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Channel: Il manduriano – La Voce di Manduria
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Pèrdiri – pèttula

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Pietro Brunetti VocabolarioPèrdiri – pirdìi – pirdutu/persu v. tr., perdere: s’acchja llu puerti cu llu buenu ci no lu pierdi ti nta lli mani, bisogna che lo prenda con le buone maniere se non vuoi che si irriti e perda il controllo.

Perza s. f., fretta: làssimi sciri ca ou ti perza, lasciami andare perché ho fretta. V. ntrappatura.

Pešci – pišci s. m., pesce: si feci pešci pešci, si mise nudo come un pesce.

Pèsciu dal lat. pejor, avv., peggio: pèsciu pi ttei, peggio per te.

Pèsuli  dal lat. pensilis-e, agg. inv., leggero, che resta in superficie: štai pèsuli pèsuli, non affonda ( le radici ), è superficiale. Usato come avv., di peso: lu zzicòu pèsuli, lo prese di peso.

Peti – pieti  dal lat. pes-pedis, s. m., piede: l’onnu assuti li pieti, si diceva dei neonati che, dopo essere stati fasciati per alcuni mesi, venivano liberati dalle fasce e quindi era possibile vederne i piedi; m’è ddurmišciutu lu peti, mi si è addormentato il piede; cce ssi pija peti? Si tocca il fondo ( del mare, di una piscina ) stando in piedi? L’onnu pijati li pieti, hanno studiato le sue mosse ( prima di circuirlo, derubarlo ); ci mi bba scappa lu peti a mmei …, se vengo a morire io …; peti peti, a piedi; a lla mpeti, a piedi ( per aver perso la possibilità di utilizzare un mezzo di trasporto; a mpieti, parte del letto dove vanno i piedi ( opposto a ncapitali ); peti catapeti, passo passo, un piede dopo l’altro; peti ti puercu, spranga che funge da leva; peti ti caštarieddu, tipo di erba; peti a bilancieri, in muratura, pezzo che collegava e sosteneva due archi. V. acanti, manu, puercu.

Pieti pieti, soprannome della famiglia Massafra.

Filastrocca inf.: Dèsciti peti / ca l’ànciulu ti šta bbeti; / l’ànciuli è rriatu, / lu peti mia s’è ddiscitatu. Svegliati piede / perché l’angelo ti vede; / l’angelo è arrivato, / il mio piede si è svegliato ( si recitava quando si accusava torpore al piede ).

Petilàmmia s.m., punto di slancio della volta di una stanza. V. parmàticu.

Petra – i dal gr. petra, s. f., pietra: petra tigna, petra ia, selce; petra mola, pietra arenaria utilizzata per affilare le lame.

Detti: Ogni petra oza pareti. Ogni piccolo contributo serve a costruire una grande opera.

          Nudda petra rimani a butari. Per ognuno arriva il proprio turno.

          La petra cu llu uèu no po’ tuzzari. Non è possibile mettere a confronto due cose completamente diverse.

Pèttini s. m., pettine molto stretto, generalmente usato per pulire i capelli dai pidocchi. V. pittinessa. Indica anche il pezzo del telaio attraverso i cui denti passano i fili che vanno a formare la trama.

Pèttini ti meli, favo di miele; in senso fig., persona molto buona e disponibile.

Pèttula – i s. f., frittella, fatta di pasta lievitata, messa a friggere in boli poco più grossi di una noce. Per tradizione li pèttuli si usano la mattina della vigilia dell’Immacolata e della vigilia di Natale: ca cce so’ pèttuli! Non sono mica pettole ( che si possono fare in quattro e quattr’otto ). V. Mmaculata.

Nota.  Il detto ogni petra oza pareti è certamente un condensato di saggezza del popolo manduriano, che racchiude una filosofia ed una visione del mondo estremamente pratica, concreta ed efficiente.

Esso sostanzialmente dà importanza alle piccole cose, che sono il fondamento delle grandi cose, proprio come una goccia d’acqua del mare è importante, perché senza di essa non esisterebbero gli oceani. Nel caso specifico della costruzione di un edificio o dello sviluppo di un grande progetto, significa che curare i particolari, dalla semplice pietra che deve essere ben stabile, alle fondamenta e poi all’innalzamento dei muri, ecc., è garanzia di riuscita certa, anche se l’operazione prende molto tempo.

Il proverbio calza più che mai ai tempi d’oggi, in cui molti, per motivi di facile arricchimento, tendono a bruciare le tappe per ottenere tutto e subito, puntando più che sulla qualità del lavoro, alla realizzazione più immediata possibile: le conseguenze sono l’inevitabile crollo dell’opera e le ripercussioni negative sulla società.

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Pezza – picci

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Pezza – i s. f., pezzo di stoffa: pezzi ècchj, stracci; è cchjata la pezza a cculori, ha trovato la giustificazione adatta; pezz’e capiddi, era il grido con cui certi ambulanti acquistavano le pezze vecchie e i capelli.

La pezza indica anche la forma di formaggio: na pezza ti casu, una forma di cacio.

Pezza è ancora la corteccia di un ramo usata per l’innesto: aciu minata na pezza, ho fatto un innesto a corteccia.

Indica anche una distesa incolta ed erbosa, contrapposta a màcchja, dove invece crescono gli arbusti: funci ti pezza, funghi di prato. V. carduncieddu.

Da notare che in passato i terreni coltivati a vigna venivano misurati a pezze. Nel ‘700 una pezza equivaleva a 5,67 are; quattro pezze formavano un orto.

Pezzi, antico rione di Manduria nei pressi della cappella dell’Assunta, così chiamato dalla presenza della famiglia delle Pezze, di origine greca, venuta in Casalnuovo nel XV sec.: mmeru a lli Pezzi, indicava il luogo che insisteva nei pressi della Madonna dell’Assunta, detta anche Madonna delle Pezze. Nello stesso rione, ancora nel 1879, esisteva via Pezze, corrispondente all’attuale via Fra’ Pietro Rasea.

Pezzi pezzi, soprannome della famiglia Stano.

Pezza ti li lupini, denominazione della contrada situata sul versante sinistro della prov. per Maruggio.

Pi prep., per: pi ttei, quattr’a mmei, per te, quattro a me.

Piaca – piachi s. f., piaga.

Piacessi loc., prego; si usa per invitare qualcuno a condividere ciò che si sta mangiando o bevendo.

Piaciri s. f., inv. al pl., piacere, favore, cortesia.

Pianeta – i s. f., pianeta. Usato soprattutto al sing. nell’espressione è di pianeta: osci è šciurnata ti pianeta, per dire che è segnata dal fato, quasi che una particolare influenza planetaria determini un andamento negativo dei fatti umani.

Piattera – i s. f., scolapiatti.

Piatticieddu – i s. m., dim. di piattu, piccolo piatto: s’onnu fattu sempri lu piatticieddu, si sono sempre scambiati i favori.

Piattu – i s. m., piatto: piattu cranni, il piatto grande; serviva tutta la famiglia, in quanto tutti i membri vi attingevano direttamente ognuno dalla propria parte; piattu minzanu, piatto medio; piattu spasu, piatto piano; piattu ti Crištu, vaso usato ad ornamento del Santo Sepolcro e ricavato dalla semina di chicchi di grano o di orzo, fatti crescere in un ambiente buio e perciò privi di clorofilla.

Piazzetta – i s. f., strumento in acciaio usato dal calzolaio per lucidare il bordo delle suole.

Picca avv., poco: spetta nu picca, aspetta un poco; a ppicca a ppicca, un poco la volta; picca e sempri, è meglio disporre di qualcosa in piccole quantità ma in continuazione, anziché in abbondanza e per tempi limitati; picca eti! Poteva capitarti di peggio! Picca picca, soprannome della famiglia Olivieri. Detto: Ti lu picca ni rimani, ti lu motu nci ni oli. Chi si accontenta gli avanza anche del poco che ha; chi troppo vuole è sempre insoddisfatto.

Picci s. m., inv. al pl., uccello: usato nel linguaggio inf.

Nota. Con riferimento alla parola piattu dobbiamo ricordare che Manduria annovera una secolare cultura della ceramica che risale al tempo dei Messapi, come dimostrano le caratteristiche trozzelle.

Nel XVI sec. l’arte del vasaio era un lustro della città, tanto che presso il museo ‘S. Castromediano’ di Lecce, che ognuno può visitare, si conservano ancora delle splendide maioliche.

