari – ncucòu – ncucatu v. intr. imp., lett. fare lu cucu, ingrossare: quiddi chianti di scarciuèppuli sta zziccunu a ncucari, i cardi cominciano a ingrossare ( diG ).

Ncucciari – ( mi ) ncucciai – ncucciatu v. intr. medio, ostinarsi: comu si ncuccia eti! Deve essere necessariamente secondo la sua idea.

Nota. Il termine ncrapiata, ossia il misto di fai e foji rappresenta uno dei piatti tipici della cucina locale. Esso consiste in una pietanza di fave a purè servite insieme a verdura lessa, preferibilmente  selvatica, costituita da zanguni, spruscini, cicureddi, crištoli, carduncieddi, ecc., in quanto le diverse verdure conferiscono un sapore particolare.

Una volta questo piatto, molto sostanzioso, si consumava anche due o tre volte la settimana, non potendo variarlo con alimenti come la carne e il pesce; sennonché negli ultimi decenni era caduto in disuso per la connotazione di miseria cui era associato. Oggi, invece, si ritrova nei migliori ristoranti, anche perché individuato come un piatto caratteristico della dieta mediterranea.

All’uso che se ne faceva in passato va anche rammentato il piatto di fai crišciuti, che si preparavano per colazione la mattina di buonora, utilizzando i resti di fai e foji del giorno precedente, col risultato di un pastone saporitissimo che metteva in forze i contadini che si apprestavano al duro lavoro dei campi.

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Ncucujari – ncušciari

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Ncucujari – ( mi ) ncucujai – ncucujatu v. tr. rifl., piegarsi sulle gambe fin quasi a toccare terra col sedere, accoccolarsi.

Ncuculari – ncuculai – ncuculatu v. tr., approntare rapidamente.

Ncucuruzzari – ncucuruzzai – ncucuruzzatu v. tr., far ben colmo: tammi nu gelatu bellu ncucuruzzatu, dammi un gelato ben colmo.

Ncuddari – ncuddai – ncuddatu v. tr., incollare. Come v. intr. dif., con una voce al pres., ncodda, due al passato, ncuddaa, ncuddou, ed una al part. pass., ncuddatu, accollarsi un impegno, aver voglia: tini ca no tti šta ncodda, dì’ che non ne hai voglia.

Ncufanari – ncufanai – ncufanatu v. tr., portare l’uva a spalla con grosse gerle, dal luogo della vendemmia al veicolo che doveva poi trasportarla al posto di lavorazione. Per attutire l’attrito dovuto al peso si usava proteggersi la spalla cu lla muškera. V. còfunu, muškera, tinedda.

Ncufanatori – ncufanaturi s. m., operaio che trasportava a spalla la gerla dell’uva durante la vendemmia.

Ncujunutu – a agg., pl. inv. ncujunuti, sporco stantio: quiddi rrobbi so’ tutti ncujunuti, quei vestiti sono sporchi. Il termine implica l’incapacità del soggetto di curare la pulizia.

Nculai – ( mi ) nculai – nculatu v. tr., tracannare: cuddu si ncula lu uéju ti récini sia ca jé rusòliu, tracanna l’olio di ricino come se fosse rosolio ( diG ). Ha anche il significato di sodomizzare.

Nculazzari – nculazzai – nculazzatu v. tr., accostare la parte posteriore del traino per scaricare le cose trasportate: nculazza dda nfacci, accosta lì vicino. V. culazza.

Ncunu – a agg., qualche: ncun’agnoni é bbut’a bbéssiri, sarà stato qualche bambino. Come pron., qualcuno: é bbut’a bbéssiri ncunu! Qualcuno sarà pure stato!

Ncurdari – ncurdai – ncurdatu v. tr., dare un contentino, contentare: iti ci lu ncuerdi nu picca, prova a dargli un contentino.

Ncurnari – ncurnai – ncurnatu v. tr., incornare.

Ncurnata – i s. f., cornata.

Ncurpurari – ( mi ) ncurpurai – ncurpuratu v. intr. medio, fare corpo unico: mo mi ncùrpuru mienzu scunnutu nfacci a lla cappedda, mi nascondo vicino alla cappella ( da La capasa, di M. Greco, atto IV ).

