Murtirizzatu -a agg., pl. inv. murtirizzati, abbandonato, non messo a frutto: lu teni ddà murtirizzatu, ce l’ha abbandonato senza farlo fruttare.
Murtòriu s.m., mortorio: a murtòriu, era il suono delle campane, lento e prolungato che annunciava la morte di un confratello. Le campane venivano suonate un minuto ogni ora finché la bara non giungeva in chiesa.
Musali s. m., inv. al pl., museruola.
Muscajoni – muscajuni s. m., grossa mosca, moscone.
Muscaredda – i s. f., moscerino: m’è šciuta na muscaredda nta lu uècchj, m’è andato un moscerino nell’occhio. Indica anche il luì, piccolo uccello comune nel nostro territorio.
Mùšcia – mušci s. f., gatta. V. jatta.
Mušciaredda – i s. f., dim. di mùšcia, gattina.
Mušciarieddu – i s. m., dim. di mùšciu, gattino. Indica anche il piumino, pianta dalle foglie pelose.
Mùsciri – muscìi – musciutu v. intr., mugugnare. V. rùsciri.
Mùšciu – mušci s. m., gatto.V. jattu. Mùšciu, soprannome della famiglia Buccolieri.
Muscriddoni s. m., uva moscata. V. ua.
Musculècchja – musculècchj s. f., baccello minuscolo di fava: si ètunu li primi musculècchj, si vedono già i primi piccoli baccelli.
Musìcchju – musicchj s. m., dim. di musu, labbra piccoline.
Muškera – i s. f., sorta di cuscino, spesso costituito da un semplice sacco arrotolato, messo a tracolla per attutire l’attrito di grossi pesi portati a spalla, come li tineddi ( v. ) usate per il trasporto dell’uva. V. mušku.
Muškisciari – muškisciai – muškisciatu v. intr., mostrare indisponibilità a fare qualcosa, con un complesso gestuale che interessa le spalle e le labbra. V. mušku.
Mušku – mòškuri dal gr. mascale = ascella, s. m., spalla: mi šta ddoli lu mušku, mi fa male la spalla.
Mussusu – mussosa agg., pl. mussusi – mussosi , smorfioso, lezioso. V. mossa 2.
Muštarda s. f., marmellata ricavata dall’uva, cotta con la buccia e i semi.
Muštazzu -i dal gr. miustàkion, s. m., baffetto.
Muštazzuelu – i s. m., mostacciolo.
Muštìmutru – muštìmitri s. m., mostimetro, apparecchio usato per misurare i gradi zuccherini del mosto.
Nota. Il termine muškera richiama subito alla mente la raccolta e il trasporto delle uve che avvenivano dalla fine di agosto a tutto settembre. La muškera si indossava soprattutto in questa circostanza, giacché l’impianto del vigneto e la scarsa meccanizzazione delle operazioni, fino a quarant’anni fa richiedevano per la vendemmia, non solo l’assunzione delle donne che dovevano vendemmiare, ma anche di un robusto operaio che, attraversando i filari, doveva trasportare a spalla le bigonce colme di uva, del peso di circa cinquanta chili, fino al traino o al camion, che poi andava a scaricare al palmento o alla cantina sociale. Il notevole peso da trasportare rendeva necessario l’uso di questa sorta di cuscino per attutirne l’attrito.
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