In quel periodo verso la via di Oria è attestata via delli Cameni ( 1575 ) che, come dice la stessa parola, indica la presenza di fornaci per la cottura della ceramica. Un’altra fornace è attestata nel 1690 tra la chiesa di S. Lucia e S. Benedetto: un’altra ancora esisteva nel 1738 nei pressi del monastero delle Servite; l’ultima, più recente è esistita su via Bell’Acqua. Tanto dimostra che è stata un’attività presente per secoli, poi dimenticata insieme alla storia della città, facendo così venire meno un filone importante della economia.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Picciddatu – picurinu

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Picciddatu – i dal volg. buccellatu, s. m., pezzo di pane più grande del normale, generalmente del peso di circa due chili: picciddatu a mprieštu, favore che prima o poi va ricambiato. V. pani.

Piccinnezza s. f., fanciullezza: ti piccinnezza è štatu sempri uaštasi, sin da bambino è stato sempre un briccone.

Piccinnu – a s., pl. inv. piccinni, bambino; come agg., pl. inv. piccinni, piccolo.

Piccinnuddu – piccinnodda agg., pl. piccinnuddi – piccinnoddi, dim. di piccinnu, piccolino; usato anche in forma sost.: cuddu piccinnuddu! Che bel bambino!

Piccioni – picciuni dal volg. pipione, s. m., organo sessuale della donna.

Piccipagnu dall’ingl. pitch pine, s. m., tipo di pino dal legno resinoso usato in falegnameria.

Pìcciu – picci s. m., capriccio: porta picci pi lla capu! Ha pretese per la testa!

Pìcciulu – i s. m., moneta, soldi. Propriamente lu pìcciulu era la moneta di rame corrente nel regno di Sicilia nel sec. XV ed equivaleva a due cavalli del regno di Napoli: màncunu li pìcciuli, non ci sono soldi.

Picciunara s. f., gruppo di bambini e, per estensione, di gente che conta poco: citti ui ti la picciunara, silenzio voi della piccionaia; cce šta ffaci? – la prima picciunara, che classe frequenta? – la prima elementare.

Picciusu – picciosa dal volg. pipiante, agg., pl. picciusi – picciosi, capriccioso, petulante e piagnucoloso.

Pichisciari – pichisciai – pichisciatu v. tr., picchiettare, intaccare leggermente, di muro, intonaco, mattone: pichèsciulu nu picca, intaccalo un po’.

Pici-pici s. inv., ciarlatore, chi parla in continuazione.

Picu – pichi s. m., piccone. V. anche zzueccu.

Picuezzu – i s. m., v. piricuèzzulu.

Picuraru – i s. m., pastore: faci lu picuraru a lla massaria, fa il pastore alla masseria; in senso fig., ignorantaccio.

Picurašciulu – i s. m., aiutante pastore, compito generalmente assegnato a giovane apprendista pastore.

Picuredda – i s. f., pecorella; fatti a picuredda, mettiti a pecorella.

Picurieddu – i s. m., agnellino.

Picurinu – a agg., pl. Inv. picurini, pecorino: furmàggiu picurinu, formaggio pecorino; rumatu picurinu, letame di pecora. Usato come avv. nell’espressione a lla picurina, indica un modo di accoppiarsi nell’atto sessuale.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Piddaru – pignatedda

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Piddaru – i s. m., commerciante in pelli. V. cunzaru, peddi.

Piddècchja – piddecchj dal volg. pellicula s. f., pelle ( di animali ), pellicola, buccia ( per es. di patate lesse ).

Piddicaštru – i s. m., pane guarnito di mandorle che in tal modo diventava una sorta di dolce rustico. V. puddica.

Piddicaštru, soprannome della famiglia Mariggiò.

Piddiscina – i s. f., v. fiddiscina.

Piddizzoni – piddizzuni s. m., tipo di indumento fatto di pelle di pecora.

Piddoscina – i s. f., muffa.

Pieconi s. m., orlo del vestito piegato dalla parte interna.

Pièpitu – pèpita pl. pièpiti – pèpiti, agg., tiepido.

Piernu – i s. m., perno.

Pièrsicu – pièrsichi s. m., albero e frutto del persico o melo persiano.

Piersu – piersi s. m., pezzo di legno a forma di parallelepipedo usato per mettere sotto pressione la furata.

Piettu – i s. m., petto: no jè piettu pi mmei, non è cosa che posso fare io; štrittu ti piettu, parsimonioso, quasi spilorcio; cuddu fondu štai a mpiettu a mmei, quel fondo è intestato a me, è di mia proprietà; ci aggiu tata na parola so’ piettu cu la mantegnu, se ho dato una parola son ben capace di mantenerla ( da Lu massaru Cricòriu rusci rusci, di M. Greco, atto I, sc. XI ).

Pietturussu – piettirussi s. m., pettirosso. Pietturussu, soprannome della famiglia Sammarco.

Piezzu – piezzi s. m., pezzo: jè nu piezzu ti giòini! E’ un gran pezzo di ragazzo! Indica anche un’opera musicale ascoltata in piazza durante la festa del paese: sintìmini št’otru piezzu ca puei ni ni sciamu, ascoltiamo quest’altra opera e poi andiamo via.

Pigna – i s. f., albero e frutto del pino. Pigna, contrada del territorio di Manduria situata sul versante destro della s. s. per Lecce; potrebbe derivare dal nome di una famiglia spagnola immigrata in Casalnuovo, come si evince dal Librone Magno.

Pignata – i s. f., pignatta di terracotta, molto usata in passato per cuocervi i legumi a fuoco lento: pi ccrai aciu mesa na pignata ti fai, per domani ho preparato ( ed ho messo a mollo ) una pignatta di fave; škuppari la pignata, festeggiare la pentolaccia. Detto: Li uài ti la pignata li sapi la cucchjara. Ognuno sa i guai di casa sua.

Pignatedda – i s. f., dim. di pignata, piccola pignatta. Indica anche la misura locale per l’olio, pari a 1/ 16 di cannata, corrispondente a l. 0,625. V. štaru.

Nota. Lu škuppari ti la pignata avveniva la domenica successiva all’ultimo giorno di carnevale ed è l’esempio di come in tempi di ristrettezze ci si divertiva con poco. Il gioco consisteva nell’abilità di rompere  la pignatta con un bastone, stando bendati, mentre qualcuno la rotolava o la faceva dondolare dall’alto. Solitamente le pignatte erano due: la prima poteva contenere bottoni, sterco di capra o qualche topolino che, liberato, metteva in subbuglio tutti gli astanti; la seconda poteva contenere fichi accoppiati, confetti o caramelle.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Pignoni – pilusu

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Pignoni – pignuni s. m., bica, sistemazione dei covoni di grano sull’aia in un ammasso a forma di cono. V. meta, mpignunari.

Pignu – pégnuri s. m., pegno: cinca sbaja lassa lu pignu, chi sbaglia paga il pegno.

Pijari – pijai –  pijatu v. tr., prendere: l’onnu pijati li pošti, lo hanno appostato; ci si šta pija? Con chi si sta sposando? Ba pìjitila a nculu, vai a quel paese; pijari a ncapu, centrare, azzeccare.

Come v. intr., somigliare / avvenire / capitare: jé pijatu ti màmmisa, somiglia a sua madre; puei pija e ddici, poi si pretende d’aver ragione; pija e …, intercalare molto corrente, specie in narrativa, per ‘avvenne che’ … ; ddo pija pija, dovunque capita; ddonca é pijatu, ( riferito soprattutto al maltempo) , dove c’è stato maltempo.

Pijata – i s. f., presa, atto del pigliare: é štata na pijata pi cculu, è stata una presa in giro.

Pila – i s. f., sorta di vasca rettangolare in pietra in cui si lavava il bucato. Al sing., moneta, denaro: ci no nc’é la pila … , se non c’é denaro. Ha anche il significato di pila elettrica.

Pilàcciu – pilacci s. m., filaccia.

Pilatta s. f., insieme delle radici sottilissime dell’apparato radicale di una pianta.

Pilèa – i s. f., capriccio, puntiglio: no zziccà’ na pilea, non cominciare una discussione inutile.

Pilieddu s.m., pelo caprino, erbaccia infestante simile alla gramigna.

Pilisciari – pilisciòu – pilisciatu v. intr. imp., piovigginare: šta piléscia, pioviggina.

Pillai inter., perdinci, perbacco: pillai, ca pircé no ssi trasutu! Perbacco, perché non sei entrato! V. pillàrmiti. Pillai, soprannome della famiglia Dimitri.

Pillarmiti inter., per l’anima di … V. Pillai.

Pilu s.m., pelo. Al pl., particolari: mi cuntòu tutti li pili ti casa, mi raccontò tutti i particolari ( anche i più insignificanti ) della sua famiglia.

Pilu ti menna, mastite. V. cani, caninu, llišciari.