Ncurtéšciri – ncurtìi – ncurtutu v. tr., accorciare: li sciurnati onnu ncurtennu, le giornate si vanno accorciando.

Ncušciari – ncušciai – ncušciatu v. tr., darle, di botte: l’aciu ncušciatu cu lli contraréculi, gliele ho date di santa ragione. Come v. intr., prenderle: quantu jeni ncušci, quando vieni le prendi.

Nota.  Il termine ncufanari evoca un mondo contadino ormai definitivamente tramontato. Esso è legato alla coltivazione della vite che, da poco meno di un secolo, costituisce la coltura fondamentale di Manduria insieme a quella dell’ulivo.

Fino a circa trent’anni fa l’agricoltura non era molto meccanizzata e la forza lavoro era costituita soprattutto da quella fornita dalle persone. In particolare per la raccolta delle uve, venivano impegnate le donne per vendemmiarla e uomini robusti e solidi per  trasportarla. Infatti, dai filari in cui si vendemmiava, assegnati uno ad ogni donna, le uve dovevano poi essere portate  nta lli tinacci,  solitamente due o tre, sistemati sul traino. Era questa l’operazione ti lu ncufanari, fatta da lu ncufanatori, cioé l’uomo che trasportava a spalla le bigonce ( tineddi ) colme di uva. Le bigonce  contenevano nu còfunu, ossia una grande quantità di uva, dal peso di circa cinquanta chili. Quando il carico era pronto, il traino trasportava le uve al palmento. Nel frattempo le operaie continuavano a vendemmiare, mentre lu ncufanatori versava le uve nta llu piloni, in attesa che il traino ritornasse per fare un altro carico.

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Ncussari – ndrizzari

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Pietro Brunetti VocabolarioNcussari – ncussai – ncussatu v. tr., sistemare le pietre ai due lati di una strada di nuova costruzione, in modo da definire il letto stradale per il successivo riempimento.

Ncussatora – i s. f., tracciato di pietre ai lati di una strada in costruzione. V. ncussari.

Ncuttu – a agg., pl. inv. ncutti, di legumi o pasta che cuocendo in poca acqua risultano fusi e mal cotti.

Ncutugnari – ncutugnai – ncutugnatu v. tr., da cutugnu, darle di santa ragione: lu ncutugnai bellu bellu, gliele diedi di santa ragione.

Ncutugnatu – a agg., pl. inv. ncutugnati, lett. duro in viso come una melacotogna, imbronciato, corrucciato. Si dice anche del tempo atmosferico: lu tiempu štai ncutugnatu, il tempo è indeciso ( non è sereno, ma neppure minaccioso ).

Ncutušciari – ncutušciai – ncutušciatu da ncutugnari + ncušciari ? v. tr., darle, di botte.

Ncuzzittari – ncuzzittai – ncuzzittatu v. tr., dare uno scappellotto dietro la nuca: mo ti ni ncuzzettu unu, mo ti dò uno scappellotto. V. cuzzettu. Ha anche il significato di appioppare: m’onnu ncuzzittatu nu bellu uai, mi hanno procurato un bel guaio.

Ndandarandì e ndandarandà voce onom. che riproduce il suono della campana.

Ndélicu – a agg., pl. inv. ndélichi, delicato, fine.

Ndelu – a agg., pl. inv. ndeli, debole, lento: ndela ndela, fiaccamente. Mancu la nei lu ddiaca! / Ti qua na rignatela / trèmula ndela ndela, / ppesa tra naca e naca. Neppure la neve l’offende! / Qui una ragnatela / trema debolmente / sospesa tra ramo e ramo. ( Da l’arvulu t’aulìa di F. Dinoi ).

Ndianaturu – i s. m., incannatoio, sorta di fuso capovolto in ferro. Si manovra facendolo girare dopo aver inserito la punta in una base di legno detta cozza. Serviva per preparare li cannulicchj, ossia i gomitoli di cotone da utilizzare per tessere al telaio. Non è esatta la voce riportata dal Rohlfs di trajanaturu.

Ndiinieddu – i s. m., indovinello.

