Palumintaru – i s. m., operaio addetto alla lavorazione delle uve nel palmento.
Palummaru – i s. m., colombaia.
Palummaru, denominazione della contrada situata sul versante destro della strada Tarantina, dopo l’incrocio per Borraco verso Maruggio.
Palummedda – i s. f., v. lo sp. paloma, farfalla notturna. Nella letteratura inf. è colei che riferisce agli adulti le birbonate dei piccoli: mi l’è ddittu la palummedda, me lo ha riferito la farfallina.
Palummieddu – i s. m., dim. di palummu, piccolo colombo. La sua carne si usava per fare il bollito a persone malate o debilitate. Palummieddi palummieddi è il titolo della poesia finale della commedia di L. Lacaita, La tarantata.
Palummientu – i s. m., palmento, luogo per la lavorazione artigianale delle uve, diffusissimo fino a tutti gli anni ’50 del Novecento.
Palumminu – a agg., pl. inv. palummini, grassottello come un colombo: fùnciu palumminu, è il fungo commestibile corrispondente al rhodopaxillus nudus. V. fùnciu.
Palummu – i s. m., colombo: quantu nu uèu ti palummu ( grosso ) quanto un uovo di colombo. V. palomma.
Palummu, soprannome della famiglia Dimitri.
Pàmpana – i s. f., pampino della vite o del fico: ‘ma šci llià’ li pàmpini, dobbiamo sfrondare la vigna.
Pampanella – i s. f., ricottina avvolta in un pampino di vite; si preparava nel mese di giugno e venduta per le vie del paese al grido di : pampanelli, pampanelli freschi.
Panàcchja – panacchj s. f., bernoccolo: no tteni na lira cu ssi carca na panàcchja, è povero in canna.
Panàcchja, soprannome della famiglia Dinoi.
Panaredda – i s. f., dim. di panaru, cestino in cui i bambini di scuola materna portavano la merenda.
Panarieddu – i s. m., dim. di panaru, panierino.
Panarizzu – i s. m., dal gr. paroniuchia, patereccio, giradito; sin. di miriàcula.
Panaru – i s. m., paniere fatto di canne intrecciate su una intelaiatura di ènchjùri: pèrdiri Fulippu e panaru, perdere capra e cavoli. V. capitali.
Panàticu s. m., provviste alimentari che il massaro forniva periodicamente al dipendente ( cumminanzieri ) insieme allo stipendio.
Panelli s. m. pl., sculacciate; v. pani.
Panettu – i s. m., pezzo di pane impastato nelle forme tradizionali: cce ni ‘ma fattu ncuna fiata lu panettu? ( cos’è tutta questa confidenza ) ci siamo forse scambiato qualche volta il pane?
Nota. Una esplicitazione particolare merita la parola panàticu per sottolineare il pagamento o la scambio in natura per una certa prestazione, che rappresenta la modalità più antica di compenso e che da noi è stata usata fino alla metà del XX sec. Fino ad allora si usava comprare il pesce direttamente dai pescatori e compensarli con vino o friselle, oppure prestare la propria opera nelle operazioni periodiche di lavanderia ( còfunu ), per ottenere in compenso, alla fine della giornata, qualche fascina di sarmenti per alimentare il fuoco.
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L'articolo Palumintaru – panettu è stato pubblicato originalmente su La Voce di Manduria.