Detto: tira cchjui lu pilu ti lu nsartu. E’ più influente il legame per il coniuge che quello apparentemente più forte dei genitori e, in senso più ampio, ha più potere l’attrazione sessuale di qualsiasi altra cosa.

Pilurussu s. f. e m., lett. di pelo rosso, tipino ( che tende a stuzzicare gli altri ): bellu pilurussu ca sinti! Bel tipino che sei! V. malupinu.

Pilùšciu dal fr. peluche, s. m., panno di pelo morbido.

Piluštru n. pr. di pers., Vetusto. V. papa.

Pilusu s. m., caciotta impastata con i residui di lavorazione del formaggio. V. cazza, minura.

Pilusu – pilosa agg., pl. pilusi – pilosi, peloso: cozzi pilosi, tipo di mitili; si distinguono dai comuni mitili neri, sia per il colore marrone che per una sorta di peluria che ricopre le valve.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Pindìndulu – pìpitu

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Pindìndulu – i s. m., piccola escrescenza, piccolo battaglio.

Pinnieddu – i s. m., pennello.

Pinninu – i s. m., pennino per scrivere, oggi non più in uso per la diffusissima presenza delle penne biro; oltre ai pennini comuni vi erano quelli più distinti, a cavallottu e a campanaru.

Pìnnulu – i s. m., pillola.

Pintura s. f., pleurite. V. anche pruuliti.

Pinu – i s. m., pino: pinu marinu, tamerice.

Pinu, soprannome della famiglia Moscogiuri. V. pigna.

Pinzari – pinzai – pinzatu v. tr. pensare: šta pinzaa … , consideravo tra me e me; l’è pinzata ti buenu, ha pensato bene di …

Pinzata – i s. f., pensata, idea: è bbuta na bella pinzata! Ha avuto una buona idea ( per la risoluzione di un problema ).

Pinzieri s. m., inv. al pl., pensiero: lu pinzieri è lu mia, sarà mia preoccupazione; t’azzatu cu llu pinzieri! Ti sei levato di buon mattino!; cu llu pinzieri! ( lo hai fatto ) con l’immaginazione; aciu fattu pinzieri, ho cambiato idea; li fotti lu pinzieri! Si preoccupa e come! Štari cu llu pinzieri, essere in pensiero. V. pani.

Pinzu turdinu – pinzi turdini s. m., pispolone, uccello di passo nelle nostre zone, precorre l’arrivo delle tortore.

Piombu s. m., piombino dei muratori. E’ anche un termine usato nel gioco del tressette: significa non avere la carta del seme richiesto.

Piònica s. f., fame: porta na pionica! Ha una fame.

Pipì s. f., nel linguaggio inf., l’organo che serve per urinare. Indica anche l’urina: fari la pipì, urinare. Voce onom. con la quale si chiamano i pulcini: na pipì, pipì,pipì.

Pipinu – i s. m., peperoncino: cce sorta ti pipinu ca sinti! Sei un bell’impertinente!

Pipitàcchiu – pipitàcchj s. m., accr. di pìpitu, scorreggia. Pipitàcchju, soprannome della famiglia Dilorenzo.

Pipitìcchju – pipitìcchj s. m., dim. di pìpitu, piccolo peto.

Pipitieddu – pipitedda agg., pl. pipitieddi – pipiteddi, tiepido: llàiti nta lu uacili ca l’acqua štai pipitedda, lavati nella bacinella dove l’acqua è tiepida. V. pièpitu.

Pipitoni – pipituni s. m., accr. di pìpitu, grossa scorreggia.

Pìpitu – pèpiti dal volg. peditu, s. m., scorreggia: štai comu pìpitu ti mònucu, si lagna per ogni piccola cosa.

Nota. I più anziani ricorderanno che quando si andava alle scuole elementari negli anni ’40 del secolo scorso e per tutti gli anni ’50, l’unico modo per scrivere era costituito dall’asticciuola cui veniva innestato un pennino. Era un sistema complicato, in quanto bisognava inzupparlo continuamente nell’inchiostro e poi occorreva imprimere alla punta la giusta pressione; dopo aver scritto bisognava asciugare le parole con la ‘carta asciuga’, solitamente di colore rosa, per evitare che toccando lo scritto, si macchiasse. Erano operazioni che richiedevano movimenti molto controllati di una manualità fine, che da bambini non avevamo, per cui spesso era necessario far ricorso alla gomma da cancellare: questa comprendeva due parti, una di colore bianco per cancellare lo scritto a matita ed una di colore rosa scuro per cancellare lo scritto a penna.

In quegli anni l’unica scuola elementare di Manduria era l’Edificio scolastico di viale Mancini, ossia del viale della stazione ferroviaria, e nella memoria di molti sarà certamente rimasta impressa la figura ti lu Ronzu (Oronzo Di Leverano ), che accudiva a tutte le incombenze della scuola, compresa quella di passare ogni mattina per le aule e rifondere di inchiostro il calamaio inserito al centro del piano di lavoro di ogni banco biposto, dove sedevamo col compagno di banco, appunto.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Pippa – pirmisu

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Pippa – i s. f., pipa: acqua a lla pippa, non c’è niente da fare, non c’è disponibilità; fuma la pippa, fuma la pipa. V. Natali.

La pippa, soprannome della famiglia Greco.

Piràscinu – i s. m., pianta e frutto del pero selvatico, noto come pero mandorlino; il frutto è un po’ più grosso ti lu calapricu. V. calapricu, scuerpu.

Pircé avv. e cong., perché: sai pircé no nc’è bbinutu? Sai perché non è venuto?

Pirceni avv., forma rafforzativa di pircé: ulìa ssacciu pirceni no nci pozzu iniri, vorrei tanto sapere perché non posso venire. V. anche purceni.

Pìrchju – a agg., pl. inv. pirchj, spilorcio, tirchio.

Pirchjusu – pirchjosa agg., pl. pirchjusi – pirchjosi, lentigginoso.

Pircocu – pircochi s. m., albero e frutto del pesco: pircochi aprituri, qualità di pesche che facilmente si aprono a metà staccandosi dal nocciolo.

Ton pircocu, soprannome della famiglia De Fazio.

Pirdeni loc. avv., per questo: pirdeni no nc’ (i) a sciutu, per questo non sei andato. V. anche purdeni.

Pirdenza s. f., perdita. Detto: Do nc’é guštu no nc’é pirdenza. Se una cosa piace non c’è motivo per non farla.

Pirdìa escl., lett. per Dio, per Bacco! per Giove!

Pirdunanza – i s. f., indulgenza, perdonanza. La presenza in S. Pietro in Bevagna dei padri cassinesi di Aversa dal 1095, diede un tale impulso al culto di S. Pietro, che i pellegrinaggi in suo onore aumentarono al punto che fu necessario organizzarli in periodi stabiliti e precisamente per i primi tre giorni di aprile, i tre giorni precedenti l’Ascensione, il 28 e 29 giugno. Questi giorni erano e sono detti ancora oggi “ delle perdonanze “, perché è possibile lucrare l’indulgenza plenaria.

Pirdunari – pirdunai – pirdunatu v. tr., perdonare.

Piricuèzzulu – i s. m., laico che ha preso i voti entrando al servizio di una comunità ecclesiale. V. anche picuèzzu.

Pirlanti s. m. inv. al pl., brillante.

Pirlingòi s. m., cinciallegra.

Pirlingoni – pirlinguni s. m., persona che cresce più alta del normale: s’è fattu nu sorta ti pirlingoni, è cresciuto oltre misura ( in altezza ).

Pirmisu – i s. m., permesso, impegno. Filastrocca inf.: E rretu a quedda rota / nc’è n’ànciulu ca šta scioca; / jè lassatu lu pirmisu / quantu mueru a mparaìsu. Dietro quella ruota / c’è un angelo che gioca; / ha espresso il benestare / che quando muoio vada in paradiso.

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Pirnacocca – pišciari

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Detto: Tiempu ti scinnaru pirnacocchi. E’ fuori luogo pretendere di raccogliere albicocche a gennaio ( detto di questioni o cose fuori posto ).

Piròccula – i s. f., grossa mazza.

Pironi – piruni s. m., perno metallico sul quale ruota la trottola. V. curru.

Pironi, soprannome della famiglia Nigro.

Pirtosa – i s. f., asola del bottone.

Pirtusu – i s. m., buco, foro: lu pirtusu ti la chjai, il buco della serratura; no šta àcchju lu pirtusu, non trovo il buco.