Ndinari – ndinai – ndinatu v. tr., indovinare: andina cce aciu cchjatu, indovina cosa ho trovato.

Ndirlittari – ( mi ) ndirlittai – ndirlittatu  (da dilettare ) v. tr. rifl., fare qualcosa curandone con passione anche i minimi particolari.

Ndricchjari – ndricchjai – ndricchjatu dall’ingl. to drink , v. intr., bere al vino con gusto e in abbondanza.

Ndrizzari – ndrizzai – ndrizzatu dal volg. inderectiare, v. tr., imbroccare la strada, la soluzione giusta: e mai cu ni ndrizzi una! E mai che ne imbrocchi una giusta! Ha anche il significato di raddrizzare. Detto: La lignami štorta nc’è l’ašcia ca la ndrizza. Le situazioni difficili vanno corrette con interventi decisi.

Nota. Il termine ndianaturu è un richiamo all’arte della tessitura nota a tutti i popoli. Nel nostro caso va ricordato che questa tradizione artigianale risale al tempo della Manduria messapica ( VI sec. a. C. ), quando si costruivano li pisarieddi. Questi erano contrappesi di creta, a forma piramidale, usati proprio nei telai; quelli impastati invece con miele e farina, sempre a forma piramidale, erano dolci che venivano offerti ad Athena Ergane, alla quale erano cari i tessuti e i ricami.

La lunga tradizione manduriana dei tessuti orditi al telaio è durata fino a qualche decennio fa, ed è stata particolarmente prolifica nei secoli XVIII e XIX.

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Ndròmisi – nfilafàuci

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Ndròmisi dal gr. tròcsima, s. m., sorta di pastone di granturco / cibo preparato alla buona e, per estensione, oggetti fuori uso.

Ndruccari – ndruccai – ndruccatu v. tr., piegare a forma di uncino l’estremità di un bastone di materiale malleabile, che perciò facilmente conserva la forma data.

Nduciri – nducìi – nduciutu v. intr., addolcire: l’aulìi ancora no nc’onnu nduciuti bueni, le olive non sono ancora perfettamente dolci.

Necramaru agg. sost., negramaro, tipo di uva.

Nefa s. f., tanfo, cattivo odore.

Nei s. f., neve, anche ghiaccio. V. nijisciari.

Neja – i , dal volg. nebula, s. f., nebbia.

Nenni s. m., inv. al pl., antenato, nonno: nènnima, nènnita, nènnisa, mio nonno, tuo nonno, suo nonno. V. nanna. Nel 1756, nel borgo di Porta Grande, è censita una strada dello nenne.

Neru – i  s. m., maiale. V. nacci, puercu.

Neu – i s. m., neo.

Detto: Cinca teni nu neu e no ssi lu eti, teni la furtuna e no ssi la creti. Spesso abbiamo la fortuna a portata di mano senza accorgercene, esattamente come si può avere un neo sul proprio corpo senza rendersene conto.

Nfacciari – ( mi ) nfacciai – nfacciatu v. tr. rifl., affacciarsi.

Nfacinnatu – a agg., pl. inv. nfacinnati, affaccendato. V. facenna.

Nfamu – a agg., pl. inv. nfami, infame, colpevole: iddu è lu nfamu, è lui il colpevole.

Nfassari – nfassai – nfassatu v. tr., fasciare. V. fassa, sfassari.

Nfaugnari – nfaugnou – nfaugnatu v. intr. imp., il prodursi dell’afa: šta nfaugna, fa afa. V. faugna.

Nfiamari – nfiamai – nfiamatu v. tr., imbastire a mano due pezzi di stoffa, prima di cucirli definitivamente.

Nfiamatora – i s. f., imbastitura.

Nfignattantu cong., v. fincattantu.

Nfilafàuci s.m. inv. al pl., furbacchione, imbroglione: cce sorta ti nfilafàuci ca sinti! Sei un bel furbacchione!

