Mèntiri – ( mi ) mintìi – misu v. tr. e rifl., mettere, mettersi: mìntiti sotta e datti ta fari, applicati e datti da fare. V. sotta. Come v. intr. medio, chiamarsi, aver nome: comu si menti? Che cognome ha?
Menza – i s. f., misura locale di capacità corrispondente a 17 litri. V. baliri.
Menzaluna – menziluni s. f., coccinella.
Menzanotti s. f., mezzanotte: no po’ bbinì’ cchjù scura ti la menzanotti, peggio di così non può andare.
Menzaquarta – menziquarti s. f., misura locale per l’olio, corrispondente ad 1/8 di cannata, pari a 1,25 litri.
Menza siena – menzi sieni s. f., chiodo della lunghezza di 10-12 cm a forma di acutu.
Menzasola – menzisoli s. f., suola: mìntimi nu paru ti menzisoli, sistematemi le scarpe con un paio di suole.
Menzatìa s. f.., mezzogiorno. Filastrocca popolare: Šta ssona menzatia, / li muènici a lla tria; / la tria no ss’è ccotta, / manciàmu casiricotta; / casiricotta no nn’aimu / e manciamu cce tinimu; / no ttinimu nienti / e nni lliccamu li tienti; / li tienti e li angali, / mamma mia com’ama ffari. Suona mezzogiorno / ed i monaci si apprestano a mangiare le tagliatelle; / le tagliatelle non sono cotte, / mangiamo cacioricotta; / cacioricotta non abbiamo / e mangiamo quel che teniamo; / non abbiamo niente / e ci lecchiamo i denti, / i denti e i molari, / mamma mia come faremo.
Menziterri s. m. pl., terre non buone, terri rossi. V. terrarossa.
Mèrcia s. f., ambiente della masseria in cui si lavorava il formaggio; anche l’operazione con la quale si provvedeva a preparare ricotta, cacioricotta e formaggio: si diceva fari la mèrcia. V. casularu.
Mercu – merchi dal fr. marque = marchio, s.m., ferita non ancora cicatrizzata.
Mèšcia – mešci s. f., lett. maestra. Era il titolo con cui veniva designata la gestrice di una sala di custodia per bambini; quasi sempre trattavasi di personale analfabeta che ignorava i principi fondamentali della didattica. I piccoli venivano raccolti in una stanza dello stesso appartamento in cui viveva la mèšcia. Mèšcia era pure il titolo che si dava alla sarta, alla ricamatrice e alla maestra di scuola elementare.
Mèšciu – mešci s. m., maestro; usato specialmente come appellativo per gli artigiani prima del nome di battesimo: mèšciu Pascali, maestro Pasquale; mèšciu ti scola, maestro di scuola elementare. Come inter., mèšciu! Caspita. V. mènchja, mènica.
Mesi – misi s. m., mese. Al sing., mestruazione: l’è bbinutu lu mesi, ha le mestruazioni.
Scheda etimologica di cacabùzzuru.
Il termine è una parola che non mi risulta esistere nel dialetto manduriano, ma esiste in quello grottagliese; esso è composto da caca e bùzzuru.
La prima parte è indubbiamente riferita all’azione del cacare, come si trova in altri termini quali cacamargiali, cacanitu, cacaredda, cacarieddu, cacaroni, cacasìmmiti, cacatoštu, cacaturnisi, cacaturu e cacazza.
Verosimilmente l’etimologia di bùzzuru, potrebbe indicare l’effetto di buzzarari, dal volgare bulgiarare, a sua volta derivato dal deponente latino abuteor – eris, abusare, da cui anche abusus, abuso.
Per estensione, poiché la lingua nel tempo è soggetta ad una continua manipolazione ed adattamento alle esigenze dei parlanti, nel caso della parola cacabùzzuru, caca potrebbe essere inteso nel senso di dare, produrre l’effetto di … un bùzzuru, ossia di un abuso, un inganno.
Sicché l’oggetto in ceramica del cacabùzzuru, che rappresenta un buontempone panciuto, sarebbe un inganno, giacché in effetti l’oggetto è un contenitore di buon vino.
Anche se bùzzuru fosse da assimilare a buzzurru, sempre della stessa radice di abuteor, questa volta riferito a persona col significato di facchino, poco di buono, uàštasi, e quindi anche ingannatore, non cambierebbe molto il significato di cacabùzzuru, inteso come soggetto poco di buono, all’apparenza un buontempone panciuto, ma che inganna per il suo contenuto; quindi bùzzuru sarebbe l’inganno, buzzurru, l’ingannatore. L’oggetto in questione è esposto nella raccolta museale della Torre Columena.
Pietro Brunetti
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