Piru – peri s. m., albero e frutto del pero: piru reali, piru larieddu, piru mància e bbii, piru liccesi, tutte qualità di pero caratteristiche delle nostre zone; ti canoscu piru, so quanto pesi, quanto sei birbone; cussì no ni mintimu peri nta lu panaru, continuando così, risultati positivi non ne coglieremo mai; a ddo štamu? – sott’a ppiru, dove ci troviamo? – e chi lo sa.

Pisantezza s. f., pesantezza: tegnu na pisanrezza ti štòmucu, ho un peso allo stomaco. V. pisori, štiratura.

Pisara – i dal lat. pisatio = azione del battere, s. f., grossa pietra sagomata che, legata al cavallo tramite lu mangulu, veniva trascinata in cerchio sulle piante secche di legumi o graminacee, provocando la frantumazione delle bucce e la fuoruscita dei semi. V. pisari.

Pisaredda – i s. f., piccola piramide di terracotta, usata fin dall’epoca messapica, oggi reperto archeologico della nostra zona; veniva usata dalle tessitrici come peso ai bordi della tela ordita sul telaio.

Pisari – pisai – pisatu v. tr. e intr., pesare: sàcciu jù quantu pisa cuddu, so io quanto ( poco ) egli vale. Usato come v. tr., trebbiare, mondare granaglie e legumi dalla buccia che li contiene: mo ‘ma spicciatu ti métiri e di pisari, adesso abbiamo perso ogni possibilità di riuscita. V. pisara.

Pisata – i s. f., pesata.

Pisatura s. f., trebbiatura. V. pisara e pisari.

Pisaturu – i s. m., pestello: lu pisaturu ti lu murtali, il pestello del mortaio. V. pisara.

Pišciacchjaru – a agg., pl. inv. pišciacchjari, che piscia il letto. V. Santa Lucia.

Pišcialuru – i s. m., pescivendolo.

Pišciaòi s. f., tipo di erba. Come loc. avv. a pišciaòi: siminari a pišciaòi, lasciar cadere i semi in fila e a breve distanza uno dall’altro.

Pišciaredda – i s. f., il pene dei bimbi.

Pišciari – pisciai – pisciatu v. intr., pisciare: mo’ šta ppišci fori ti lu rinali, ora stai andando fuori dal seminato; uècchj pišciatu, occhio languido. Come v. tr. è usato nell’espressione lu šta pišcia la carta, vince ( alle carte ) in maniera spudorata. V. agnoni.

Nota. Sembrano passati secoli, eppure la pratica della pisatura era corrente fino a sessant’anni fa. Essa si svolgeva sull’aia, che solitamente insisteva appena fuori dall’abitato. Lì i contadini depositavano le piante di fave, ceci, piselli, fagioli appena spiantate, oppure la biada o il grano appena mietuti, per poi, una volta seccati, essere trebbiati. Pertanto le piante di legumi, solitamente in quantità modesta, venivano stese al sole, mentre i covoni di granaglie, in quantità più consistenti, venivano sistemati a pignoni o a meta. Prima che entrassero in funzione le macchine, il sistema di trebbiatura era quello antico e rudimentale della pisatura, ossia della battitura dei baccelli o delle spighe secchi per liberarne il contenuto. Le piccole quantità venivano battute a mano con un bastone; mentre per quantità più consistenti si ricorreva all’ausilio del cavallo che, trascinando la pisara sulle piante secche disposte a cerchio, le frantumava. A sua volta il cavallo correva tutt’intorno, guidato dal conduttore, che ruotava su se stesso al centro del cerchio.

L’operazione successiva consisteva nel sottrarre alla massa sbriciolata le bucce più grossolane. Infine i semi misti ad una buona dose di bucce polverizzate venivano intulati, ossia lasciati cadere da un crivello tenuto ad altezza d’uomo, affinché il vento facesse la sua parte: il risultato era che le bucce, spinte dal vento cadevano più in là, mentre i semi cadevano ai piedi dell’operatore.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Pišciaturu – pitata

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Pišciaturu s. m., urina: pišciaturu ti mònichi, erba maleodorante nota come ‘ farinello puzzolente’.

Pišciùšciula – i s. f., donna malvestita e priva di ogni qualità che richiami la femminilità.

Piscrài avv., dopodomani. V. crai.

Piscrammatina avv., dopodomani mattina.

Piscrassera avv. , dopodomani sera.

Piscriddi avv. , dopodomani l’altro.

Piscrindinu avv., il quarto giorno a cominciare da domani.

Piscrindoni avv., il quinto giorno a cominciare da domani.

Piscuèttu – i biscotto. Detto: Crištu tai li piscuetti a cci no lli ròsica. La Provvidenza fornisce le buone occasioni a chi non le sa cogliere.

Pisieddu – i s. m., pisello; al sing., denaro: pi ogni cosa nci oli lu pisieddu, per fare qualsiasi cosa ci vuole il denaro.

Pisori s. m., pesantezza ( spesso riferita al basso ventre ). V. pisantezza, štiratura.

Pištàcchju dal volg. osticulu, s. f., vulva.

Pištinaca – pištinachi s. f., pastinaca, carota arancione.

Pisu – i s. m., peso, anche col significato di tributo: e nui ni mu nanciari la capu ti cquani e di ddani cu putimu pajari tutti li pisi, e noi che dobbiamo darci tanto da fare per pagare le tasse ( da La tarantata, di L. Lacaita, atto I, sc. I ).

Pisuddari – pisuddai – pisuddatu v. tr., dare botte: ci ccappi ti pisuddu, se mi vieni a tiro te le dò.

Pisulu – i s. m., piccolo peso / sezione di tronco d’albero usata come sedile. V. tùtulu.

Pitali s. m., inv. al pl., pedale: taliri sobbr’a lli pitali, pedalare con energia, con forza.

Pitalora – i s. f., pollone che rispunta in forma selvatica dopo che la vite è stata divelta.

Pitaluru – i s. m., lungo pezzo di stoffa che serviva a stringere bene il bambino quando lo si fasciava.

Pitamientu – i s. m., usato specialmente al pl., fondazione; pijari li pitamienti, fare le fondamenta.

Pitasi agg. inv., allocco, stupido.

Pitata – i s. f., orma, segno lasciato dalla forma del piede o della scarpa.

Pietro Brunetti Vocabolario

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Piterta – pittinècchja

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Piterta s. f., denominazione della contrada di Manduria situata sul versante sinistro della strada Manduria-Avetrana. In passato veniva chiamata Petrerta, forse da ‘pietra erta’ = terreno ripido, in salita.

Piticagna – i s. f., radice che rimane nel terreno dopo averne sradicato la pianta.

Piticinu – piticènuri s. m., picciuolo di mela, pera, ecc.
Ton Piticinu, soprannome di Alberico Parente, vissuto tra la fine dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900; era il capo del partito ti li Spuntuni.
Piticinu, soprannome della famiglia Mazza.

Pitimìa s. f., epidemia.

Pitingoni – pitinguni s. m., ramo robusto di un albero: nchjana sobbr’a cuddu pitingoni, sali su quel ramo.

Pitištèa s. f., manico della forca ( v. ).

Pitita – i piccola escoriazione della pelle in prossimità dell’unghia, irritante e fastidiosa.

Pitizzulu – i s. m., dim. di peti, piedino. V. uecchjzzulu.

Pitrara – i s. f., pietraia: l’ua štai a pitrara, gli acini d’uva sono così folti ed i grappoli numerosi, da dare l’impressione che ogni ceppo sia una pietraia.

Pitrodda – i s. f., dim. di petra, piccola pietra.

Pitròju s. m., petrolio.

Pitruddu – i s. m., sassolino, pietruzza: m’è šciutu nu pitruddu nta lla scarpa, mi si è infilato un sassolino nella scarpa.

Pitrujaru – i s. m., venditore ambulante di petrolio. Pitrujaru soprannome della famiglia Carrozzo.

Pitta – i s. f., macchia: pitti pitti, di diversi colori.

Pittali s. m., inv. al pl., grembiule da cucina.

Pittari – pittai – pittatu v. tr., dipingere, colorare, verniciare, anche in senso fig.: mo lu pittu jù bellu bellu, gliene dico io quattro.

Pittècula – i s. f., pettegola. Riportiamo la spiegazione etimologica del Gigante, che lo dà come termine di derivazione veneta, da ‘petegolo’, ossia piccolo peto, come a voler significare una sgradevole incontinenza verbale; da ciò, donna che sparla di tutto e di tutti.

Pittìja – i s. f., treccia di fichi secchi di varia forma ( diG ).

Pittinècchja – pittinècchj s. f., vescia, fungo bianco, mangereccio, caratteristico delle nostre campagne.