Nota. Il termine nei, come abbiamo detto, indicava non solo la neve che da noi cade raramente, ma era riferito anche al ghiaccio. Questo, fino alla metà del secolo scorso, quando non esistevano ancora i frigoriferi, veniva molto usato durante l’estate per rinfrescare gli alimenti e in particolare le bevande. Esso si produceva in blocchi a forma di lunghi parallelepipedi nelle ghiacciaie, come per es. quella di Quero, ubicata in fondo al vicolo che si trova a sinistra di via per Uggiano, imboccandola dai giardini pubblici e a circa cento metri da questi. I blocchi venivano poi comprati dai pizzicagnoli, che li rivendevano al minuto a piccoli pezzi del valore di qualche lira. In mancanza di questo refrigerio, le bevande venivano calate nel pozzo o nella cisterna, dove la temperatura era sensibilmente più fresca.

Ancora più indietro nel tempo si faceva largo uso del ghiaccio per scopi medicamentosi; ma allora non c’erano ancora gli stabilimenti dove fabbricare il ghiaccio. L’alternativa era ricavarlo dalla neve, che veniva importata, anche dall’Albania, conservata in fondo alle neviere dove, compressa, diventava ghiaccio per poi attingerne all’occorrenza. In Manduria esisteva una neviera in piazza M. Giannuzzi, un’altra in via M. Gatti ed una terza in vico I M. Gatti.

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nfilafòrbici – nfurchjari

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Pietro Brunetti VocabolarioNfilafòrbici  s. m., inv. al pl., arrotino ambulante.

Nfilabruficu s. m., carota selvatica, pianta erbacea dallo stelo lungo, sottile e coriaceo, utilizzato per fare la corona di caprifichi da appendere all’albero di fico, affinché gli agenti maschili del caprifico fecondino quelli femminili del fico. V. bruficu.

Nfilari – nfilai – nfilatu v. tr., affilare: nfila štu curtieddu, affila questo coltello. Ha anche il significato di infilare.

Nfilittari – nfilittai – nfilittatu v. intr., dimagrire: onnu nfilittatu, son dimagriti; šta nfiletta, sta dimagrendo.

Nfinattantu cong. V. fincattantu.

Nfirriata – i s. f., inferriata.

Nfitèšciri – nfitišcìu – nfitišciutu v. intr. dif., putrefare, si dice, per es. del pesce e della carne: lu pešci è nfitišciutu, il pesce è andato a male.

Nfitišciutu – a agg., pl. inv. nfitišciuti, fetente, più che impertinente: cuddu nfitišciutu ti agnoni! Quel mascalzone di ragazzo!

Nfizzari – nfizzai – nfizzatu v. tr., stropicciare, sgualcire, di vestito: tuttu t’a nfizzatu, hai sgualcito tutto il vestito. V. nfrizzulari.

Nfocajaddini s. f., inv. al pl., lett. “affoga galline”, edera spinosa, caratteristica per le bacche rosse e le spine che crescono lungo la liana.

Nfocajatti s. m., inv. al pl., lett. “ affoga gatti “, castagnola, pesce molto spinoso, pericoloso persino per i gatti.

Nfracitèšciri – nfracitìu – nfracitutu v. intr. dif., marcire, del legno che diventa corrotto a causa del tarlo o dell’umido. V. fràcitu.

Nfriccicari – ( mi ) nfriccicai – nfriccicatu v. intr., rifl., adoperarsi con grande impegno ma in maniera puerile: ti šta nfrìccichi tantu! Ti stai adoperando così tanto!

Nfrizzulari – ( mi ) nfrizzulai – nfrizzulatu v. tr., sgualcire, sgualcirsi, spiegazzare un fazzoletto, i pantaloni, ecc. V. nfizzari.

Nfucari – ( mi ) nfucai – nfucatu dal volg. infaucare v. tr. e rifl., affogare, strozzare: mo ti nfocu, mo ti strozzo.

Nfuèrducu – nfuèrdichi s. m., imbroglio: ai sempri cu lli nfuèrdichi, cerca sempre di imbrogliare.

Nfumicari – nfumicai – nfumicatu v. tr., affumicare.

Nfurchjari – ( mi ) nfurchjai – nfurchjatu v. intr. medio, rintanarsi. V. fòrchja.

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Nfurciddari – ngialliri

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Pietro Brunetti VocabolarioNfurciddari – nfurciddai – nfurciddatu v. tr., puntellare con un sostegno. V. furcedda.

