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Il dialetto del manduriano: mascularu – matedda

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Mascularu – i s.m.,, faniglia, pesce molto diffuso nel nostro mare, simile a llu pupiddu; si gusta specialmente fritto. V. fimminodda.

Masculìcchju – masculicchj s. m., dim. di màsculu, maschietto.

Masculoni – masculuni s. m., accr. di màsculu, maschiaccio; riferito a donna, virago.

Màsculu – i dal lat. masculus, s. m., maschio. Màsculi jadduzzi, soprannome della custode a cui negli anni ’40 del XX sec. era affidato il Fonte pliniano.

Masicola s. inv., da Tommaso Nicola; sin. di babbu. Masirinò denominazione della masseria situata sulla prov. per S. Pietro in Bevagna, allo svincolo per Borraco. Prende il nome da Tommaso Arnò, già proprietario della masseria.

Massara – i s. f., moglie del massaro.

Massaràcchju – a agg., pl. inv. massaracchj, laborioso: jaddina massaràcchja, gallina che fa molte uova.

Massarìa – massarii s. f., fattoria tipica della struttura agraria ancora in vigore nel periodo tra le due guerre.

Massaru – i s. m., conduttore della masseria. Detto: Trasi massaru ca inchj la fera. Gli interventi grossolani e approssimativi fanno solo rumore.

Massicedda -. i s. f., piccola massa, piccolo mucchio.

Maštignu – a agg., pl. inv. maštigni, nerboruto, corpulento.

Maštru – i s. m., maestro; il termine è usato come appellativo per i muratori: maštru Ronzì, mastro Ronzino. V. meštru. 

Matacchjusu – matacchjosa agg., pl. matacchjusi – matacchjosi, dalla corporatura piena e sanguigna. V. matacchjutu.

Matacchjutu – a agg., pl. inv .matacchiuti, dalla corporatura piena.

Matafoni – matafuni s. m., rigonfiamento prodotto da un vestito mal indossato o da una imbottitura mal messa che toglie alla persona o all’oggetto la sua linea caratteristica.

Matarazzu – i s. m., materasso: matarazzu ti lana, materasso di lana. In un atto notarile del 1455 troviamo usato il termine materacium.

Matassaru – i s. m., aspo, bacchetta biforcuta alle estremità per raccogliere a matassa la lana o il cotone.

Matedda – i lett. padella, patella. V. cozza 1. 

Rispondo alla richiesta di chiarimenti sulla parola marva, fatta nella rubrica dell’ 8-2.

Capisco che l’uso delle feci a scopo medicamentoso lascia molto perplessi. Tuttavia, da una ricerca fatta sulla rivista  Focus, nel n. 254 del dicembre 2013, a pag. 56, trovo il titolo: Pillole di feci e alleati batterici. Qui si legge: “ Ingerireste una capsula di batteri fecali? Frenate il ribrezzo: serve a guarire da un’infezione. Thomas Lowie, università di Calgary, ha racchiuso in pillole i batteri buoni dell’intestino, per chi soffre di diarrea causata dal ….. “

Pertanto non mi meraviglierei se la ricetta medica sperimentata da generazioni di nostri progenitori, anche se non in maniera scientifica come si fa oggi in laboratorio, abbia un suo fondamento. E’ certo che le malve avevano un largo impiego come erba medicamentosa, e che non sarebbe l’unico caso in cui la medicina popolare conseguiva risultati inoppugnabili: basti considerare il caso ti li coppabbientu ( v. ).

 


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