 

Nota. Lu pitrujaru, ossia il venditore di petrolio, era una attività esercitata da un uomo, che girava in bici per le vie del paese vendendo il petrolio necessario all’accensione del lume a petrolio. Siamo negli anni immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, quando non sempre si disponeva della energia elettrica. Ancora alcuni anni dopo era diffuso lu tubbu, un lume a petrolio semplice e pratico che, insieme alle candele assicurava l’illuminazione nei casi, abbastanza frequenti, in cui veniva a mancare la luce.
L’illuminazione a petrolio era stato il sistema in uso prima della diffusione dell’energia elettrica, anche per illuminare le strade. Per es., l’attuale via Tripoli, di fronte S. Maria, era chiamata anche strada Quattro lampade, in quanto all’incrocio con via dei Mille erano sistemati quattro lumi a petrolio. In tutta la città, nel 1884, si contavano 91 fanali, di cui 5 in Uggiano Montefusco.

 

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Pittinessa – pizzarieddu

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Pittinessa – i s. f., pettine. Indica anche il pesce pettine.

Pittinisciari – pittinisciài – pittinisciatu v. tr. e rifl., accarezzare ( con la mente ) / piangere in maniera sofferta: … puru iddu si la šta pittinescia …, anche lui l’adora ( da La tarantata di L. Lacaita, atto II, sc. II ); si šta pittinèscia ti chjantu, non fa che piangere.

Pittinu – i s. m., bavaglino. V. bavetta.

Pittirrali s. m., inv. al pl., finimento che consentiva al cavallo di tirare col petto. V. šciarabbài.

Pittirrina – i dal volg. pectorina, s. f., specie di sacca improvvisata che si otteneva fermando la maglietta alla cintura dei pantaloni; i ragazzi vi deponevano noci e mandorle.

Pittori s. m., pittore. Nel 1756 l’ultimo tratto di via Lupo Donato Bruno era chiamato strada delli Pittori per la presenza dell’abitazione dei pittori Bianchi.

Pittori, denominazione della contrada sita sulla strada vecchia per Erchie.

Pitùcchju – pitucchj s. m., pidocchio: cciti pitucchj, pollice. Il termine indica anche i gettoni superflui della vite. V. manciacani, spitucchjari.

Filastrocca inf.: Lu piripirieddu, / lu fiori t’anieddu, / lu cchjù granni ti tutti, / lu llecca piatti / e lu cciti pitucchj, / cciti pitucchj, / cciti pitucchj! Il mignolino, / il fiore d’anello, / il più grande di tutti, / il dito con cui si pulisce il piatto / e quello che ammazza i pidocchi, / uccide i pidocchi, / uccide i pidocchi. Era evidentemente un giochino con cui l’adulto accarezzava le dita della mano del bambino; nel ripetere l’ultimo verso poi, racchiudeva la manina del piccino tra le sue mani.

Pitucchjusu – pitucchjosa agg., pl. pitucchjusi – pitucchjosi, pidocchioso, spilorcio.

Pitulinu – i s. m., calzino maschile.

Pitulu – i s. m., parte della calza che tiene le dita del piede e che generalmente è rinforzata.

Piu voce onom., è usata per chiamare i pulcini: na piu, piu, piu.

Come loc. avv. è adoperata nell’espressione piu piu, lentamente, piano piano: šta cchjoi piu piu,

pioviggina; piu piu s’è bbuzzarata gnincòsia, piano piano ha mangiato tutto quello che c’era. V. pilisciari.

N. pr. di pers., Pio.

Piulanti agg. inv., petulante. V. anche piulusu.

Piulari – piulai – piulatu v. intr., essere petulante.

Piulusu – piulosa agg., pl. piulusi – piulosi, petulante. V. anche piulanti.

Piùnu – i s. m., quanto può essere contenuto in una mano chiusa a pugno: tammi nu piùnu ti sali, dammi una manciata di sale.

Pizza dal volg. apicia, s. f., organo sessuale maschile. Pizza marina, oloturia, dalla pelle irritante; è molto diffusa nel nostro mare: pijari li pinzi marini, prendere freddo.

Pizzarieddu – i s. m., tipo di pasta alimentare fatta in casa, consistente in pezzetti della lunghezza di un dito, ma più sottili e resi cavi dalla pressione ti lu frizzulu. V. pašta.

Al pl., inter.: pizzarieddi! Caspita!

Pizzarieddu, soprannome della famiglia Dimitri.

Nota. La pittirrina era dunque una sorta di sacca ricavata sul petto dalla camicia o dalla canottiera strette alla vita da un elastico o da una cintura. In essa si riponevano noci e mandorle, con cui i ragazzi, per strada, giocavano a llu monti. Questo consisteva in un monticello di tufo alto circa 4 cm, sul quale venivano sistemate in perfetta riga mandorle o noci che costituivano la posta in gioco. I giocatori, a turno, dal più lontano al più vicino al monte cercavano di colpirle con una pallina. I giocatori entravano in possesso delle mandorle o noci che riuscivano a far cadere dal monte.

Pietro Brunetti

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Pizzenti – pizzicogna

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Pizzenti agg. m. e f., pl. inv. pizzienti, usato anche in forma sostantivata, pezzente: fari pizzenti, nel gioco della štoppa significa non avere nessuna figura tra le dieci carte tenute in mano; il che implica la riscossione di un premio a carico degli altri giocatori.

Pizzenti, soprannome della famiglia Cavallo.

Pizzettu – i s. m., dim. di pizzu, pizzetto, di barba. Anche dim. di piezzu, pezzo, pezzetto / provino presentato agli spettatori del cinema come saggio e anticipazione del film di prossima programmazione. Pizzettu era anche il pezzo di carne in umido che si consumava a lla cantina, accompagnato da un bicchiere di vino.

Pizzettu, soprannome della famiglia Andrisano.

Pìzzica-pìzzica s. f., ballo popolare molto vivace. V. ballari, taranta.

Indica anche il gioco infantile in cui ogni concorrente, prima con una mano e nel secondo turno con l’altra, costruisce una sorta di torre pizzicando e tenendosi al dorso della mano sottostante; alla fine si canta insieme pìzzica pìzzica sant’Antoniu, finché non si disfa la torre.

Pizzicalora s. f., pinze.

Pizzicaluru – pizzicalora agg., pl. pizzicaluri – pizzicalori, importuno, che sfotte e stuzzica gli altri.

Pizzicaredda – i s. f., ragazza carina. V. pizzichècchja.

Pizzicaredda, soprannome della famiglia Dimitri.

Pizzicaredda, denominazione della contrada situata sul versante sinistro della strada per S. Cosimo.

Pizzicari – pizzicai – pizzicatu v. tr., pizzicare; anche prendere una carta coperta dal mazzo; anche prendere un pizzico di tabacco da fiuto per stimolare lo starnuto che, secondo la credenza, liberava l’organismo da certi flussi dannosi. V. bonasorta.

Usato come v. intr., prudere: mi šta pìzzica la manu, mi prude la mano: se il prurito era localizzato più esattamente sul palmo, significava, secondo la credenza popolare, che di lì a poco il soggetto avrebbe riscosso una certa somma di denaro.

Pizzicarieddu – i s. m., ragazzo carino e simpatico. V. pizzichìcchju.

Pizzicasbirri s. m. pl., pallini di piombo informi; Michele Greco lo riporta come un termine mutuato dal periodo del brigantaggio.

Pizzicata – i s. f., sfottò, presa in giro: si pija la pizzicata, si prende la libertà di sfottere.

Pizzichècchja – pizzichecchj s. f., ragazza carina / bricconcella. V. pizzicaredda.

Pizzichìcchju – pizzichicchj s. m., ragazzo carino / bricconcello; questo secondo significato, molto probabilmente fa riferimento al bandito Cosimo Mazzeo di S. Marzano, detto appunto pizzichìcchju. V. pizzicarieddu.

Pizzichìcchju, soprannome della famiglia Brunetti.

Pizzichillu – i s. m., lett. Pizzicotto; nell’espressione bàggiu a pizzichilli, bacio dato prendendo entrambe le guance con le dita.

Pizzicogna – i s. f., v. pìzzicu 2 .

Pietro Brunetti

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Pizzintoni – pòlici

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Pizzintoni s. m., ultimo colpo dei fuochi d’artificio.

Pizzoca – pizzochi s. f., bigotta. V. scrubbulosa.

Pizzottu – i s. m., cavalletto adoperato dai sarti per stirare.

Pizzu s. m., pizzo ( foggia di barba ): cuddu cu llu pizzu, quel tale col pizzo. Significa anche punto, luogo: era šci spicciatu a n’otru pizzu ti munnu, era andato a finire in tutt’altro luogo.