Nfurdicari – ( mi ) nfurdicai – nfurdicatu dal volg. inverticare, v. tr., rimboccare, rimboccarsi: nfurdicàmini e fatiamu uagnù, ragazzi, rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo. V. puzzedda.

Nfurnari – nfurnai – nfurnatu v. tr., infornare.

Nfurnata – i s. f., infornata.

Nfurtiri – nfurtìu – nfurtutu v. intr. dif., dell’olio  non commestibile a causa dell’aumentata acidità: štu uèju jè nfurtutu, quest’olio è diventato troppo acido.

Nfurziunari – ( mi ) nfurziunài – nfurziunatu v. intr. medio, raffreddarrsi, nel senso di prendere un raffreddore. V. furzioni.

Nfusari – nfusai – nfusatu v. intr., infilarsi: a totta na fiata nfusou intr’a casa mia, ad un tratto s’infilò in casa mia ( diG. ).

Nfuscari ( mi ) nfuscai – nfuscatu v. intr. medio, lett. offuscare la mente, perdere le staffe.

Nfusulari – nfusulòu – nfusulatu v. intr. dif., di pianta erbacea che cresce in altezza, tallire.

Ngaggiari – ngaggiài – ngaggiatu v. tr., impegnare, ingaggiare.

Ngannapaštori s. m. inv. al pl., succiacapre, uccello insettivoro notturno.

Ngarbamientu s. m., garbo: a bbetri lu ngarbamientu ti quedd’agnoni! Devi vedere il garbo di quella ragazza!

Ngarbari – ngarbai/ ( mi ) ngarbòu – ngarbatu v. tr., rendere garbato: s’acchia lu ngarbi nu picca cuddu sciupparieddu, no bbiti comu li ai?! Occorre che sistemi un po’ quel corsetto che non le sta bene affatto ( diG ). Usato come v. intr. imp., garbare: no lli ngarba, non gli va, non vuole.

Ngarbatu – a agg., pl. inv. ngarbati, garbato.

Ngegna – i dal volg. ingenia, s. f., campo coltivato ad ortaggi con annesso impianto di irrigazione. Il significato più pregnante era quello che aveva due secoli fa, quando il Pacelli dice che “ Ingegne per tutta la provincia si appellano que’ vasti pozzi, dai quali si cava l’acqua per mezzo di molte brocche che pendono da una gran ruota, che si fa girare da un asino o da un cavallo ( G. Arnò, Il can. don G. Pacelli, pag. 75 ).

Ti la ngegna, soprannome della famiglia Mariggiò.

Ngialliniri – ngiallinìi – ngiallinutu v. intr., ingiallire, diventare giallo per malattia o degrado. V. anche ncitrinniri, ngiallinèsciri.

Ngiallinutu – a agg., pl. inv. ngiallinuti, giallognolo, di colore innaturale del viso o di un frutto, con connotazione di malattia o di degrado. V. anche ngualinutu.

Ngialliri – ngiallìu – ngiallutu v. intr. dif., diventar giallo ( di foglie che tendono ad appassire ).

Nota. Un’osservazione particolare va fatta sul termine ngegna, lett. “ingegno”, così chiamata perché implica l’uso di una macchina che è stata molto in voga per secoli, finché non è venuta in sostegno la meccanica moderna. La ngegna era dunque un appezzamento di terreno per la coltivazione di tutte le verdure di uso quotidiano ( sedano, finocchio, prezzemolo, cicorie, rape, fagiolini, ecc. ), caratterizzato dalla presenza della noria, che rappresentava il fatto ingegnoso, in quanto consentiva di irrigare agevolmente piante che necessitano di acqua. La noria, introdotta dai Turchi intorno al IX sec., si rivelò di grande utilità per la trasformazione del moto orizzontale in moto verticale, grazie all’impiego dell’asino che, ruotando in continuazione intorno al pozzo, metteva in moto una ruota dentata che operava quella trasformazione. In conclusione la ruota sistemata in orizzontale sull’imboccatura del pozzo, consentiva ad una serie di contenitori sistemati su una ruota verticale di scendere nel pozzo, riempirsi di acqua, quindi risalire e versarla in un deposito, da cui partiva la canalizzazione per irrigare le culture.

