Mmuzzari – mmuzzai – mmuzzatu v. tr., accorciare: mmùzzulu nu picca, accorcialo un po’.
Mo avv., mo, adesso: mo egnu, adesso vengo; mo, mo, aspetta un attimo; mo siamu! questo è il caso; mo si ni eni, ecco un esempio. V. moni.
Moddi agg., inv. al f., pl. inv. mueddi, molle: jè unu moddi moddi, ha un carattere apatico.
Mognu – a agg., pl. inv. mogni, usato nell’espressione mognu mognu, mogna mogna, sornione, di soggetto taciturno ma pronto a reagire.
Mogna, antico cognome di Casalnuovo.
Molla – i s. f., elastico; al pl., molle, arnese per rimuovere i carboni accesi.
Mònciri – muncìi – munciutu v. tr., mungere.
Moni avv., adesso: jeni moni moni, vieni subito. V. mo.
Mònica – mònichi s. f., monaca. V. pišciaturu. Indica anche lo scaldino, attrezzo casalingo usato per riscaldare il letto, ovvero, in altra versione, per asciugare i panni. Li mònichi, denominazione della contrada e della masseria situate tra la strada prov. per Avetrana e la prov. per san Pietro.
Monna s. f., mondatura degli ulivi: sciri a lla monna, lavorare alla mondatura; monna ti to janni, mondatura fatta due anni prima.
Monti – munti s. m., monte. V. ommu. Indica anche il gioco consistente nel fare un monticello di tufo alto circa 4 cm, sul quale venivano sistemate in perfetta riga mandorle o noci che costituivano la posta in gioco. I giocatori, a turno, dal più lontano al più vicino al monte, cercavano di colpirle con una pallina. I giocatori entravano in possesso delle mandorle o noci che riuscivano a far cadere dal monte. Lu Monti, denominazione della masseria e della contrada situate sul versante destro della ss. per Lecce. Al pl, dune del litorale: retu a lli munti, dietro le dune. Detto: Do lliei e no ppuni, ogni monti scumpuni. Se togli sempre senza mai aggiungere, finirai per esaurire tutte le riserve.
Mònucu – muènici s. m., monaco. V. pìpitu. Al sing., processo particolare con cui si ottiene il vinello dalla feccia.
Mònucu, denominazione della contrada situata tra la strada prov. per Avetrana e la prov. per san Pietro. Lu Mònucu, soprannome delle famiglie Stano e Calò. Filastrocca: Lu mònucu. Fai, faazza, / cientu tùmmini cu lli fazza; / e ci oli li fazza fazza, / jù mi l’aciu chjena la isazza. Dice il monaco: fave, belle fave, / che il proprietario ne faccia pure cento tomoli; / a questo punto, che li faccia o non li faccia, / quel che importa è che io la mia bisaccia l’ho piena.
Mòria dal gr. amorche, s.f., morchia, feccia dell’olio: mòria, ci teni mòria, era il grido con cui si annunciavano gli ambulanti che acquistavano i residui dell’olio.
Nota. Quando nelle case non esisteva ancora il riscaldamento, la mònica consentiva di riscaldare il letto. Essa aveva una forma ovale allungata, dentro la quale si sistemava uno scaldino con i carboni ardenti. Inserita per qualche minuto sotto le coperte del letto, evitava ai bambini lo choc col freddo delle lenzuola, tanto più che durante la sera si era stati tutti intorno al braciere per tenere calde le gambe e ogni tanto si stropicciavano le mani al caldo della carbonella.
La versione della mònica che fungeva da asciuga panni, era una sorta di semi sfera che si sistemava sul braciere, e su quella si stendevano i panni che durante la giornata non si era riusciti ad asciugare.
L’una e l’altra versione si possono vedere nel museo etnografico allestito presso il Consorzio produttori vini di Manduria.
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