Pìzzicu – pìzzichi s. m., pizzicotto, prurito. Indica anche il colpo inferto con la punta metallica della trottola. V. curru, nzugna, pizzicogna. Al sing. indica una carta da gioco che ha una funzione particolare, per es. il sette denari nella scopa: carta ti pìzzicu.

Pizzuddu s. m., compere che facevano le donne il giorno dopo la conclusione della fiera di S. Gregorio: cce t’a ccattatu di lu pizzuddu? Cosa hai comprato il giorno dopo la fiera? ( diG ).

Pizzufierru – i s. m., specie di scarafaggio, divoratore di germogli di viti ed ortaggi; in senso fig.: soggetto che stuzzica e disturba.

Pizzulari – pizzulai – pizzulatu v. tr., beccare; come v. intr., cogliere piccoli benefici: e ssi pìzzula! E qualcosa si raggranella! V. acinisciari.

Pizzulatu – a agg., pl. inv. pizzulati, butterato.

Pizzulatu, soprannome della famiglia Distratis.

Pizzullettu s. m., arricciatura fatta sull’orlo di una veste o di una focaccia.

Pizzulu – i s. m., angolo di un caseggiato.

Canto pop.: T’a misu a llu pizzulu, / e cce t’a misu a ffà’?/ lu zitu jù lu tegnu, / lu zitu jù lu tegnu. Sei all’angolo in attesa, /ma a che pro? / Il fidanzato io ce l’ho, / ce l’ho il fidanzato. ( Dal celebre canto popolare A rrutulì, a rrutulà, in cui è messo in evidenza l’uso di attendere la fidanzata all’angolo della strada, da cui se ne spiavano le mosse.

Pizzutu – i s. m., sarago pizzuto, pesce caratteristico dei nostri mari.

Plància – planci dal fr. planche, s. f., lett. tavola, indica la bacheca, affissa nei pressi del cinema, dove si possono visionare in anteprima alcune immagini del film annunciato.

Poca avv., mica, dunque: ca poca ci sapi quantu ni teni! Mica ne ha poi tanti! Ca poca no l’aciu tittu! Mica non gliel’ho detto! Tu sinti, poca! Sei tu, dunque!

Poi s. m., orco, uomo nero, evocato dagli adulti per mettere paura ai bambini: mannaggia lu poi! Accipicchia! V. ranfinu.

Pòlici – pùlici s. m., pulce.

Detti: Puru li pùlici tennu la tossi. Persino gli sprovveduti hanno la pretesa di saperla lunga. Quannu lu pòlici si eddi ntra la farina, tissi ca era lu primu mulinaru. Chi viene assunto ad incarichi, spesso nella sua pochezza presume con arroganza di essere un grande.

Nota. Lu pizzulu è l’angolo di strada; l’innamorato solitamente stazionava in quello più vicino alla casa della ragazza, aspettando che questa gli offrisse l’occasione per avvicinarla, sia pure per brevi istanti. Questa attesa presupponeva che i due giovani si fossero già adocchiati durante il passeggio della domenica sul Corso e avessero stabilito una reciproca intesa.

Dopo di che ogni sera, concluso il lavoro della giornata, dopo cena e fatto buio, il giovane attendeva l’amata per poterle parlare, naturalmente senza che la madre se ne accorgesse. Per annunciare il suo arrivo il giovane modulava un fischio che la ragazza riconosceva. Dopo un certo tempo, quando la ragazza si sentiva sicura di poter coltivare questo rapporto, ne informava la madre, che autorizzava i due innamorati di potersi parlare sobbr’a ll’arcu ti la porta ( sulla soglia di casa ): lei all’interno della casa, lui all’esterno. Quando la madre della ragazza aveva accertato che il rapporto poteva continuare, ne faceva partecipe il marito. A quel punto l’ultimo passo era che il giovane portasse i suoi genitori ad incontrare i futuri consuoceri e quindi si ufficializzava il fidanzamento. Da questo momento il giovane era autorizzato ad incontrare la ragazza in casa.

Pietro Brunetti

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Polonordu – pòtiri

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Polonordu  Polo Nord, denominazione del quartiere situato a Sud di Manduria e comprendente la strada per S. Pietro.

Polonordu, soprannome della famiglia Scialpi.

Pònchja – ponchj s. m. e f., minchione: ci egnu, ponchja piccinnu! … , se vengo, birbone … ( ti faccio vedere io! ) ( Dig ).

Pònciri – puncìi – punciutu v. tr., pungere: m’aciu punciutu lu tìsciutu, mi son punto il dito.

Pòniri – punìu – punutu/pueštu v. intr. dif., tramontare: lu soli è pueštu càricu,  il sole è tramontato tra un ammasso di nubi ( segno che il giorno dopo non sarà bello ). V. pošta e puniri.

Ponta – i s. f., punta: conta sobbr’a lla ponta ti li tèsciti, conta sulla punta delle dita; štari ti ponta, stare in piedi; pijari ti ponta, mettere sotto, investire; šta mmori ti ponta, è povero in canna. Al sing., fior di farina; anche pònula.

Pòpita – i s. f., upupa, uccello cacciato nelle nostre zone.

Popò s. f., inv. al pl., auto, mezzo motorizzato in genere; è usato nel linguaggio inf.: šta bbeni la popò, viene l’auto.

Pòpputu – pòppita dal lat. post oppidum = dopo la città ( di Lecce ), s., pl. inv. pòppiti, termine dispregiativo per indicare gli immigrati dal Capo di Lecce.

Pòpputu, soprannome della famiglia Di Lorenzo.

Pòpulu s. m., popolo.

Pòpulu, soprannome della famiglia Attanasio.

Porca – porchi s. f., femmina del maiale; riferito a persona indica una donna sconcia. V. anche purcazza.

Porpa – i s. f., buccia, pellicola della frutta che si toglie spellandola; si dice anche dei pomodori, di cui indica tutto il frutto, esclusi i semi.

Portazzacchinu – i s. m., borsellino portamonete.

Pòscia – posci dal fr. poche, s. f., tasca: mìntitilu a mposcia, mettilo in tasca; ai sempri cu lli petri a mposcia, sei sempre prevenuto e pronto ad offendere.

Pòsima dal gr. apòzema, s. f., amido, bozzima. V. mpusimari.

Pòspuru – pòspiri s. m., zolfanello, fiammifero al fosforo. V. luminu.

Pošta s. f., tramonto: a ppošta ti soli, al tramonto del sole. V. pòniri. Ha anche il significato di appostamento: šta ffaci la pošta, si è appostato. V. mpuštari.

Pòtiri – putìi – pututu v. tr., sollevare, sopportare un peso: itimu cce mmi poti? vediamo se riesce a  prendermi di peso. Nella forma poti è facilmente individuabile la forma arcaica dell’agg. potis ( = capace ), da cui potis sum, ovvero possum ( = posso, sono capace ).

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Pozzi – ppùffiti

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Pietro Brunetti VocabolarioPozzi denominazione di due contrade e delle masserie omonime ubicate in agro di Manduria. La prima si trova sulla via per Maruggio tra la contrada Torre bianca e la contrada Cardinale; la seconda è sita sulla strada per Lecce a circa un chilometro dall’abitato. Quest’ultima contrada nel 1559 faceva parte del feudo di Casalnuovo. Il toponimo deriva dai pozzi che Annibale il Cartaginese fece scavare nel territorio di Manduria quando, dopo aver sconfitto i Romani nella battaglia di Canne ( 216 a. C. ), si volse verso Sud e pose l’assedio alla città. Poiché l’assedio durò a lungo, Annibale ebbe la necessità di assicurarsi il rifornimento idrico scavando i suddetti pozzi.

Ppalurari – ppalurài – ppaluratu v. intr., dare la parola, promettere, impegnarsi. V. palora.

Ppènniri – ppinnìi – ppinnutu / ppisu v. tr., appendere. Usato come v. intr. medio, pendere, arretrarsi: no tti ppènniri retu, non ti arretrare.

Indovinello: La rossa ppenni e la pilosa chjanci. La carne pende e la gatta miagola.

Ppicciari – ppicciai – ppicciatu v. tr., accendere: ppìccia la luci, accendi la luce. Come v. intr., farsi rosso in viso, infiammarsi: ppicciòu tuttu, gli si infiammò il viso.

Ppicciata s. f., accensione: a ppicciata ti lampi, all’imbrunire ( quando vengono accese le luci pubbliche ).

Ppicciaturu s. m., sorta di innesco o miccia ( per es., legnetti, sarmenti, ecc., ) utilizzati per accendere il fuoco: quišti so’ bbueni pi ppicciaturu, questi sono adatti per accendere il fuoco.

Ppinnirrobbi s. m., inv. al pl., attaccapanni.