Il successo della ngegna ha fatto sì che la parola venisse usata anche come soprannome del conduttore dell’azienda.

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Nginucchjari – ngulari

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Pietro Brunetti VocabolarioNginucchjari – ( mi ) nginucchjai – nginucchjatu v. tr. rifl., inginocchiarsi, genuflettersi.

Ngiùria s. f., soprannome: comu si menti ti ngiùria? Qual è il suo soprannome? La ngiùria era un codice invalso fino alla metà del secolo scorso, col quale era possibile identificare immediatamente una persona o il suo gruppo di appartenenza.

Ngogna – i s. f., tratto irregolare di un terreno, laddove perde la forma ad angolo retto e si restringe.

Ngonga – ngonghi s. f., termine usato nel linguaggio inf., mulo, cavallo.

Ngramari – ngramòu – ngramatu v. intr. dif., muggire.

Ngranniri – ngrannìi – ngrannutu v. tr., ingrandire. V. cranni.

Ngrassari – ( mi ) ngrassai – ngrassatu v. tr., ingrassare. V. crassu. Come v. intr. medio, ingrassarsi.

Ngràtisi dal lat. gratis, avv., gratis. V. cràtisi.

Ngraziamientu s. m., buone maniere: lu teni lu ngraziamientu cuddu agnoni, quel ragazzo sa usare le buone maniere ( diG ).

Ngraziatu – a agg., pl. inv. ngraziati, grazioso; anche in senso fig., riferito per es. al modo di fare: cce jè ngraziatu, com’è aggraziato.

Ngrippari –( si ) ngrippòu – ngrippatu v. lo sp. gripe = influenza, v. intr., congestionato, come chi è influenzato: štu motori s’è ngrippatu. Il motore non va più bene, è come intasato.

Ngruèffulu – i s. m., rumore prodotto dal russare: sienti cce ngruèffuli ca faci, senti come russa.

Ngruffulari – ngruffulài – ngruffulatu v. intr., russare.

Ngrussari – ngrussai – ngrussatu v. intr., ingrossare. V. cruessu.

Nguacchjari – (mi ) nguacchjài – nguacchjatu v. tr. e rifl., imbrattare, riempire di macchie: t’a nguacchjatu tuttu, ti sei tutto sporcato.

Nguàcchju s. m., pasticcio, cosa fatta disordinatamente: a cumbinatu nu bellu nguàcchju! Hai combinato un bel pasticcio!

Ngualinutu – a agg., pl. inv., ngualinuti, pallido. V. ngiallinutu. Esciu lu tata straccu ti fatìa, / lu èsciu a nfacci tuttu ngualinutu, / s’è cunsumatu tuttu a ffari cordi, / mo nci so’ jù ca pozzu tari aiutu. Vedo papà distrutto dal lavoro, / lo vedo pallido in viso,/ si è consumato nel costruire corde, / ma adesso ci sono io che l’aiuto. ( da Fra Eggìtiu ti Taràntu di p. G. D’Ostuni, canto II )

Nguattari – ( mi ) nguattài – nguattatu v. intr. medio, isolarsi non visto in luogo appartato; s’è nguattatu, è andato a letto.

Ngulari – ngulai – ngulatu v. intr., prendere gusto a fare qualcosa: mo’ a ngulatu! Adesso ci hai preso gusto!

Nota. Il termine ngiùria è proprio della cultura popolare, la cui dimensione generalmente circoscritta al piccolo centro abitato, consentiva di individuare i singoli soggetti in base a due elementi: l’appartenenza familiare ( lu fiju ti lu Nicola Pappasìu ) e il carattere dominante del soggetto. Per quanto riguarda il secondo elemento, questo poteva essere riferito alla attività svolta ( per es., Banništu, Bicchiraru, Capubbanna, Cardajolu, Cruiddaru, Furnaru, Lupinaru), oppure ad un elemento fisico spiccato ( Beccùcciu, Minnacchjuta, Nasu riali ), ad un elemento fisico che richiamava una certa somiglianza con qualcosa ( Brasciòla, Bruficu, Bucatinu ), ad un difetto ( Busciaru, Cicatu), alla somiglianza con l’effetto prodotto da una pianta ( Campumilla, Putrisinu, Cicora, Cipuddazza) o da un animale ( Cicala, Jaddina, La Mosca, Ti li cani ), ad una particolare propensione ( Tonu, ), ad una particolare espressione usata dal soggetto, di cui ne stigmatizzava il carattere ( Bruškapiccioni, Cazzacàpuri, Cojumìa, Maria ti lu bbaggiu), al legame con un certo ambito lavorativo ( Massiriola, Ti li fitienti ).

