Rsulu – i dal volg. urceolu, s. m., boccale ad una sola ansa, di circa un litro, con becco sull’orlo, usato per attingere il vino ti lu capasoni.
Rua dal fr. rue, s.f., strada: rua longa, poi strata Longa, indica via Cardinal Ferrara, strada centrale dell’antica Casalnuovo.
Ruagnu – i dal volg. organeu, s.m., fune: ccuji lu ruagnu, raccogli la fune. Al pl., denari.
Rucchisciari – rucchisciai – rucchisciatu v. tr., espettorare.
Ruccu voce onom., ruccu ruccu, suono con cui si chiamano i colombi.
Rucculisciari – rucculisciou – rucculisciatu v. intr., tubare, di colombi, tortore, ecc.
Rùcula s.f., diplotaxis tenuifolia, rughetta; verdura selvatica, piccante, usata per preparare l’insalata.
Ruculari – ruculai – ruculatu v. tr., raggranellare: pi ruculari ncunu sordu, s’àcchja fatìi totta na sciurnata, per raggranellare qualche soldo bisogna lavorare tutta una giornata ( diG ).
Ruencu – ruenchi s. m., grongo, tipo di pesce osseo molto comune nei nostri mari.
Ruèsciu – ruesci dal volg. arrogiu, s. m., cerchio, di piante: a rruesciu, in cerchio; si diceva delle piante di leguminose sistemate capovolte e a cerchio sull’aia, in attesa che essiccassero per bene.
Ruespu – i s. m., rospo.
Ruètulu – i s. m., attrezzo usato per sarchiare, scrostare la terra. V. rimasciari, rutuloni. Indica anche l’attrezzo usato dal muratore per preparare la malta.
Rufianari – ( mi ) rufianai – rufianatu entrare in confidenza a livello di intrigo: rufiàniti cu llu frati, cerca di entrare in confidenza col fratello.
Rufianu – a s., pl. inv. rufiani, ruffiano, ambasciatore cui veniva affidato il compito di dichiarare l’amore di un giovane per l’innamorata.
Indica anche il pezzo di stoffa, quasi sempre ricamato, che abbelliva il letto nella parte iniziale, dando l’impressione che tutto il lenzuolo fosse lavorato.
Stornello: Quannu la mùscia scija la canija, la mamma è la rufiana ti la fija. Come la gatta prepara la buca ( per defecare ), così la madre che non si fa i fatti suoi, trama per sistemare la figlia.
Rùggina s. f., ruggine; anche rùggini.
Rugna s. f., rogna. Indica anche la pianta annuale, dei cui semi le tortore sono molto ghiotte.
Rugnulari – rugnulai – rugnulatu v. intr., modo di parlare tra il borbottare e il lamentarsi in maniera indistinta, bofonchiare: sta rògnula sempri, sta continuamente a borbottare.
Rumaniri – rumasi – rumastu v. rimaniri.
Rumatu s. m., letame. Il termine richiama certe abitudini della passata civiltà contadina, quando l’estrema povertà portava a raccogliere persino il letame che gli animali lasciavano per le strade per utilizzarlo come concime. Diffusissime in passato erano le fosse scavate nella roccia, dove veniva gettato ogni sorta di rifiuto, compresi gli escrementi umani. Di tanto in tanto i rifiuti così raccolti andavano vangati ( si utava lu rumatu ) per agevolarne l’essiccamento. V. fòggia.
Fùnciu ti rumatu, cosiddetto perché cresce sul letame; è un fungo commestibile quando è giovane, ma diventa tossico quando è vecchio.
Detto: Mena rumatu e no pprià’ li santi. Concima col letame e farai a meno di chiedere l’aiuto dei santi.
Nota. La sistemazione a ruèsciu delle piante di ceci, fagioli, lenticchie e fave era la prima fondamentale operazione per ricavare, alla fine, il frutto pulito da ogni scoria. Pertanto, una volta che le piante, esposte a ruèsciu sull’aia in pieno sole, erano ben secche, venivano sparse in cerchio per essere calpestate da una grossa pietra, la pisara, tirata da un cavallo. I baccelli, sbriciolandosi, liberavano il contenuto, che veniva successivamente mondato esponendolo alla spinta del vento, che faceva volare le scorie più in là dei legumi, per essere questi più pesanti di quelle. L’ultima operazione che rendeva il prodotto assolutamente pulito, consisteva nel passarlo in un crivello ( sciàticu ). Pertanto i legumi venivano prima pisati, poi intulati e infine sciaticati.
Pietro Brunetti
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