Ppinzari – ppinzài – ppinzatu v. tr., metter su, mettere diritto, in posizione verticale: ppìnziti ti ponta, mettiti in piedi; s’è ppinzata totta ( riferito a ragazza ), si è messa in ghingheri; ppinzari li musi, mettere il broncio; ppinzari li recchj, mettersi sul chi vive; jè ppinzata na fera, ha fatto un processo per così poco; ci no bbuei propria osci cu ppinzamu na fera prima cu zzìccunu li sueni, se non vuoi che s’inizi un processo prima che scoppi il caso ( da La tarantata di L. Lacaita, atto II, sc. I ).

Detto: Ddonca arrii ppinzi lu palu. Fai fin dove puoi.

Ppippà s. pl., usato nel linguaggio inf., botte: talli li ppippà, dagli le botte.

Ppizzicari – ppizzicai – ppizzicatu v. intr., accedere a qualcosa: ca cce lu fannu ppizzicari! Non lo fanno neanche avvicinare ( ad un luogo, ad un’operazione ).

Ppontarrobbi s. m., inv. al pl., molletta stendi biancheria, sin. di cappetta e ccappaturu.

Ppontaštanga – ppontaštanghi s. f., striscia di cuoio che serviva ad agganciare il finimento alle stanghe del traino.

Ppritinchjari – ppritinchjài – ppritinchjatu v. tr. e intr., ingrossare.

Ppufa inter., in abbondanza / da tanto tempo: cce ni tieni sordi? – Ppufa! Ne hai denaro? – Eh, si, ne ho in abbondanza!

Ppùffiti voce onom., indica il tonfo tipico della caduta.

Pietro Brunetti

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Ppuggiari – priari

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Pietro Brunetti VocabolarioPpuggiari – ppuggiai – ppuggiatu v. tr., poggiare, sistemare: ppòggiulu dda ssobbra, sistemalo lì sopra. Come v. intr., fermarsi, aspettare: ppòggia nu picca, aspetta un poco.

Ppuntari – ( mi ) ppuntai – ppuntatu v. tr. e rifl., abbottonare, abbottonarsi: ppòntiti la camisa, abbottonati la camicia. V. rispuntari. Come v. intr., fissare il tempo per un certo adempimento: ‘ma ppuntatu pi martitìa, abbiamo fissato per martedì.

Ppuntiddari – ppuntiddai – ppuntiddatu v. tr., conficcare / controbilanciare un peso, una pianta, un carico in tensione, con un bastone appuntito da conficcare nel terreno.

Ppuppù s.f., cacca; termine usato nel linguaggio inf.

Praca s. f., finimento che veniva sistemato sul posteriore del cavallo per proteggerlo, in discesa, dallo spostamento in avanti del carro.

Prama s. f., erbacce o germogli superflui di una pianta che soffocano la coltura: quiddi fiuri štonnu chjeni ti prama, quei fiori sono soffocati dalle erbacce. V. mbramari.

Pratona – i s. f., padrona, per evidente trasformazione di patrona.

Pratticari – pratticai – pratticatu v. intr., praticare, avere a che fare con: pràttica sempri a llu partitu, frequenta assiduamente il partito.

Prattichessa – i s. f., donna che fa la saputa: faci totta la prattichessa, si dà aria di sapientona.

Pràtticu – a agg., pl. inv. pràttichi, pratico: l’àggiu pràtticu, sono in confidenza con lui.

Pratunu – i s. m., padrone, per evidente trasformazione di patrunu.

Precamuerti s. m., inv. al pl., becchino, necroforo.

Precamuerti, soprannome delle famiglie Di Giacomo e Nisi.

Prena – i agg. f., incinta.

Presa – i s. f., porca; nei terreni coltivati è l’intervallo di sei passi regolari tra due solchi paralleli, delimitante lo spazio entro il quale il contadino sparge il seme.

Presèmpiu loc., per esempio.

Pressa s. f., v. lo sp. presa, fretta: làssimi sciri ca ou ti pressa, fammi andare perché ho fretta. V. ntrappatura.

Preštu avv., presto: preštu preštu, subito, alla svelta.

Preti – prieti s. m., prete.

Prètica – prètichi s. f., predica.

Prèula -i s. f., pergola: tegnu sei prèuli ti marvasia ca l’ua štai a pitrara, ho sei pergole di malvasia cariche di grappoli e questi, folti di acini. Nel 1866 nel borgo del Rosario esisteva una strada intitolata vico Pergola. V. priulitu.

Priari – priai – priatu v. tr., pregare, nel senso di chiedere con insistenza / augurare: m’onnu priatu, mi hanno supplicato; prea Crištu cu bbeni, augurati che venga.

Detto: Morti priata, mai arriata.  La morte invocata tarda ad arrivare.

Pietro Brunetti

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Pricari – pròlica

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Pietro Brunetti VocabolarioPricari – pricai – pricatu v. tr., seppellire: ba prèchiti! vai a quel paese!

Prièsciu s. m., gioia incontenuta: pi llu prièsciu si mesi a chjànciri, tanta fu la gioia che si mise a piangere.

Priezzu – i s. m., prezzo.

Prima avv., prima: speriamu cu bbeni a mprima, speriamo che venga quanto prima.

Primamàggiu s. f., il primo giorno del mese di maggio.

Primatìu s. m., primaticcio; è il nome del vitigno coltivato in Manduria e del vino che ne deriva.

Primatìu – primatèa agg., pl. inv. primatèi, che matura in anticipo: fichi primatèi, fichi primaticci.

Prìmisi dal lat. in primis, avv., anzitutto.

Prinella – i s. f., albero e frutto di una specie di prugne, dal frutto piccolo, rotondo e generalmente giallo.

Prisciantaru – a agg., pl. inv. prisciantari, di persona dal carattere allegro e gioioso.

Prisciari – ( mi ) prisciài – prisciatu v. intr. medio, gioire: no tti prisciari motu, non cantare vittoria.

Prisòngula – i dal gr. chriusòmelon, s. f., specie di albicocca. V. crisòmmula.

Prištazioni – uni s. f., prestazione in natura, di tipo feudale, come consegna di uova, ricotta, formaggio, grano, dovute dal massaro al signore e padrone della masseria.

Prisu – i s. m., vaso da notte; in dialetto laertino pris: cce prisu! Che persona insulsa che sei! V. cantru.

Prisutu – i s. m., vasaio, artigiano che modellava i vasi da notte.

Punta Prisuti, località del Comune di Porto Cesareo confinante ad Ovest con Torre Columena, comunemente nota come “ Punta Prosciutto”.

Priticari – priticai – priticatu v. tr., predicare.

Priulìtu s. m., pergolato: l’acchjài ca šta ddurmìa sott’a llu priulìtu, lo trovai che riposava sotto il pergolato. V. prèula.

Prìulu s. m., apprendiamo dal Greco che il termine era usato solo nell’espressione prìulu cumuni menza fešta, mal comune mezzo gaudio.

Proa – i s. f., prova.

Pròlica s. f., proroga: m’onnu tata la pròlica, mi hanno dato la proroga.

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Propria – pruuliti

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Pietro Brunetti VocabolarioPropia avv., davvero: a ppròpia šta ddici? Lo dici per davvero?

Pròtiri – ( mi ) prutìu – prututu v. intr. imp., prudere: ti pròtunu li mani! Tocchi tutto ciò che non dovresti!

Pròuli s. f., polvere, anche da sparo; l’aciu fatta pruà’ la pròuli, l’ho agevolmente sorpassato ( con un veicolo, facendogli così respirare la polvere che io ho sollevato ); šta ffaci nu saccu ti pròuli, stai facendo tante storie per un nonnulla.

Pruari – pruài – pruatu v. tr., provare, nel senso di assaggiare. Come v. intr., tentare: proa cu llu minti ti ponta, prova a metterlo in piedi.

Prùbbica – prùbbichi s. f., moneta di rame del regno di Napoli dal motto Pubblica commoditas; il suo valore nel 1792, era di tre tornesi: no mbali na prùbbica, non vale un soldo bucato ( diG ).

Pruciessu – i s. m., processo: onnu fattu nu pruciessu, hanno fatto un sacco di storie.

Prucinella – i da Pulcinella, s.m. e f., pagliaccio ( detto in senso benevolo ): cce sorta ti prucinella! Che pagliaccio!

Prucinella, soprannome della famiglia Giuliano.

Prucissioni – prucissiuni s. f., processione.

Pruèrbiu – pruerbi s. m., detto, proverbio.

Detto: Li pruerbi ti l’antichi no fallìscunu mai. L’insegnamento dei detti dei nostri avi non sbaglia mai.