I riferimenti sono tantissimi, come numerose sono le peculiarità degli esseri umani. Quello che fa riflettere è che la ngiùria è sempre un appellativo così azzeccato da costituire la fotografia della persona chiamata in causa, da ciò anche la facilità con cui si ricordavano i soprannomi.

E’ evidente che questo sistema identificativo è venuto meno nel momento in cui la società ristretta del paese si è aperta verso un mondo molto più ampio e complesso, ed oggi le persone si individuano con un semplice, arido numero telefonico.

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Ngulaturu – ninni

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Pietro Brunetti VocabolarioNgulaturu s. m., dolce, ma anche promessa o concessione, che si dà  per stimolare a fare qualcosa che costa fatica: prima m’è datu lu ngulaturu e puei … , prima mi ha lusingato e poi …

Ngurciari – ngurciai – ngurciatu v. tr., vedere: no nci nguerci? Non riesci a vedere?

Ngurdiusu – ngurdiosa v. lo sp. engordar=ingrassare; agg., pl. ngurdiusi – ngurdiosi, ingordo, avido: no ffa’ sempri lu ngurdiusu, non essere ingordo.

Ni pron., ne: ni parlammu l’otru giurnu, ne parlammo l’altro giorno. Usato come avv., ne, con valore enfatico: no tti ni sciri, non andartene.

Nicari – nicai – nicatu v. tr., negare: no tti la nicari ca si štatu tuni, non puoi negare di essere stato tu.

Niccupollu – a s., pl. inv. niccupolli, babbeo.

Nicissàriu s. m., vaso da notte. V. cantru, ziu.

Nicissàriu – a agg., pl. inv. nicissari, necessario.

Nienti v. nienzi.

Nienzi pron. ind. ed avv., niente: no mbali nienzi ( nienti ), non vale niente; nienti nienti cu ll’è bbinuta la frei, vuoi vedere che ha la febbre?

Niervu – i s. m., nervo: mo mi faci inì’ li niervi, ora mi fai innervosire.

Nigriri – nigrìi – nigritu v. intr., diventar nero.

Nijari – nijou – nijatu v. intr. dif., di agrumi che si svuotano a causa del gelo.

Nijascopa s.f., pianta il cui pennacchio viene utilizzato per la costruzione di scope.

Nijisciari – nijisciòu – nijisciatu v. intr. imp., nevischiare. V. nei.

Nimicu – i s. m., nemico: pi llu servu ti lu nimicu! Per Giove!

Nincòsia pron. ind., ogni cosa, tutto: pija nincòsia e abbanni, prendi tutto e vai via.

Nininedda – i s. f., rondine.

Nininedda, soprannome della famiglia Massafra. Cantilena inf.: Nininedda, nininedda, / ieni ca ti fazzu la išticedda, / ti la fazzu noa noa / comu la janoa. Rondinella, rondinella, / vieni che ti faccio il vestitino, / te lo faccio nuovo nuovo / come una strada di nuova costruzione.

Ninni s. f., inv. al pl., pupilla. Come s. inv. in gen. e num., bambino piccolo; usato nel linguaggio inf.

Nota. Il termine che annotiamo è nininedda per evocare scene quotidiane primaverili quando, di ritorno dai paesi caldi in cui avevano svernato, era possibile vedere le rondini, allineate a centinaia sui fili degli elettrodotti, oppure volteggiare alte nel cielo prima dell’imbrunire.

La loro scomparsa è certo un segno della contaminazione dell’ambiente, così come oggi vanno scomparendo le api a causa dell’avvelenamento del suolo per l’uso così diffuso in agricoltura di veleni di ogni tipo.

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