Muloni – muluni s. m., melone: muloni sarginiscu, anguria; muloni ti pani, melone; muloni pi ttiniri, melone da conservare. V. cajubbu.
Esisteva il gioco detto ti li muluni. Si giocava con una squadra di bambini che rappresentavano gli acquirenti e una squadra che rappresentava le angurie. Questi si mettevano a sedere per terra con le gambe divaricate, a stretto contatto l’uno con l’altro e legati a braccia tra di loro. Gli acquirenti dovevano cercare di cogliere la prima anguria staccandola dalle altre. Vinceva la squadra che riusciva a cogliere le angurie o l’altra che riusciva a resistere. Indovinelli: Tegnu nu puercu ttaccatu a manganieddu, ca no mmancia e no bbei e jè chjù gruessu ti mei. Ho un maiale legato al truogolo, non mangia e non beve, eppure è più grosso di me ( l’anguria ).
Tegnu na cašcitedda, intra rossa e fori verdi, cu lli tienti neri neri. Ho una cassetta, rossa all’interno e verde fuori, con i denti neri neri ( l’anguria ).
Mulu – a s. m. e f., pl. inv. muli, mulo, mula: animale da tiro, una volta molto utilizzato per la sua instancabile capacità di lavoro: è morta la mula, di situazione che sfugge di mano; menza mula, mula di statura più piccola del normale. V. fiju.
Muluncieddu – i s. m., dim. di muloni, piccolo melone.
Mumentu s. m., attimo, momento.
Munaciccesi – munaciccisi agg. m. e f., monacizzese, di Monacizzo; nella forma sost., Monacizzese, abitante di Monacizzo.
Munacedda – i s. f., dim. di mònica, bambina vestita da monaca per grazia ricevuta. Indica anche la castagnola, piccolo pesce di colore marrone. V. nfocajatti.
Munacieddu – i s. m., ragazzo vestito da monaco per grazia ricevuta.
Munacieddu soprannome della famiglia Baldari.
Munacizzu n. pr. di città, Monacizzo.
Munètula – i dal volg. boletula s. f., fungo commestibile della famiglia dei Boletus. Da noi se ne distinguono due tipi: la munètula firregna, ovvero porcino malefico che cresce nella macchia mediterranea, e la munètula ti oscu, o pinarello, che cresce appunto nei boschi e sotto i pini.
Mottetto: Si’ ffacci ti munètula firregna, si’ tanta brutta e ue’ tti faci magna. Hai la faccia tosta, sei brutta, eppure pretendi di apparire bella.
Munnari – munnai – munnatu v. tr., mondare della vegetazione sovrabbondante, di alberi come gli ulivi, ecc. V. putari.
Munnatori – munnaturi s. m., operaio specializzato nel mondare gli ulivi.
Munnezza – i dal volg. immunditia s. f., immondizia.
Munnu s. m., mondo: a llu munnu ti osci, stando a come vanno oggi le cose. Indica anche il bombile senza le anse.
Munnu nuèu, denominazione di una contrada, nota fin dal 1543, quando faceva parte del feudo di Bagnolo. V. inchjturu, mmili. Detto: Donca ai, lu munnu è paisi. Dovunque vai, troverai problemi e difetti. Nota. A proposito di muloni va osservato che in passato il termine era molto generico ed indicava anche l’anguria, oltre al melone, meglio identificato come muloni ti pani. In particolare, quello che chiamiamo muloni sarginiscu si riferiva al tipo di anguria tondeggiante e molto scura, oggi quasi del tutto soppiantata dall’anguria brindisina, di forma ovale con striature verdi.
L’espressione muloni pi ttiniri era riferita ai meloni gialli, che si potevano conservare per alcuni mesi, fino a dicembre-gennaio, per consumarli nel corso del tempo e fino alle feste natalizie.
Rispondo alle richieste di chiarimento fatte dal sig. Cosimo Massafra che si chiede se si dice mueddu o mmueddu, mili o mmili, basciu o bbasciu.
Siccome il dialetto è una lingua orale e solo raramente scritta, manca di regole precise che, personalmente, ho cercato di definire nel mio Vocabolario del dialetto manduriano, dove ero costretto ad affrontare il problema della trascrizione fonetica.
A motivo del fatto che il dialetto è soprattutto lingua parlata, è soggetto sia alle variazioni introdotte dai parlanti, sia alle variazioni di tipo eufonico richieste dal contesto in cui la parola è utilizzata: per es., si dice ašciu ( con l’accento particolare sulla s per indicare che il suono non è fricativo debole, ma sibilante ), ma diventa a bbašciu, con introduzione della b iniziale, che evita il cattivo suono che si avrebbe se dicessimo a ašciu. Siccome la b si sente molto forte, si preferisce scrivere a bbašciu, ma non sarebbe errato scrivere a bašciu.
Diverso è l’esempio di mmili, che raddoppia la m in ogni caso, ossia non solo quando è preceduto da preposizione, ma anche come parola a sé stante o preceduta dall’articolo. Lo stesso dicasi per le parole nnicari, nnittari, nnizzu, rruina, ssùja, zziccari, zzappa, zzueppu, ecc. Questa volta potremmo sì scrivere mili, ma nella certezza che chi legge conosca il dialetto, altrimenti lo pronuncerebbe in maniera scorretta, tenuto conto che per le nuove generazioni spesso il dialetto non è più la lingua materna, cioè quella appresa dalla nascita.
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