Pruètiri – pruitìi – pruitutu ( pruìštu ) v. intr., provvedere: m’aciu pruitutu, mi son fornito.

Pruina dal lat. pruina – ae, s. f., pioggerella di breve durata.

Pruišta – i s. f., provvista: m’aciu fatta la pruišta pi ll’inviernu, ho fatto la provvista per l’inverno.

Pruitenza s. f., provvidenza. V. pani.

Prulènia s. f., polvere, traccia: no s’àcchja prulènia, non è rimasta alcuna traccia.

Prumèttiri – prumisi – prummisu v. tr. e intr., promettere, dare la propria parola, assicurare che un impegno sarà mantenuto: aciu prummisu pi llu cincu, ho dato la mia parola che giorno cinque andrò a lavorare da lui. V. sprummèttiri.

Prunisciari – prunisciòu – prunisciatu v. intr. imp., piovere a dirotto: è prunisciatu cu lli cazzi, ha fatto una pioggia piuttosto abbondante.

Pruticieddu – i s. m., gelone: mi šta ddòlunu li pruticieddi, mi fanno male i geloni.

Prutimientu – i s. m., prurito / impertinenza: prutimientu ti agnuni, impertinenza di bambini.

Pruuliti s. f., pleurite; anche pintura.

Nota. Sull’azione del prumèttiri, in passato era centrata tutta una filosofia della parola data. La promessa di andare a lavorare il tale giorno per conto del proprietario, aveva un valore particolare soprattutto in occasione della vendemmia. Poiché questa normalmente avviene alla fine di agosto, inizi di settembre, quando si verificano i primi temporali, mettere al sicuro il raccolto era un imperativo categorico. I preparativi per la giornata iniziavano di mattina presto, quando era ancora buio. Il personale impegnato nei lavori, li fèmmini per vendemmiare e lu ncufanatori nel trasportare a spalla le uve dai filari al punto di raccolta, convenivano a casa del proprietario, che li avrebbe trasportati sul campo. Tutto si sarebbe risolto in poche ore, anche perché bisognava evitare il caldo delle ore tarde per non compromettere la bontà delle uve. E’ comprensibile, dunque, che se qualcuno degli operai fosse venuto all’impegno assunto, avrebbe compromesso le operazioni della giornata.

Pietro Brunetti

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Pruulizzu – pugna

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Pietro Brunetti VocabolarioPruulizzu s. m., polvere sottile sollevata dal vento.

Pua v. puu.

Pucandria s. f., ipocondria.

Puccatu – i s. m., peccato: puccatu mia! Peccato!

Detto: No ffa’ mali ca è puccatu, no ffa’ bbeni ca è minatu. Non fare male perché è peccato, non fare bene perché è sprecato.

Pùccia – pucci s. f., focaccia: pùccia cu ll’aulìi, focaccia farcita di olive; pùccia ccinnuta, focaccia tipo pizza, cotta al forno a legna, una volta nella cenere, senza ingredienti. V. ccènniri.

Puccicannedda – i s. f., coditremola, uccello che compare in autunno.

Pùcciu – a pl. inv. pucci, soffice: pùcciu pùcciu, soffice soffice.

Puddara dal volg. pullaria = galline, s.f., gruppo delle Pleiadi nella costellazione del Toro. In estate la sua comparsa ad Est, prima dell’alba, era per i contadini il segno per prepararsi ad iniziare la giornata lavorativa.

Puddaru – i s. m., stia. V. anche jaddinaru.

Puddaštra – i s. f., pollastra.

Puddetra – i s. f., puledra.

Puddica – puddichi s. f., dolce casareccio, a forma di mezzaluna ripieno di uva passa, che si preparava con lo stesso impasto del pane. V. mpuddicari, pàssuli.

Puddicara s. f., inula viscosa, arbusto dai fiori gialli e dall’odore sgradevole.

Puddicaru – i dal volg. pollicariu, s. m., pollice o alluce: m’aciu cazzatu lu puddicaru, mi son pestato il pollice.

Pudditru – i s. m., puledro.

Puddoni – pudduni sm ., rampollo che cresce alla base di un albero di fico, di melograno, ecc.

Puèi avv., dopo, poi: Puei pija e ddici, titolo di un bozzetto in dialetto manduriano di P. Spina.

Puercu – i s. m., porco: peti ti puercu, spranga di ferro usata come leva per forzare una porta o altro: puercu sularinu, lett. porco solitario, cinghiale. L’esistenza di questa espressione attesta la presenza in passato, del cinghiale sul nostro territorio. V. muloni, neru, nacci.

Puercu ti rodda, soprannome della famiglia Attanasio.

Puerru – i s. m., porro.

Pueštu – i s. m., ognuno degli scomparti in cui si divide il canniccio.

Pueštu v. pòniri.

Pugna  dal lat. pugna- ae = battaglia, s.f., broncio: è pijata la pugna, ha messo il broncio. Indica anche un tipo di pialla usata per la preparazione dei pannelli delle porte.

Nota. La puddica cu lli pàssuli era uno di quei dolci fatti in casa oggi soppiantati dai dolci che si producono a livello industriale. Si preparava in numero di cinque – sei, secondo le necessità della famiglia, in occasione della preparazione del pane che, di solito, si faceva una volta la settimana. Gli ingredienti erano l’impasto del pane e l’uva passa, che nel mese di settembre si era provveduto a seccare al sole. Per ottenere la puddica si stendeva un pugno di pasta a mo’ di pizza, si mettevano nel mezzo i grani di uva passa, quindi la pizza veniva piegata in due chiudendo i grani all’interno. Una volta infornata e cotta era pronto un gustosissimo dolce.

Pietro Brunetti

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Puh – pumpari

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Puh! inter., espressione di disprezzo: puh, disgraziatu! Ah farabutto!

Puiredda – i s. f., povera. V. puirieddu.

Puiredda, denominazione della masseria e della contrada del territorio di Manduria, oggi zona periferica a Nord della città.

Stornello: La puiredda ti la mamma mia / ricca mi feci e no mmi seppi fari; / mi feci ricca ti malincunia, / puiredda ti billizzi e di tinari. La mia povera mamma / mi fece ricca, ma delle cose sbagliate, / poiché mi fece ricca di malinconia, / ma povera di bellezza e di denaro.

Puirieddu – puiredda agg., pl. puirieddi – puireddi, povero.

Puirieddu – i s. m., povero. V. puiredda.

Puirieddu, soprannome della famiglia Duggento.

Pulièsciu s. m., spargimento di acqua, pozzanghera: no ffaciti pulièsciu, non buttate acqua. V. spulisciari.

Pulìtica s. f., posizione faziosa e puntigliosa, polemica: pi lla pulìtica è persu gnincosia, per il suo fare puntiglioso ha perso tutto.

Puliticari – puliticai – puliticatu v. intr., essere puntiglioso e ostinato, polemizzare, cavillare: no ppuliticari, non insistere.

Puliticusu – puliticosa agg., pl. puliticusi – puliticosi, puntiglioso e ostinato, polemico.

Pulizza fumari s. m., spazzacamino, operatore addetto alla pulizia dei camini.

Pulizzari – pulizzai – pulizzatu v. tr., pulire.

Pulizzìa – pulizzìi s. f., pulizia.

Detto: La pulizzia è pulizzia, tissi lu puercu! Persino il porco dice che va curata la pulizia!

Puloni – puluni  s. m., contenitore in cemento o in tufi, di forma cilindrica o cubica, usato nelle campagne per prepararvi la soluzione per l’irrorazione della vigna.

Pummettu – i s. m., fiocco dorato o argentato. In un atto notarile del 1455 troviamo pomecto.

Pummitoru – i s. m., pomodoro: pummitori a ppiru, una volta era una varietà di pomodoro tipica delle nostre piantagioni; pummitori a ccrona, pomodori infilati per il peduncolo a mo’ di corona per essere conservati per l’inverno. Un altro metodo di conservazione consisteva nell’essiccarli dopo averli tagliati in due, per poi metterli sott’olio.

Durante la stagione estiva si usa ancora oggi fare li buttìji, ossia preparare la passata di pomodoro in maniera casereccia, conservandola, appunto, in bottiglie di vetro; pani e pummitoru, era un modo sbrigativo e gustoso per far merenda con pane, pomodoro ed olio d’oliva. V. crona.

Pummitoru, soprannome della famiglia Dimilito.

Pummu – i o pòmmuri s. m., pon pon: pummu ti cardinali, farinaccio selvatico, erba infestante assai comune nelle colture agricole tardive o nei terreni incolti.

Pumpari – pumpai – pumpatu v. tr., irrorare una pianta per preservarla da malattie specifiche.

Pietro Brunetti Vocabolario

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